"Al fine di adeguare le norme fissate per l'assistenza alla popolazione ai nuovi scenari maturati a quattro anni dal sisma ed al fine di contenere le relative spese..."
Si legge in premessa all'articolo 6bis del decreto 43, poi convertito in Legge 71 nel giugno scorso, che autorizza il sindaco dell'Aquila a disporre degli alloggi del Progetto Case e dei Map per l'assegnazione a nuove categorie di cittadini. Tra le altre, alle giovani coppie formate dopo il sisma o ai nuclei monoparentali, di cui almeno un componente con casa inagibile.
Accogliendo la legge, la Giunta Comunale ha deliberato in luglio le nuove forme di assistenza alla popolazione. Ha saputo, l'amministrazione, cogliere il senso della legge? A sentire il consigliere di opposizione Angelo Mancini, assolutamente no. Tanto che stamane ha sottolineato, in conferenza stampa, di attendersi un intervento della Corte dei Conti. "Ad oggi, 13mila persone sono ancora assistite nel progetto Case, circa 2800 vivono nei Map, 5600 sono in autonoma sistemazione, tra le 250 e le 300 persone sono in affitto concordato e più o meno lo stesso numero di cittadini vive in appartamenti del fondo immobiliare. Dunque, buon senso vorrebbe che con il liberarsi degli alloggi di Case e Map si smaltissero le forme di assistenza più onerose. Che, insomma, si trasferiscano pian piano nelle unità abitative costruite dopo il terremoto le circa 6mila persone ancora assistite con autonoma sistemazione, affitto concordato e fondo immobiliare. Anche nel rispetto di quanto stabilito dalla Legge che permette al Sindaco di disporre degli alloggi al fine di contenere le spese. Invece, si sta agendo diversamente. Con modalità clientelari e non di buona amministrazione".
Come è normata l'assegnazione? L'assessore Pelini, presentando la delibera, spiegò che, in base alla disponibilità settimanale degli alloggi, il 30% sarebbe stato destinato alle nuove coppie, non necessariamente sposate, con priorità alle coppie con donna in gravidanza, con figli di età inferiore ai tre anni, e ai nuovi nuclei monoparentali. Un ulteriore 30% sarebbe stato assegnato ai "casi sociali opportunamente documentati", famiglie che hanno avuto per esempio uno sfratto esecutivo o che vivono un momento di indigenza economica e sociale (c'è già una graduatoria, approntata da una commissione guidata dal magistrato Sgambati). Il restante 40% sarebbe stato equamente diviso tra le altre categorie previste e le attività di gestione ordinaria (richiesta di passaggi dal Contributo di autonoma sistemazione all'alloggio del progetto CASE o MAP, domande di cambio di alloggio).
"In altre parole - incalza Mancini - solo 2 alloggi su 10 sono destinati a chi intende passare dal Cas o dagli affitti concordati ai progetti Case e Map. E se ci sono cittadini che non hanno alcuna intenzione di richiedere un alloggio, non si fa nulla per invitarli ad accettare la sistemazione nelle unità abitative ora di proprietà del Comune. Vorrei ricordare che ci sono persone che oramai vivono a Roma o a Pescara, che hanno comprato casa, che non torneranno a L'Aquila in futuro e che, comunque, continuano tranquillamente a percepire il contributo mensile di autonoma sistemazione. Non è accettabile: bisogna offrire loro un alloggio nel progetto Case o nei Map e, all'eventuale rifiuto, revocargli immediatamente il mensile. Gli immobili sono stati costruiti per sopperire all'emergenza del sisma, devono essere utilizzati a questo scopo. Non per altro".
Come è possibile, si chiede Mancini, che la delibera preveda l'assegnazione ai 'soggetti con contratti lavorativi di assistenza domiciliare il cui contratto di lavoro è cessato per morte dell'assistito e comunque sino alla formalizzazione di un nuovo contratto'? Come è possibile prevedere che negli alloggi vadano a vivere 'residenti e dimoranti in altri comuni nell'ambito della provincia dell'Aquila con casa inagibile, i quali per motivi sanitari e di lavoro facciano richiesta di una unità abitativa'? "Bisognerebbe prima sistemare i cittadini che vivono ancora di assistenza onerosa e solo in seguito aprire le porte degli alloggi alle altre categorie previste". Vale, a sentire il consigliere, anche per i cosidetti 'casi sociali': "I progetti Case e Map sono stati costruiti per rispondere ad altre esigenze", taglia corto Mancini. Che poi sottolinea come la delibera di Giunta non tenga in alcun conto dei bisogni dei cittadini aquilani costretti a vivere fuori città o a pagarsi un affitto perché vincolati dall'ambito di mobilità.
Di cosa si tratta? All'indomani del sisma, non era prevista alcuna assistenza per i cittadini aquilani proprietari di altra casa nel raggio di 30km. Una norma di buon senso. Che, però, a quattro anni dal terremoto poteva essere cancellata in fase di approvazione della nuova delibera. "Qui con me c'è la signora Grazia Schiavi", sottolinea Mancini. "Al 6 aprile abitava a L'Aquila e abita ancora in città. Ha una casa a Rocca di Mezzo e, per questo, non ha diritto ad alcuna forma di assistenza".
"Siamo un nucleo familiare di quattro persone", spiega la Schiavi. "Abbiamo preso una casa a L'Aquila, con un affitto assai oneroso, perché non conviene vivere a Rocca di Mezzo dal momento che lavoriamo in città. Fino al 2011, non mi sono mai rivolta all'assistenza alla popolazione perché capivo la delicatezza della vicenda. Poi, però, con la situazione che iniziava pian piano a tornare alla normalità, ho spiegato la mia situazione all'assessore Pelini per ottenere un alloggio. Anche se proprietaria, avrei volentieri pagato un affitto calmierato. Purtroppo, non si è risolto nulla. Gli uffici non comunicavano tra di loro, l'assessore mi spediva da Petullà (dirigente della Protezione Civile ndr) e, a sua volta, Petullà mi spediva da Pelini. L'ultima volta che sono tornata dall'assessore, mi ha trattata in un modo talmente umiliante che ho deciso di non tornarci più".
Almeno fino a quando non ha scoperto che erano state deliberate nuove forme di assistenza alla popolazione che, però, non la riguardavano. "Ho chiamato il consigliere Mancini: non ne sapeva nulla", racconta Grazia Schiavi. "Abbiamo letto la delibera e, così, abbiamo capito che il vincolo di mobilità non era stato ancora cancellato e che, al contrario, si permetteva l'assegnazione degli alloggi ad altre categorie di persone. Non a famiglie come la mia, proprietarie di abitazione a L'Aquila al 6 aprile, che hanno sempre vissuto e vivono ancora in città e che, però, non hanno diritto ad alcuna forma di assistenza".