Nel giorno dalla presentazione ufficiale delle candidature al rettorato, che si terrà questa mattina alle 9.30 presso l’aula magna del dipartimento di Scienze Umane, vi proponiamo l’intervista a Francesco Vegliò realizzata da NewsTown in occasione dell’ultimo dibattito pre-elettorale tra Paola Inverardi e Angelo Luongo.
Fra collaborazioni inter-regionali e reti nazionali, potenziamento dei corsi di base e sviluppo nella ricerca, facendo i conti con i restrittivi decreti ministeriali per l’istruzione, l’Università degli studi dell’Aquila è chiamata a scegliere in che direzione andare. All’unanimità i tre candidati presenti all’incontro di lunedi (non c’era l’altra candidata, Maria Grazia Cifone), hanno voluto richiamare alla ricostituzione dell’intero sistema universitario dell’ateneo aquilano, per dar vita ad un sistema di formazione sostenibile e di alta qualità.
Il nuovo Rettore dovrà proporre un progetto largamente condiviso, per il territorio e per l’università, “questo vuol dire andare oltre i propri schemi e superare i conflitti interni” -ha sottolineato Inverardi- e “se si vuole sostenere il sistema formativo e il livello di formazione si devono unire le forze: la politica di contrapposizione non paga”, ha continuato Luongo.
Il nuovo rettore, inoltre, dovrà rilanciare il ruolo politico dell’Università in quanto istituzione, aprendo un dialogo con gli enti amministrativi locali per l’attuazione di progetti volti a coniugare la ripresa dell’Ateneo e quella del territorio. Due realtà inscindibili.
A margine dell’incontro, l’intervista a Francesco Vegliò, professore del dipartimento di Ingegneria chimica e dei materiali.
Professore, questo è il primo incontro a cui partecipa: è stata una scelta?
No, in realtà non ero ancora candidato perché nel mio dipartimento si stava lavorando per sostenere il professor Parasiliti che, però, ha deciso di fare un passo indietro.
La sua strategia proseguirà sulla linea di Di Orio o ci sono dei punti di discontinuità?
Ci sono delle discontinuità dettate dalla normativa: come ricordava la professoressa Inverardi, c’è il decreto ministeriale 47 del 2013 che ci sta costringendo a rivedere tutta l’organizzazione della didattica. In questo momento l’università si sta giocando l’accreditamento. Le spiego: abbiamo 120 ore di docenza, se tiene conto di tutti i professori in organico siamo a 70.000 ore di didattica. In questo momento, in altre parole, stiamo erogando più didattica rispetto al personale quindi tutti i corsi di laurea stanno facendo uno sforzo di modulazione rispetto all’offerta formativa. Si deve lavorare insieme, anche con i rappresentanti degli studenti.
Cosa pensa dell’assenza degli studenti a questi incontri?
Penso semplicemente che gli studenti in questi giorni stiano facendo lezione e che la loro assenza sia legata a questo. E’ un momento particolare per tutti.
Partendo da questa situazione critica, quali sono i punti focali del suo programma?
Innanzitutto, alla luce del decreto, dobbiamo assicurare una didattica sostenibile e di qualità, collegata necessariamente con la ricerca. Per esempio, nel mio corso di studio abbiamo approntato una certificazione di qualità: se uno studente riscontra un problema, esiste una procedura tracciabile per risolverlo. Ogni corso di studio, inoltre, ha il cosiddetto rapporto di riesame: a leggere i dati, il problema principale dell’Ateneo è che per avere una laurea triennale si impiegano circa 5 anni e mezzo. Nel rapporto di riesame si deve specificare come si intende porre rimedio: il prossimo anno valuteremo le azioni intraprese e capiremo se abbiamo agito bene. Andrebbero poi analizzate con maggiore attenzione le schede di valutazione degli studenti, con i punteggi che ci vengono dati alla fine del corso. Ci sono da risolvere tutta una serie di problemi anche burocratici, insomma, che sembrano delle fesserie ma che incidono sulla situazione dell’Ateneo.
Questi problemi burocratici sono dovuti a una carenza di personale?
Non credo, sono dovuti piuttosto alla mancanza di un rapporto proficuo tra personale docente e tecnico-amministrativo. La vera sfida, perciò, è fare diventare questa università “normale”. Mi sembra giusto che uno studente sappia le date dagli appelli a settembre, quando si iscrive. Va bene parlare di eccellenze ma per me, che vengo dai “piani bassi” e non dal mondo della governance, queste sfumature rappresentano un fattore qualitativo alto perché permettono alle persone di lavorare con soddisfazione.
A proposito della sua carica di prorettore, non pensa che questo la limiti?
Sul suo giornale sono definito il delfino…
Non è una definizione che le fa piacere?
No, non è che non mi faccia piacere ma non mi sento affatto il delfino di Di Orio. Per intenderci: in entrambe le elezioni ho votato Ferdinando Di Orio e lui ha riconosciuto in me una persona di fiducia. Non credo, però, che questo mi limiti. Ho un rapporto con il Rettore molto aperto, se devo dirgli qualcosa di cui non sono convinto lo faccio.
Anche lei pensa, come la professoressa Cifone, che Di Orio non abbia fatto errori?
Penso di no e aggiungo una cosa: subito dopo il terremoto ero presidente del Cad di Ingegneria Chimica ed ero riuscito a trovare una sede a Pescara perché pensavo fosse meglio allontanarci dalla città, almeno in un primo momento. La mia proposta fu bocciata dal Consiglio di Amministrazione e dal Senato, presieduto da Di Orio. C’è stata, quindi, una buona gestione dell’emergenza e, oggi come oggi, dal punto di vista dei numeri sembra quasi che non sia cambiato niente dal pre-terremoto. E’ chiaro che non mi nascondo dietro un dito e che, se i numeri sono questi, è anche grazie al fatto che non si pagano le tasse. Un risultato ottenuto della governance precedente.
Neanche la proroga del mandato di Di Orio pensa sia stato un errore?
Guardi, questo dovrebbe chiederlo al Rettore. Io ho cominciato ad avvicinarmi alla politica e alla governance il 21 dicembre del 2012. Prima sono sempre stato impegnato a risolvere i problemi degli studenti e devo dire che non è che abbia seguito con grandissima attenzione queste vicende.
In questi mesi da prorettore un’idea se la sarà fatta.
Quello che posso dire è che se questa Università esiste lo dobbiamo sicuramente a Di Orio, anche se ovviamente non soltanto a lui.
E tutti i problemi dell’Università sono, allo stesso modo, dovuti a scelte del Rettore uscente?
Quali problemi? I problemi sono dappertutto, è impossibile trovare un Ateneo che non abbia problemi.
E il finanziamento perso dell’Eni?
Non ho molti criteri di valutazione perché devo dire che non l’ho seguita moltissimo la vicenda ma, secondo me, ci sono state responsabilità di più attori. Una cosa che farei, se diventassi Rettore, sarebbe creare dei tavoli di dialogo perché certe volte ho avuto l’impressione che l’Università va in una direzione, la Provincia in un’altra e il Comune in un’altra ancora.
Del rapporto Asl-Università che ne pensa?
Mi sta chiedendo troppo, io sono un professore di Ingegneria. Certo, come le ho detto, sarebbe importante instaurare un dialogo tra le parti accademiche e non accademiche.
Molti studenti iscritti all’Università degli studi dell’Aquila non risiedono in città, a causa della carenza di servizi. In che modo avrebbe intenzione di inserire l’Università all’interno delle scelte per la ricostruzione della città?
All’interno della nostra Università abbiamo un dipartimento di Scienze Umane in cui ci sono storici e archeologi, per cui la mia idea è istituire un tavolo in cui possano colloquiare, insieme all’Accademia delle Belle arti, al Comune, all’Accademia del Cinema. Non è vero che con la cultura non si mangia. Ci sono tante possibilità di sviluppo e l’Università può giocare un ruolo decisivo. Un’altra grande opportunità sono i Poli di Innovazione. Ci lavoro dal 2011, dentro il polo Chimico-Farmaceutico con cui stiamo cercando di realizzare dei progetti che vedono insieme aziende e università e che sono possibilità di occupazione di qualità. E’ chiaro che, da Rettore, dovrò ragionare in termini più ampi, anche sull’internazionalizzazione. Il Rettore deve avere la valigia sempre pronta e viaggiare per stringere accordi con i vari Atenei, soprattutto con quelli dei paesi emergenti, come il Brasile e la Russia.
Ha parlato del Dipartimento di Scienze Umane, qual è la sua posizione?
Io penso che la formazione di insegnanti di scuole primarie e secondarie sia fondamentale. Quando si parla di sviluppo del territorio e di turismo, non possiamo pensare che L’Aquila possa diventare Rimini. Noi abbiamo eccellenze nell’ambito della storia, dell’archeologia medievale che andrebbero messe a sistema per questo territorio. La cultura è un business. In questo sono d’accordo con Luongo: se ci sono i soldi per finanziare una borsa di dottorato, bisogna cercare di favorire chi ha più difficoltà a reperire i fondi, come accade per gli studenti di Scienze Umane, a patto che ci sia un ritorno nell’incremento della qualità e della ricerca. Alcuni fondi devono essere specifici, è inutile dare soldi a me che sono ingegnere e che posso trovarli sul mercato.
Della ricerca in generale che opinione ha?
Se parliamo di fondi per il finanziamento, chi è più bravo deve andare a reperirli fuori. Dobbiamo attrezzarci con i poli d’innovazione perché per fare ricerca a livello europeo ci vogliono le aziende, oppure bisogna puntare sui fondi regionali, visto che spesso non si riesce a spenderli. Con il Rettore, per dire, si pensava di realizzare una scuola regionale di dottorato insieme all’ateneo di Teramo, capace di rappresentare innanzitutto un primo passo politico di cooperazione. Non credo che con uno schiocco di dita si possa fare la federazione degli Atenei.
Lei è quindi favorevole, come Luogo, alla Federazione degli Atenei in Abruzzo e non alla collaborazione a rete della Inverardi?
Bisogna visionare prima i progetti, non posso deciderlo a priori. Penso che avere un unico referente, anche se non per tutti i dottorati, sia un elemento di forza per attrarre risorse.
Non ha paura che si perda la specificità dell’Università dell’Aquila?
Consideri che la mia città è l’Europa. Ci sarebbero vantaggi economici nelle collaborazioni, anche perché con la nuova legge sui dottorati è insostenibile stare da soli. Spostarti dalla tua realtà e parlare con altre persone è una cosa che allarga il tuo panorama culturale. La cosa peggiore che può fare l’Università è innalzare dei muri.
di Silvia Santucci e Federica Adriani