Una sentenza lampo, arrivata in poco meno di due ore. La Corte d’appello di Milano, chiamata a ricalcolare l'interdizione dai pubblici uffici inflitta a Silvio Berlusconi nel primo e secondo grado del processo Mediaset, ha accolto la richiesta del procuratore generale Laura Bertolè Viale e ha determinato in due anni il ricalcolo della pena accessoria nei confronti dell'ex premier, già condannato a quattro anni di carcere, di cui tre condonati per indulto.
Un anno in meno rispetto a quanto ci si aspettava alla vigilia. Il procuratore generale, nel formulare la sua richiesta, ha spiegato che, come la pena principale è stata due terzi della pena massima, così deve essere anche per la pena accessoria. Il legale dell'ex premier, Niccolò Ghedini, ha già annunciato il ricorso in Cassazione.
La vicenda. Il 1° agosto la Cassazione, nel condannare Silvio Berlusconi per frode fiscale, aveva però annullato la pena accessoria a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici stabilita in appello, chiedendo alla stessa Corte d’appello del capoluogo lombardo di ridefinirla tra uno e tre anni.
La difesa. Gli avvocati difensori dell'ex premier, Niccolò Ghedini e Roberto Borgogno, hanno ricordato che Mediaset, dopo la pronuncia della Cassazione, ha chiuso il contenzioso con l’Agenzia delle entrate versando circa 11 milioni di euro per gli anni 2002-2003. I legali - che hanno provato a chiedere per Berlusconi, incensurato, il minimo della pena (un anno) - hanno inoltre depositato il ricorso presentato alla Corte europea dei diritti dell’uomo e sollevato un’eccezione di costituzionalità sulla legge Severino. Secondo i difensori, la legge Severino viola l’articolo 25 della Costituzione. Il ricorso in Cassazione contro la sentenza stamane, ha spiegato Ghedini, punterà sia sul ricalcolo della pena accessoria, sia riproponendo entrambe le questioni di costituzionalità sollevate in udienza. Per la difesa di Berlusconi, oggi «non avrebbe dovuto trovare applicazione nessuna misura interdittiva».
La replica. Il procuratore generale Bertolè Viale si è opposta alle eccezioni di costituzionalità. Secondo la rappresentante della pubblica accusa, queste eccezioni non possono «entrare» in un giudizio di rinvio e non sono pertinenti con la decisione sull’interdizione.