Musica antica e dintorni

Musica antica e dintorni (21)

I dibattiti intorno al potere della musica e all’effetto che quest’arte ha sull’animo umano hanno avuto nei secoli lo stesso interesse che veniva rivolto all’aspetto teorico.

L’aspetto emotivo era già presente nella riflessione della teoria musicale greca trasmessa al medioevo soprattutto attraverso Boezio, il quale aveva sviluppato un articolato pensiero sugli effetti emozionali della musica che verrà in seguito codificato con la teoria degli affetti. Questa teoria era presente già nel pensiero del pitagorico Damone di Atene nel V secolo a.C., e venne sistematizzata da Platone e da Aristotele. «La teoria musicale degli affetti […] funse da base per le teorie etiche musicali», tanto che nel 1558 Giovanni Zarlino, nel suo trattato Istituzioni armoniche, indicherà esplicitamente che lo scopo della musica è «commuovere» l’anima.

Francesco Petrarca si inserisce in questo discorso sia attraverso i suoi interessi e le sue amicizie musicali sia perché la sua opera avrebbe ridato vita alla cultura classica; infatti, ponendo la sua attenzione alle opere di Cicerone quali modello di retorica, pose le basi per lo sviluppo del pensiero umanistico in Italia da cui si sviluppò l’intento di coniugare le regole della retorica con la musica di Josquin Desprès (1450 – 1521 ca.) e Heinrich Isaac (1450 – 1571).

Gli studi condotti hanno infatti approfonditamente analizzato i suoi epistolari che testimoniano la sua frequentazione con musicisti, e hanno inoltre diffusamente valutato le cronache e le biografie trecentesche che ci tramandano come Francesco Petrarca fosse dotato di una bella voce e di una appropriata preparazione musicale. Boccaccio testimonia nel De vita et moribus domini Francisci Petrarchae de Florentia la perizia del poeta nel cantare…In ambito musicale poi, cioè quanto a suonatori e canti, e non solo di uomini ma anche di uccelli, si diletta a tal punto che egli stesso si distingue e si è distinto in ambedue…”. 

Nelle Familiaris Petrarca si sofferma sugli effetti prodotti dalla musica sull’animo umano e scrive: canti e flauti e armonia di strumenti a corda, da cui son solito esser rapito fuor di me stesso, dove sono? Inoltre nell’opera De remediis utriusque fortunae Petrarca, nei capitoli XXIII e XIV, esamina ancora con più attenzione gli esiti che l’ascolto e la pratica musicale possono suscitare. Il De remediis è un trattato morale in due libri al quale iniziò a lavorare tra il 1353 e il 1361, mentre era ospite presso il castello di Pavia costruito da Galeazzo II (1320 ca. – 1378); il primo consta di 122 capitoli mentre il secondo di 132 e ciascuno è introdotto da una prefazione.

Ogni capitolo consiste in un dialogo fra la Ragione da una parte, la Gioia e la Speranza (nel libro I) o il Dolore e il Timore (nel libro II) dall'altra e tratta un aspetto specifico della vita quotidiana. L'andamento di ogni dialogo è fisso: la Ragione interviene a equilibrare con i suoi argomenti gli eccessi ottimistici o pessimistici ai quali l'anima è spinta dalle quattro passioni (codificate dal pensiero stoico), che ripetono ostinatamente un unico concetto dall'inizio alla fine. Attraverso il XXIII ed il XXIV dialogo, che si svolgono tra Gaudium e Ratio, Petrarca mette in evidenza aspetti pratici e i risvolti psicologici che l’attività musicale produce. Nel XXIII dialogo il Gaudium infatti rispondendo alla Ratio afferma che: Sono dilettato dal canto e dalla lira …Sono accarezzato dai canti e dai suoni,…Sono sedotto dalla soavità della musica,…Godo e mi esalto con il canto, …Canto dolcemente…Mi diletto con il canto e con il flauto, …Mi commuovo con il canto…Mi piace cantare…Sono trattenuto con diletto dai soavi modi delle voci.

Queste sentenze esprimono soprattutto il piacere che l’ascolto della musica, che può essere vocale, ma anche strumentale, produce su chi ascolta, ma evidenziano anche il piacere di essere i protagonisti in prima persona della produzione musicale. Infatti il canto può essere accompagnato da strumenti a corde ma anche a fiato, può essere polifonico ma più di tutto suscita commozione. Nel XXIV dialogo emergono soprattutto le qualità e gli effetti della musica che sono prodotti maggiormente nell’animo di chi è il soggetto della pratica coreutica al suono della musica. Le sentenze dichiarate dal Gaudium esprimono questa partecipazione: Godo con le danze corali,…Partecipo bramosamente alle danze corali, …Colgo una certa dolcezza dalle danze corali, …Mi diletto con le danze corali, …Dilettevoli sono le danze corali…Mi esercito volentieri ad un decoroso tripudio. La Ragione però in conclusione, dopo aver distinto tra i vari effetti che la musica può suscitare nell’animo umano, dichiara quale musica migliore quella che conduce alla vita «divota e santa».

Il musicologo tedesco Hans Heinricht Eggebrecht, nel considerare l’origine della musica, distingue due origini una primitiva ed una greca ed afferma che «la parola magica dell’origine greca […] si chiama teoria. La teoria creò […] la prassi musicale. […]Perciò teoria e prassi non costituiscono un contrasto ma due aspetti della stessa cosa, la musica».

Già a partire dalle riflessioni dei filosofi greci l’aspetto teorico della musica fu sicuramente l’oggetto principale degli studi di letterati ed intellettuali e molti sono i trattati che si sono interrogati sugli aspetti tecnici musicali cercando di individuare e definire le leggi che regolavano la composizione musicale. Ma, anche se questo era l’atteggiamento prevalente, gli studiosi sempre più frequentemente nel medioevo riflettono anche su altri aspetti che hanno a che fare con la pratica musicale e con l’aspetto emotivo e sociale della musica.

Tra gli autori che si sono soffermati sulle funzioni della musica, una figura di spicco è quella del francese Jean de Grouchy, latinizzato in Johannes de Grocheo che, nel suo trattato Ars musicae, scritto intorno all’inizio del Trecento, oltre agli aspetti teorici correda la sua opera con una descrizione della pratica musicale nella Parigi del suo tempo.

Secondo Grocheo si distinguono tre generi di musica: musica simplex, monodica e su testo non in latino, composita cioè polifonica e musica ecclesiastica vale a dire liturgica. Grocheo si preoccupò di assegnare una funzione sociale alla musica, egli infatti affermava che alla musica simplex, quindi profana, appartengono tutte quelle composizioni che recano sollievo e rendono più sopportabili le difficoltà. Classificava inoltre le specie che sono tre di cantus, suddiviso a sua volta in gestualis, coronatus, e versualis, e tre di cantilena, diviso ancora in rotundellus, stantipes, e ductia, a cui sembra corrispondere la distinzione della retorica dei tre stili: alto, mediocre e basso.

Lo stile alto appartiene al cantus coronatus di cui il canto dei trovieri rappresenta l’esempio. Grocheo afferma che questo è un tipo di musica che viene composto anche da re e nobili per esortare gli animi all’eroismo e a tutte quelle doti che servono per ben governare: Il canto coronato è chiamato da alcuni conductus simplex. Il quale infatti per la bellezza del dettato e del canto da maestri e studenti è incoronato come il francese Ausi com l'unicorne oppure Quant li roussignol. Questo anche dai re e dai nobili suole essere composto ed anche presso i re e i principi della terra è eseguito, per spingere i loro animi all’audacia e al coraggio, alla grandezza d’animo e alla generosità, tutte cose che conducono ad un buon governo. Questo tipo di canto tratta di argomenti dilettevoli e impegnativi, come l’amore e la pietà, ed è composto unicamente da lunghe e perfette.(…) Il cantus gestualis è quello che si riferisce alla chanson de geste e alle imprese dei santi e corrisponde ad uno stile mediocre. E’ un canto rivolto a quelle persone di media cultura e appartenenti al ceto medio, alle quali questo genere dona conforto dalle preoccupazioni e le incoraggia a persistere nelle loro occupazioni. E’ una musica che è quindi di sostegno allo Stato e al mantenimento dell’ordine sociale.

Il cantus versualis è considerato appartenente allo stile basso ed è riferito a canti poco curati sia nel testo che nella composizione. E’ un tipo di canto la cui caratteristica è quella di esortare i giovani a non oziare. Sempre ai giovani e alle ragazze sono rivolti anche le tre specie di cantilena, infatti il rotundellus è adatto alle feste ed ai banchetti, mentre stantipes e ductia sono forme non solo vocali ma anche strumentali: il canto versualis è quello che da alcuni è detto cantilena a confronto del coronato e dalla sua qualità si distacca nel dettato e nella concordanza, come nel francese Chanter m'estuet, quar ne m'en puis tenir oppure Au repairier que ie fis de Prouvence. Codesto canto poi deve essere mostrato ai giovani, affinché non siano ritrovati sempre nell’ozio. A chi infatti rifiuta il lavoro e vuole vivere nell’ozio debbono essere messi davanti il lavoro e l’avversità. Attraverso la musica si organizzano così il tempo libero e gli intrattenimenti di giovani e di adulti, indirizzandoli in un’attività organizzata non lasciata al caso e ad improvvisate iniziative che potrebbero causare problemi al rispetto delle regoli sociali.

Una domanda che spesso ci si pone quando ci si appresta all’esecuzione della musica antica, in special modo quella medievale, è quella relativa al come l’attività musicale si svolgesse al di fuori dalle occasioni ufficiali documentate dalle cronache del tempo. La via da percorrere per recuperare questo tipo di informazioni deve necessariamente rivolgersi a fonti che non siano solo quelle dei trattati musicali, ma possono essere rilevate attraverso altre fonti, in questo caso indirette, quali le opere letterarie e l’iconografia musicale. Utile alla riflessione sulla prassi musicale nella sua accezione quotidiana, è il Tacuinum sanitatis, un trattato medico risalente all’ XI secolo realizzato a Baghdad dal medico e letterato Abu al-Ḥasan al-Mukhtar Ibn Buṭlan, che nel XIV secolo venne corredato da una serie di illustrazioni alcune delle quali concernenti la musica.

Il titolo originale Taqwim al sihha Taqwīm cioè Almanacco della salute si riferisce al contenuto del testo basato sui consigli del medico al lettore in corrispondenza del calendario annuale; tali consigli riguardano la salute, il nutrimento, l'umore e danno anche indicazioni pratiche per condurre una vita sana.

Il trattato si diffuse rapidamente in Europa contribuendo a far conoscere le moderne pratiche dietetiche ed igieniche della medicina araba e alla fine del secolo XIV il Tacuinum Sanitatis fu arricchito da illustrazioni, con un’immagine per ciascuna prescrizione , in ambito lombardo.

Ogni foglio del trattato è occupato in larga parte dalla miniatura o disegno che illustra il soggetto e la materia cui si riferisce la regola, espressa in calce al foglio. Le miniature ed i disegni che decorano i Tacuina li rendono una vera e propria enciclopedia illustrata della vita medievale, attraverso la raffigurazione particolarmente vivace di ambienti, scene di lavoro e di vita domestica, piante, animali. Tra i temi principali delle raffigurazioni troviamo soggetti come: il medico in cattedra da solo o accompagnato da seguaci; carte con l'identificazione delle piante, degli animali, delle stagioni, del clima, del movimento del corpo e degli stati d'animo; contadini intenti alla raccolta o giovani signori in atteggiamenti cortesi; animali rappresentati all'aria aperta oppure mentre vengono catturati. Le quattro stagioni sono personificate nei lavori di ciascun mese; inoltre sono presenti numerose immagini che illustrano la confezione dei cibi. Le scene di vendita, molto varie e sparse per tutto il manoscritto, mostrano cereali, legumi, preparazioni farmaceutiche, frutta secca, latticini, sale, pane, carne, olii, dolci, sostanze aromatiche, sciroppi, candele, vestiti e anche volatili. Il consumo del prodotto, infine, illustrato in misura minore, presenta per lo più i commensali a tavola. Tutte le raffigurazioni del Tacuinum possono essere definite come didattiche; il loro intento è di illustrare un soggetto in modo comprensibile e istruttivo. Le immagini sono intenzionalmente un supporto al testo e, in particolare, al titolo dell'argomento da rappresentare; la scelta iconografica era poi lasciata al miniatore, condizionato dalla sua propria realtà quotidiana, dai libri di modelli che consultava o dai lavori artistici contemporanei.

Tra i codici illustrati più belli di quest’opera, è il manoscritto n. 4182 intitolato Theatrum sanitatis realizzato nella seconda metà del XIV secolo e conservato nella Biblioteca Casanatense di Roma. Tra le molte tavole di questo trattato la musica vi compare, proprio perché era un aspetto che si rifletteva sulla salute in quanto capace di procurare un benessere spirituale

L’introduzione alla tavola dice infatti: 'La musica è uno strumento utile per conservare la salute o per restituirla una volta che è stata perduta nei confronti delle diverse nature delle costituzioni degli uomini'. La musica, secondo il trattato, può presentarsi in tre forme: «cantus», «organare cantum vel sonare», «sonare et saltare», vale a dire cantare, suonare gli strumenti, danzare al suono degli strumenti. Un esemplare illustrato del Tacuinum fu realizzato probabilmente per Verdi Visconti (1352 – 1414) figlia di Bernabò come regalo di nozze, che furono celebrate nel 1365, con Leopoldo d’Austria. Le immagini che sono state realizzate per questa edizione sono quelle del «cantus» e dell’ «organare cantum vel pulsare».

Tra le raffigurazioni presenti ce ne sono alcune che più delle altre non solo illustrano differenti situazioni musicali, ma ci restituiscono quadretti di vita vissuta, come fossero istantanee catturate con prontezza dall’artista. Una figura mostra due fanciulli che guidati dal maestro si esibiscono probabilmente per un sovrano, magari per dare prova dei progressi raggiunti nello studio; segue un’immagine che ritrae tre musicisti che in un giardino suonano un organo portativo, una viella e una ciaramella o una bombarda, strumenti questi che si ritrovano menzionati nelle numerose scene musicali presenti nella letteratura del Trecento. Evocativa di un momento di svago e di convivialità in ambito privato è la miniatura in cui sono rappresentate tre fanciulle e una bambina che al suono di una ciaramella e di una cornamusa eseguono un ballo tondo.

In un’altra copia del Tacuinum, sempre legata all’ambiente lombardo, il canto è rappresentato sia con riferimento alla musica liturgica con la raffigurazione di due fanciulli e due chierici che cantano sopra un libro notato posto sul leggio, ma anche profana con la raffigurazione di un cantante affiancato ai lati rispettivamente da due musicisti: uno suona un organo portativo e l’altro una viella, anche questa è la raffigurazione di un ensemble che appare decisamente coerente con l’esecuzione delle ballate trecentesche. Un’altra immagine mostra invece due uomini e una donna che al suono di una ciaramella e di una cornamusa, per l’atteggiamento del corpo sembrano eseguire una danza. Queste scene rappresentano così l’espressione di un mondo reale, la manifestazione di una pratica autentica e possono metterci in contatto con una realtà concreta che può sfuggire ad un approccio esclusivamente teorico.

All’Aquila, alla fine di agosto di ogni anno, per la ricorrenza della Perdonanza Celestiniana si realizzano una serie di iniziative e manifestazioni per celebrare l’istituzione dell’indulgenza plenaria da parte Celestino V nel 1294.

Il momento religioso, l’apertura della Porta Santa attraverso la quale si deve passare per ottenere l’indulgenza, viene inserito e incorniciato da una serie di differenti ed eterogenei eventi alcuni dei quali cercano di trarre la loro ispirazione proprio dal basso Medioevo. Ma qual’ era il ruolo della musica nelle occasioni di festa di una città medievale?

Il panorama sonoro che una città medievale poteva offrire era molto ricco e predisposto a seconda delle diverse tipologie di avvenimenti. Nel Medioevo numerose erano le feste legate alle ricorrenze del calendario liturgico che segnavano lo scorrere del tempo e separavano il tempo del lavoro da quello del riposo. Nel Medioevo cristiano le festività maggiori erano quelle legate alla Pasqua e al Natale ed erano scandite dal cerimoniale liturgico, quindi la presenza della musica si inseriva, come tutt’ora avviene, all’interno di un rituale prestabilito. La musica era chiaramente di carattere sacro e si fondava essenzialmente sulla pratica del canto cosiddetto gregoriano, sulla polifonia a cappella e sulla presenza dell’organo.

Al di fuori delle festività religiose diventavano momenti di festa inseriti in un contesto ufficiale, quegli avvenimenti che avevano origine dai festeggiamenti realizzati per celebrare gli incontri solenni tra signori e principi, come i matrimoni tra famiglie regnanti e le designazioni dei capi di governo. Molti documenti testimoniano l’uso della musica nei festeggiamenti di carattere istituzionale, l’ingresso dei cortei dei signori nelle città era evidenziato da bande di strumenti detti di alta cappella per la loro sonorità, quali trombe, bombarde, cialamelli, mentre gli strumenti con sonorità più contenute come vielle, liuti ed arpe, che costituivano la cosiddetta bassa cappella, erano riservati a momenti più raccolti. Giovanni Villani, cronista fiorentino vissuto tra la fine del XIII e la metà del XIV secolo, nella sua Nuova Cronica narra di numerose situazioni in cui gli strumenti musicali, soprattutto di alta cappella come trombe e nacchere, erano usati durante le battaglie sia per indicare l’attacco che la ritirata.

Le trombe inoltre unite ad altri stormenti, sottolineano festosamente gli avvenimenti più lieti dei comuni in cui le brigate si riunivano e davano vita ad estemporanei festeggiamenti. Sempre Villani ci consegna l’immagine di una festosa e prosperosa Firenze che nel giorno della festa di S. Giovanni del 1283 celebra allegramente questa ricorrenza in cui spontaneamente gruppi di persone si riunivano per dare vita ad estemporanei momenti di musica e danza al suono di diversi strumenti musicali. La presenza della musica presso le corti era garantita inoltre dalla permanenza costante di musicisti che vivevano, ospiti graditi, presso i signori del castello, anche perché questi, con le loro opere, svolgevano una funzione di rappresentanza e di sostegno alla grandezza del signore e al diffondersi della sua fama.

I momenti di socializzazione di cui la musica era parte integrante e in cui spesso giocava un ruolo di prim’ordine, avevano, quindi, peculiarità e finalità differenti: potevano essere celebrazioni liturgiche o cerimonie istituzionali, ma anche occasioni non generate da un evento formale, situazioni in cui l’aspetto musicale era parte delle consuetudini che si realizzano all’interno di un contesto privato.

La musica assumeva una grande importanza anche in occasioni dei conviti, luoghi della consacrazione di avvenimenti politici o familiari, diventando sempre più un mezzo di propaganda e di affermazione sociale.

Questi avvenimenti eccezionali erano realizzati con il concorso della comunità intera che esponeva alle finestre panni e tappeti e prendeva parte ai cortei che conducono ai luoghi dei banchetti. Le cronache di questi eventi, all’elenco delle numerose vivande, alternano infatti la narrazione dei momenti dedicati alla musica e agli spettacoli e ci tramandano le fasi dei convivi e dei loro cambiamenti. Il banchetto è, infatti, solo una delle componenti di un intenso programma di eventi che è generalmente realizzato in più giorni e che può comprendere tornei, giostre, balli, commedie e spettacoli di contorno. L’Anonimo Romanoriferisce di un banchetto imbandito per ottocento persone, da Mastino II della Scala (1308 – 1351) per accogliere gli ambasciatori veneziani in cui: ora vedesi vivanne venire. Cavalieri a speroni de aoro servivano denanti. Leguti, viole, cornamuse, ribeche e aitri instrumenti moito facevano doice sonare. Bene pareva in paradiso demorare. Po' le vivanne viengo buffoni riccamente vestuti. Tal cantava, tal ballava, tal mottiava.

«Elli con ogni artista e filosofo gìo disputando non tanto della sua musica, ma in tutte l'arti liberali, perché di tutte quelle in buona parte erudito sì n'era.»  E’ con queste parole che nel Paradiso degli Alberti, Giovanni Gherardi definisce Francesco Landini e tutt’ora le opinioni su questo artista convergono nel riconoscere che il suo talento si espandeva in molteplici direzioni dalla composizione musicale a quella letteraria ed anche alla costruzione di strumenti musicali. Landini infatti realizzò uno strumento che chiamò syrena realizzato con l’unione di un liuto e di un «mezzo cannone», un modello trapezoidale di salterio tipicamente italiano.

Francesco Landini nacque a Fiesole nel 1325, Pirrotta però nei suoi ultimi studi fisserebbe questa data ad una decina di anni dopo. Francesco da bambino perse la vista a causa di un’infezione dovuta al vaiolo e venne così indirizzato agli studi musicali che rappresentavano una delle possibili carriere per i non vedenti. Bisogna tenere anche conto che era consueto trovare all’interno della stessa famiglia, e dello stesso ceto sociale, persone occupate  nello stesso ambito lavorativo. Francesco era infatti figlio del pittore Jacopo da Cosentino, ed i suoi fratelli, Matteo e Nuccio, furono rispettivamente pittore e musicista.

Probabilmente essendo il padre membro di una confraternita Francesco avrà cominciato ad avvicinarsi alla musica all’interno di essa. Nelle confraternite erano infatti presenti dei maestri che insegnavano ai fedeli ad intonare le laudi.
Sicuramente i suoi studi furono molto approfonditi, anche perché le testimonianze su di lui sono tutte concordi nell’affermare la sua preparazione musicale e letteraria. Scrisse infatti, oltre ad alcuni testi da lui musicati, anche  un poema in esametri dedicato al filosofo e francescano inglese Guglielmo di Ockham (1228 – 1349).
Landini fu organaro, organista e compositore e, verso il 1365, venne designato a ricoprire la carica di cappellano presso il capitolo di S. Lorenzo, dove figurava anche il compositore Lorenzo di Masino sino alla fine del 1372 anno in cui si colloca la morte di quest’ultimo.
Landini si occuperà di questo incarico fino alla sua morte che sopraggiunse il 2 settembre del 1397 a Firenze. Sulla sua lastra tombale, sormontata da due angeli musicanti rispettivamente raffigurati uno con la viella e l’altro con il liuto, c’è un’iscrizione di attribuzione incerta che recita:

Privato della vista, ma dalla mente capace di melodiosi canti, Francesco, il solo che sopra tutti la Musica elevò, qui ha le ceneri, oltre le stelle l'anima

Le attestazioni di stima nei confronti del Landini non si esauriscono nell’epitaffio sulla sua tomba, ma numerose sono le testimonianze che ce lo raffigurano come uno dei musicisti più apprezzati della sua epoca. Filippo Villani, Coluccio Salutati, Cino Rinuccini, Giovanni Gherardi, in diversi modi ma in maniera concorde testimoniano la sua fama presso i suoi contemporanei e non solo.  Lo storico fiorentino Filippo Villani (1325-1407) gli dedicò un capitolo, ancora vivente, del suo Liber de origine civitatis Florentie et eiusdem famosis civibus affermando che Francesco Landini era superiore a tutti i musicisti a lui contemporanei sebbene fosse cieco. Giovanni Gherardi da Prato gli dedicherà una lunga pagina nella sua opera Il Paradiso degli Alberti; in questo lavoro Landini è ritratto nella cerchia degli intellettuali che si incontravano presso la casa di Antonio di Niccolò degli Alberti.

Nella descrizione che Gherardi ci offre di Francesco Landini è di grande rilievo il fatto che lo definisca «musico teorico e pratico», unendo così in Francesco quelle competenze che erano ritenute separate dai teorici. Boezio infatti indicando le tre categorie di coloro che avevano a che fare con la musica, teneva separati i cantores, vale a dire gli esecutori sia musicisti che cantanti, i poetae che realizzavano musica e poesia e i musici cioè i teorici della musica.  Il Gherardi con la sua definizione afferma quindi che Landini supera questa divisione, aggiungendo inoltre che era anche «in buona parte erudito», tanto da poter competere con gli altri intellettuali in tutte le arti liberali.
Probabilmente la considerazione di cui godeva ha fatto in modo che «Francesco degli organi», così come veniva chiamato, sia stato il compositore medievale italiano di cui ci sono state trasmesse il maggiore numero di opere: 141 ballate, 12 madrigali, una caccia e un virelai, scritti per due e tre voci, ed i manoscritti che dedicano il maggior spazio a Landini sono il Panciatichi 26 della biblioteca nazionale di Firenze, ed il codice Squarcialupi.

La sua notorietà inoltre fece si che i suoi brani fossero presenti anche in raccolte europee e che gli stessi fossero utilizzati in forma di «cantasi come». Un esempio di questa prassi, ma anche della diffusione della sua musica, lo riscontriamo nel codice abruzzese di Guardiagrele (CH) del XV secolo, in cui è presente un Agnus Dei, inciso nel 2002 dall’ensemble Aquila Altera e dall’ insieme vocale aquilano Le Cantrici di Euterpe,  che è il contrafactum della ballata Questa fanciulla, amor.

Nel momento in cui un musicista moderno decide di dedicarsi ad un repertorio molto lontano nel tempo come quello medievale, si trova a confrontarsi con una scrittura musicale assolutamente differente da quella che si studia negli anni della formazione accademica. Inoltre le edizioni in notazione moderna se da un lato facilitano la lettura della notazione antica, dall’altro hanno l’effetto di allontanarci dall’originaria lezione con l’introduzione di un apparato di segni sconosciuti al Medioevo.

Il manoscritto quindi, seppur trascritto con la notazione attuale, diventa un testo difficile da decodificare e richiede di essere interpretato con l’ausilio di differenti generi di fonti che possano rivelare, oltre all’oggetto stesso, cioè il contenuto musicale, anche il “come”, il “quando” ed il “perché” nascosti dietro le composizioni.

L’approccio con il quale gli studiosi di musicologia si sono avvicinati alle fonti musicali e letterarie è stato contraddistinto sempre più dalla massima cura ed attenzione con la conseguenza di porre l’accento sulla distanza che separa la nostra epoca e la nostra sensibilità musicale da quella medievale, tanto che per Margaret Bent, autorità indiscussa della musica tardo-medievale, questa è una frattura incolmabile. Per queste ragioni la posizione dei musicologi nei confronti dei musicisti che si dedicano a questo repertorio è inevitabilmente critica.

D’altra parte si può osservare che una pagina scritta non può essere esaustiva di tutto un mondo musicale e di prassi strumentale che non possono essere totalmente trasmessi da un manoscritto. Molti musicologi affermano infatti che ciò che stato tramandato in forma scritta rappresenti la "registrazione" a posteriori di ciò che era eseguito. Anna Maria Busse Berger nel suo libro La musica medievale e l’arte della memoria dimostra appunto che "il fatto che qualcosa fu messo per iscritto non deve altresì significare che non venne più trasmesso oralmente, in quanto testi scritti e tradizione orale possono ben coesistere".

Tra le voci che contestano le moderne esecuzioni di musica medievale possiamo citare anche il musicologo Daniel Leech-Wilkinson che, nel suo testo The modern invention of medieval music, afferma che si tratta di esecuzioni non veritiere in quanto non sufficientemente documentate. In risposta a queste affermazioni, possiamo affermare tuttavia che i musicisti che si dedicano a questo repertorio sono completamente consapevoli della difficoltà e anche dell’impossibilità di far rivivere la musica medievale per come era nel suo tempo.

Partendo da questo presupposto si possono comunque ipotizzare situazioni ed ensemble strumentali e vocali non del tutto estranei a quelli che potevano essere in uso nel Tre - Quattrocento. Una via da percorrere in questo senso è quella che si rivolge a fonti storiche indirette quali l’iconografia musicale e la letteratura coeva che possano suggerire situazioni con organici strumentali e vocali o la citazione di brani musicali, con i quali gli autori dei testi potevano essersi venuti a trovare magari in contesti differenti ma simili a quelli delle loro narrazioni.

Tenendo conto quindi delle differenti fonti non si può affermare che queste siano risolutive perché non è possibile avere la certezza di un’esecuzione fedele, sicuramente però esse possono farci acquistare una maggiore consapevolezza e comunque una maggiore aderenza ad un’epoca non riferendosi solamente ai meri dati musicali, ma tenendo presente la società in cui operavano i musicisti del Medioevo. Quindi la consapevolezza delle difficoltà interpretative può aiutare ad evitare quanto afferma Leech-Wilkinson e cioè che l’interpretazione della musica medievale sia un’invenzione dei nostri giorni.

Quest’anno per il secondo anno consecutivo l’Europa ha celebrato la Giornata della Musica Antica, una giornata che anche in ambito musicale non ha riscosso una grande attenzione ed è interessante domandarsene il motivo.

Tra i tanti che si possono elencare, c’è anche il fatto che dentro il contenitore “Musica Antica” è racchiusa una così grande varietà di stili musicali, di strumenti musicali, di prassi esecutive che vengono a creare come delle sottovarianti dello stesso ambito che però frequentemente si comportano in modo autoreferenziale.

Infatti la periodizzazione della cosiddetta “early music”, che viene fissata convenzionalmente con un termine ad quem che è il 1750, anno della morte di Johann Sebastian Bach, è appunto una convenzione dentro la quale si collocano sette secoli di musica talmente differente e ricca di sfumature non solo per gli aspetti puramente musicali ma anche storici e geografici.

Musica Antica quindi oltre la musica antica; oltre i cartelloni delle stagioni concertistiche che spesso non superano ma anzi alimentano l’invisibile confine che si pone tra l’attività artistica di Corelli e Vivaldi e tutta la musica che li precede. Nell’ambito della stessa “early music” c’è musica antica e musica antica, come se la musica rinascimentale e medievale siano di minore interesse o rilevanza.

Pertanto l’intento è quello di parlare di musica antica e dei suoi protagonisti in senso ampio, anche perché sebbene Margaret Bent, riferendosi alla musica medievale, afferma che una frattura incolmabile ci separa da essa, è pur vero che la musica è l’arte del tempo perché non esiste che nell’irreversibilità del suo fluire e che rinnova e reinventa se stessa continuamente attraverso i suoi interpreti di ieri e di oggi.

Queste conversazioni vogliono mettere in risalto non tanto le dotte dissertazioni dei trattati teorici, ma tenteranno soprattutto di dedicarsi alla musica che Nino Pirrotta definiva “risonante”, quella che si allontana dal paradigma dell’ufficialità e dai trattati di filosofi e umanisti, e che può emergere attraverso le pagine della letteratura, le testimonianze iconografiche e pittoriche, la vita dei protagonisti e i mutamenti della società, nell’intento di rintracciare indizi e riferimenti utili a rivelare condotte e consuetudini musicali, perché nessuna produzione e nessuna esecuzione musicale può essere considerata distaccata dal proprio contesto storico e dal proprio tempo.

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