C’è una gru nella piazza di Tione degli Abruzzi. Un lungo braccio di 40 metri. Stanno iniziando i lavori in un aggregato del centro storico del piccolo borgo della Valle Subequana, per un importo di quasi 2 milioni di euro. E’ il primo progetto di ricostruzione approvato e finanziato. Sembrerà banale, non lo è affatto: a più di quattro anni dal terremoto, finalmente, nel volto dei pochi abitanti si legge la speranza che il paese possa rinascere dalle macerie e dalle erbacce che soffocano ancora le piccole stradine medievali, dimenticate nella zona rossa.
Un destino beffardo, senza dubbio: Tione degli Abruzzi, a 35 km dal centro dell’Aquila, è l’ultimo paese della Valle colpito tanto duramente dal terremoto del 6 aprile. Anzi, pare sia stato inseguito dal sisma: arrivando dal capoluogo, si attraversa Fontecchio che, per fortuna, ha subito assai meno danni. Così come Santa Maria del Ponte, che affaccia sul borgo, e Goriano Valli, qualche km più in là.
Il centro storico di Tione, all'ombra del Sirente, è stato completamente distrutto. In pochi ne hanno parlato: in pochi si sono interessanti al centinaio di abitanti del borgo, per lo più anziani, sfollati per la gran maggioranza nel villaggio Map costruito dai volontari della Protezione Civile della provincia di Trento. E’ in paesi come questi, però, che si comprende fino in fondo il disastro causato dal terremoto. Che si intuisce negli occhi delle persone la paura di non poter tornare più a casa. In molti aggregati, infatti, ci sono abitazioni non di residenza. Un decreto del Governo, incapace di comprendere le caratteristiche del cratere aquilano, le ha definite “seconde" o "terze" case. Altre sono chiuse da anni, da ben prima del terremoto, eredità lontane. A volte è persino complicato stabilire chi ne sia il proprietario. Non è difficile immaginare cosa comporti questo per una ricostruzione che, qui come altrove, non può contare su fondi certi.
Nel fine settimana, il borgo ha festeggiato San Vincenzo Martire, il santo patrono, di cui custodisce le spoglie mortali dal 1826. E’ una festa molto sentita, è il momento in cui la comunità torna a riunirsi. Nei giorni di celebrazione, prima del sisma, arrivavano a Tione centinaia di persone da ogni angolo d’Italia. Tantissimi i migranti che, con le loro famiglie, tornavano da Stati Uniti, Venezuela, Francia, Belgio, Sud Africa. Non è più così, non può esserlo. Semplicemente perché in tanti non saprebbero dove dormire. Anche qui pare banale, non lo è. Eppure, il santo patrono si festeggia ancora. Tra mille difficoltà, grazie alla volontà degli abitanti, non si è mai smesso di farlo. E in molti tornano in paese. Magari per qualche ora, per un paio di giorni. Tornano, però. Legati a quelle strade abbandonate da affetti, amicizie e ricordi. Per stringersi intorno ai pochi che restano, che resistono.
Ogni anno, si vede sempre più gente. Ieri, lungo il viale principale, c’erano persino due piccole bancarelle di giocattoli e caramelle. Poco prima della mezzanotte, poco prima di riporre l’urna esposta ai fedeli nella chiesa di San Vincenzo Martire, completamente inagibile, come da tradizione sono stati esplosi i fuochi d’artificio. Hanno colorato i tetti del paese, le strade buie da quattro anni. Hanno illuminato anche la gru e, per un attimo, è sembrato possibile immaginare la ricostruzione del borgo. Se fino a ieri tornare a Tione degli Abruzzi provocava le stesse emozioni di una visita ad un parente caro e assai malato, che prima o poi si sarebbe salutato per sempre, oggi quella gru nel cuore del paese è qualcosa di più di un semplice messaggio di speranza.
Speranza che andrebbe alimentata, sostenuta e nutrita di attenzione da parte delle istituzioni. I piccoli borghi, d’altra parte, sono l’essenza stessa del nostro territorio. Non è possibile pensare di ricostruire L'Aquila senza tener conto della trama di piccoli borghi che ne racconta la storia. Ce ne dimentichiamo troppo spesso.