"La Fondazione Carispaq riconosce l'autorevolezza del percorso che il Centro Antiviolenza dell'Aquila sta portando avanti da ormai dieci anni. E' la dimostrazione che l'attività tenace e ostinata da parte di tutte noi ha dato risultati ed è stata di aiuto per le donne che si sono rivolte al nostro centro".
Parole di Simona Giannageli, presidente del Centro Antioviolenza dell'Aquila Donatella Tellini che ieri, in una cerimonia che si è svolta all'Auditorium del Parco alla presenza delle più alte istituzioni civili e militari della città, ha ricevuto il Premio Fondazione Carispaq per la Solidarietà 2018 dedicato, quest'anno, al tema della violenza contro le donne, un "tema tanto urgente - ha spiegato il presidente della Fondazione Carispaq Marco Fanfani- su cui si è voluto focalizzare l'attenzione attraverso il sostegno e il riconoscimento, in forma pubblica e celebrativa, del lavoro di protezione, educazione, e prevenzione delle associazioni del territorio aquilano".
La commissione del premio ha assegnato anche due menzioni speciali. La prima al Centro antiviolenza e Casa delle Donne di Sulmona "La Libellula" per il lavoro svolto con la Casa rifugio, istiuita nel 2005, che ad oggi ha ospitato 34 donne e 42 minori, in maggioranza italiani e di età compresa fra 0 e 18 anni. Tutti bambini e adolescenti che hanno assitito a violenza o che hanno subìto maltrattamento e abuso sessuale. Menzione speciale anche per l'associazione di Avezzano "Liberi per Liberare", che da moltissimi anni si occupa delle donne svantaggiate perchè spesso mogli, madri o sorelle di uomini detenuti e quindi in condizioni di estrema fragilità sociale.
Ospite e madrina della manifestazione, l'autrice e conduttrice tv Serena Dandini, che ha parlato del suo impegno per sconfiggere i comportamenti che sfociano nella violenza e spesso nel femminicidio, ma anche per diffondere una cultura di prevenzione e di rispetto dei generi. Impegno convogliato nel progetto teatrale, divenuto poi libro, "Ferite a morte", una Spoon River delle donne uccise per mano maschile, scritto nel 2012 dopo l’assassino di Carmela Petrucci, la 17enne di Palermo accoltellata da un 23enne che non sopportava di essere stato lasciato dalla sorella maggiore.
"Il Centro Antiviolenza Donatella Tellini è straordinario come molti altri centri sul territorio italiano legati alla rete D.i.Re. (Donne in rete contro la violenza). Sono gli avamposti in un deserto e vanno avanti, salvando molte vite, tra molte difficoltà legate alla carenza di fondi, che arrivano a singhiozzo - ha dichiarato Serena Dandini- E' importante accendere i riflettori e gratificare chi fa questo lavoro. La violenza maschile contro le donne non è un destino ineluttabile e il femminicidio non è un effetto collaterale di essere donna. Nei paesi dove sono state messe in atto in maniera virtuosa leggi ed iniziative in modo coordinato le cose sono migliorate".
Sebbene, dal 2013, le pene siano state inasprite con l'introduzione di molte aggravanti (se la violenza è attuata nell'ambito di una relazione sentimentale) e dell’arresto in flagranza obbligatorio nelle ipotesi di stalking, e nonostante la legge disponga che il maltrattante sia allontanato dalla casa familiare, la realtà dei fatti ci restitusce l'immagine di un sistema che non tutela abbastanza la vittima. Il fenomeno della violenza maschile contro le donne resta enorme e i numeri parlano chiaro. In questi primi mesi del 2018 sono oltre venti le donne uccise, mentre nel 2016 sono stati 113 i femminicidi in Italia.
Se c'è bisogno di migliorare il quadro normativo, ed è auspicabile un sistema di tutela più coerente, il tema della violenza di genere, di cui il femminicidio -l'uccisione di una donna con la quale si hanno legami sentimentali o sessuali- è solo la punta di un'iceberg, non può fermarsi al livello dell'emergenza. E' un problema culturale, sociale e pedagogico che si manifesta e si riproduce nei linguaggi, nei ruoli reciproci, nel persistere di una rappresentazione stereotipata della donna e nell'informazione che racconta il femminicidio in modo scandalistico. In un paese, il nostro, dove le attenuanti del delitto d'onore sono state tolte pochi anni fa, e lo stupro è diventato reato contro la persona e non più contro la morale solo nel 1996. E per costruire una nuova cultura servono modelli, educazione e unità d'intenti.
"Il diagramma degli omicidi non è cambiato negli ultimi anni, e questo è molto grave, le denunce sono aumentate e questo è molto positivo perchè, non è facile denunciare, siamo in un campo minato dai sentimenti, il fatto che le donne prendano fiducia vuol dire che le istituzioni si stanno muovendo nella giusta direzione anche se a piccoli passi - ha spiegato Serena Dandini- Oltre al finanziamento dei Centri Antiviolenza e delle Case Rifugio è importante però lavorare sulla cultura. Va sottolineato e ribadito che il fenomeno della violenza di genere non può essere ridotto a un problema di sicurezza, è un fatto culturale che andrebbe affrontato a partire dalle scuole, dove spesso si ha paura di affrontare certi argomenti. Questa è la vera rivoluzione: organizzare incontri per famiglie e studenti per parlare di genere, di sessualità, di educazione sentimentale". Per la conduttrice, che ha raccontato il femminicidio attraverso la letteratura e il teatro, non c'è dubbbio che l'arte assuma un ruolo determinante nel rianimare la coscienza civile rispetto a questo tema. " A differenza dei convegni o dei dibattiti, che pure servono, uno spettacolo di teatro arriva dentro al cuore dello spettatore. Questi molnologhi raccolti nel libero, sono stati rappresentati in tutto il mondo, in Tunisia come a New York, le donne se ne sono impossessate perchè lo hanno trovato uno strumento interessante per parlare della violenza maschile contro le donne senza la freddezza scientifica oppure quel cinismo televisivo che a volte, in nome dell'auditel, affronta i casi di femminicidio avvilendo molto di più queste donne".
Il Centro Antiviolenza Donatella Tellini dell'Aquila
Pochi fondi, interventi frammentati, indifferenza istituzionale al fenomeno e un'emergenza, quella suggerita dal numero delle donne vittime di violenza, di fronte alla quale il Piano strategico per la lotta alla violenza maschile sulle donne, adottato dal Governo per il triennio 2017- 2020, e approvato in Conferenza Stato-Regioni resta senza attuazione, con i fondi stanziati in legge di stabilità ma, al momento, non erogati. Soldi essenziali a garantire continuità alle inziative promosse dai centri antiviolenza, che dopo aver stabilito il primo contatto con le donne che vi si rivolgono offrono anche assistenza legale e psicologica.
Il problema della violenza di genere all'Aquila, è il problema che riflette il dato nazionale, tanto nel numero delle donne che subiscono violenza, quanto nelle criticità che appaiono nel sistema di tutela. "In questi dieci anni di attività abbiamo accolto 450 donne - ha spiegato la presidente Simona Giannangeli - che hanno svolto il percorso di accoglienza presso il Centro insieme alle operatrici, nonchè con le avvocate e le psicologhe, quando lo hanno rischieto. Circa 120 donne invece, nello stesso periodo di tempo, si sono rivolte al Centro per intraprendere un percorso".
La dimensione domestica della violenza contro le donne, inquadra anche il dato sulla nazionalità di vittime e carnefici. "A rivolgersi al nostro centro sono state donne in maggioranza italiane - ha sottolineato Giannageli- e, nel caso di donne migranti, più della metà erano legate ad uomini di cittadinanza italiana. La violenza è molto più diffusa di quanto comunemente si pensi, e si manifesta quasi sempre in contesti familiari insospettabili".
La violenza di genere, però, non si consuma solo tra le mura domestiche e non riguarda esclusivamente la sessualità. E' un problema culturale e strutturale rispetto al quale nemmeno una realtà piuttosto piccola come quella aquilana è immune. "Si sta abbassando l'età e degli uomini e delle donne sottoposte a violenza anche in questa città - l'allarme lanciato da Giannageli- nell'ultimo anno e mezzo abbiamo accolto nella nostra struttura donne giovanissime che ci hanno raccontato di violenza subìta ad opera di altrettanti giovani uomini. Questo è ancor più grave e riporta ancor più il problema nell'alveo di un ragionamento culturale".
Ma il lavoro portato avanti dalle operatrici del Cav dell'Aquila, tutte volontarie, come più volte ribadito, rischia di essere ulteriormente aggravato dai problemi legati alla collocazione della Casa delle Donne, che oggi ha sede provvisoria in via Colagrande, nel quartiere del Torrione. La sede definitiva si aspettava già lo scorso anno, presso l'ex orfanotrofio nel complesso di Collemaggio, secondo la convenzione sottoscritta nel 2015 tra Comune dell'Aquila e Provincia e finanziata con i fondi Carfagna (3 milioni di euro), stanziati subito dopo il terremoto e destinati al sovvenzionamento di attività e progetti sociali. Ad oggi, la realizzazione della nuova sede è ancora ferma al palo. "A Collemaggio ci sarà, come auspichiamo, la futura sede definitiva della Casa delle Donne che ospiterà anche l'Associazione Donatella Tellini, la biblioteca delle donne e il Cav - ha spiegato Giannageli- I tempi sono ancora da definire, io non ho incontrato l'assessore Petrella, so che ci sono stati incontri con l'associazione Donne Terremutate che hanno rimandato a tempi da definire. Il progetto c'è e noi ci siamo dentro - ha assicurato la presidente- auspichiamo la possibilità di poter partecipare a un nuovo tavolo tecnico per seguire da vicino questo progetto, sui tempi non posso dire niente. I ritardi accumulati sono dovuti ai problemi di ristrutturazione dell'immobile individuato. Non credo e non voglio credere che ci siano problemi di altra natura".
L'Aquila, inoltre, non ha ancora una Casa Rifugio, una struttura dedicata, a indirizzo segreto, che garantisca da un lato ospitalità temporanea alle donne che subiscono violenza e ai loro bambini, e, dall'altro, offra consulenza legale, psicologica e di orientamento al lavoro con l'obiettivo ultimo di ricostruire un percorso stabile e duraturo di uscita dal contesto di violenza. "L'unica cosa da fare se si vuole restituire rispetto e dignità alle donne che si recano presso i centri come il nostro, è una sola: smettere di pensare che siano vittime. Non sono donne che cercano aiuto perchè sole non ce la fanno, hanno solo il legittimo diritto di essere messe nelle condizioni di poter denunciare in sicurezza la violenza che subiscono dai loro partner - ha sottolineato Simona Giannageli- il diritto di una risposta immediata da parte dello Stato. La Casa Rifugio più vicina alla città dell'Aquila, è a Sulmona, la Casa delle Donne La Libellula, ma spesso non c'è posto. Mi piacerebbe che nessuno e nessuna si chiedesse più come mai le donne non hanno coraggio. Una domanda mal posta, perchè contiene già in sè un atto di violenza nei confronti di ognuna di noi. Questo Stato che chiede alle donne di denunciare, nonostante le leggi e i passi avanti, è ancora uno Stato carente".
La rete D.i.Re
Il 29 settembre 2008 si è costituita l’Associazione Nazionale D.i.Re “Donne in Rete contro la violenza”, la prima associazione italiana a carattere nazionale di centri antiviolenza non istituzionali e gestiti da associazioni di donne, nata allo scopo di costruire una azione politica nazionale che, partendo dall’esperienza maturata nelle diverse realtà locali, promuova azioni volte ad innescare un cambiamento culturale rispetto al fenomeno della violenza maschile sulle donne e sostenga le donne ad uscire dalla violenza insieme ai propri figli/e.
Oggi l’associazione nazionale D.i.R.e. raccoglie dentro un unico progetto politico 80 Centri Antiviolenza e le Case delle Donne, compreso il Cav dell'Aquila Donatella Tellini, con 650 operatrici attive sul tutto il territorio nazionale e accogliendo, nell'arco di un anno, circa 22.000 donne di cui il 66% italiane e il 50 % di età compresa tra i 44 e i 51 anni.
Come spiegato da Orietta Paciucci, consigliera per l'Abruzzo dell'associazione D.i.Re e interventua alla cerimonia di premiazione,si tratta di un'entità di livello nazionale che ha intrapreso con il Dipartimento per le pari Opportunità, il percorso di condivisione del Piano nazionale Antiviolenza annualità 2017-2020. Un documento "non perfetto", ha sottolineato Paciucci, che comunque, attraverso la partecipazione ai tavoli di concertazione che hanno portato alla stesura del Piano, ha dato la possibilità, alle associazioni di donne, di incidere nelle politiche nazionali "attraverso una nuova definizione di Centro Antiviolenza che, a fronte dell'adozione di politiche istituzionali di prevenzione e contrasto della violenza maschile contro le donne con un’ottica neutra, emergenziale, securitaria, restituisse ai Cav la loro dimensione politica e non di centri erogatori di un servizio". Un PIano che, come detto, nonostante la copertura con un finanziamento previsto dalla legge di stabilità, resta al momento inattuati perchè i fondi non vengono erogati.
Problema principale, quindi, resta la mancanza di fondi, essenziali per sostenere i Centri Antiviolenza. Carenza che non ha impedito, tuttavia, di portare avanti progetti attraverso finanziamenti di fondazioni private. "D.i.re è molto attiva nella ricerca di fondi privati. Molte fondazioni hanno finanziato, in questi anni, progetti rivolti alle donne che hanno subìto violenza per dare loro la possibilità, una volta uscite dalla violenza, di essere libere di poter gestire la propria vita, anche a livello economico e lavorativo. Questo ha permesso, all'Aquila, l'istituzione di uno sportello di orientamento, perchè rientrare nel mondo del lavoro, dopo essersene allontanate per periodi anche lunghi, a causa della violenza subìta è molto difficile".
"Un altro progetto - ha affermato ancora Paciucci- si chiama "Testimoni Invisibili", riguarda il problema della violenza assistita dei minori incolpevoli asssistono a ciò che accade. L'obietivo è interrompere la tansgenerazionalità della violenza, perchè sono dei modelli che, i piccoli tendono ad imitare. Anche per questo, i Cav da sempre fanno progetti nelle scuole di ogni ordine e grado perchè la mattanza a cui assistiamo si può combattere solo con la prevenzione".
Per chi, dunque, ancora chiede se il problema possa essere risolto e come, la risposta arriva dalle operatrici delle decine dei Centri Antiviolenza, e dalle donne impegnate ogni giorno nella lotta alla violenza maschile contro le donne. "E' un problema culturale" - la voce unanime che si leva e che considera il femminicidio la punta di un'iceberg di una violenza diffusa che affonda le radici in rapporti di potere squilibrati e in pericolosi modelli di genere polarizzati e stereotipati. "Un fenomeno strutturale e come tale va affrontato", è stato ripetuto più volte, a sottolineare che la violenza di genere ha a che fare con il welfare inaccessibile, con le disparità salariali, con il diritto alla salute e all'aborto negato, con la precarietà lavorativa che colpisce soprattutto le donne e con la necessità di promuovere l'educazione di genere nell'ambito delle scuole e delle Università.