Martedì, 10 Luglio 2018 17:35

Omicidio Vasto, in Corte d'assise d'appello per Di Lello pena ridotta a 20 anni

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Condannato a 20 anni di reclusione, dalla Corte d'Assise d'Appello dell'Aquila, il trentacinquenne Fabio Di Lello, dopo i 30 anni inflitti in primo grado dalla Corte d'Assise di Lanciano (Chieti), per l'uccisione a colpi di pistola di Italo D'Elisa, 21 anni, avvenuta davanti a un bar di Vasto (Chieti) il primo febbraio 2017.

Sette mesi prima il giovane aveva investito con la sua auto la moglie di Di Lello, Roberta Smargiassi, che era alla guida di uno scooter. La donna si schiantò contro un semaforo, cadde sull'asfalto e morì poco dopo in ospedale.

Il procuratore della Repubblica di Vasto, Giampiero Di Florio, che aveva istruito il processo in Corte d'Assise di Lanciano, in primo grado aveva chiesto l'ergastolo per Di Lello.

La condanna a 30 anni, per omicidio volontario premeditato, era effetto dello sconto di pena previsto dal giudizio abbreviato.

Legali Di Lello: "Giudici hanno capito il dramma umano"

"Non c'è soddisfazione in una sentenza pur sempre di omicidio, ma siamo felici per la comprensione della Corte che ha capito il dramma psicologico e umano di Di Lello anche rafforzata dalla perizia psichiatrica del giovane". A sostenerlo sono i legali difensori di Fabio Di Lello, Giuliano Milia e Pierpaolo Andreoni, che anche attraverso perizie tecniche hanno chiesto le attenuanti generiche e la minorata difesa per il loro assistito condannato in primo grado a 30 anni di reclusione per avere ucciso a colpi di pistola Italo d'Elisa, di 21 anni.

Difesa che ha puntato sulla clemenza della Corte per smontare la tesi della premeditazione e sull'interpretazione della perizia psichiatrica ripercorrendo lo stato d'animo di Di Dello dopo la morte della moglie Roberta Smargiassi investita in sella ad uno scooter da D'Elisa nel luglio 2016. Non è stata accolta la richiesta di conferma della sentenza di primo grado sollecitata dal procuratore generale Pietro Mennini e dalle parti civili, Gianrico Ranaldi e Pompeo Del Re.

"Non ci può essere soddisfazione - aggiunge Andreoni - quando sono coinvolte a vario titolo tre famiglie. Abbiamo fatto il nostro dovere di avvocati e i processi si fanno in aula e non con gli articoli di giornale. Ora ci stiamo recando in carcere a Lanciano per comunicare personalmente la notizia a Fabio".

Il procuratore della Repubblica di Vasto (Chieti), Giampiero Di Florio, che aveva istruito il processo in Corte d'Assise di Lanciano (Chieti) e che in primo grado aveva chiesto l'ergastolo per Di Lello, non ha voluto rilasciare dichiarazioni sulla sentenza.

Madre della vittima: "Ucciso una seconda volta dallo Stato"

Ha gridato tutto il suo dolore in aula Diana Cupaiolo, la mamma di Italo d'Elisa ucciso il 1° febbraio 2017 da alcuni colpi di pistola davanti a un bar a Vasto da Fabio Di Lello, alla lettura della sentenza della Corte d'Assise d'Appello a L'Aquila che ha ridotto la condanna al carcere da 30 a 20 anni all'omicida.

"Lo Stato lo ha ucciso un'altra volta - ha detto la donna - invece di stare vicino alle persone che vi si affidano per essere protette dalla giustizia".

Rincarano la dose anche Andrea e Alessandro d'Elisa, fratelli di Angelo, padre di Italo, che insieme vogliono commentare quanto ascoltato dal presidente della Corte d'Assise d'Appello.
 
"Siamo rimasti esterrefatti: come si fa a pronunciare una sentenza del genere che dà un colpo di grazia alla giustizia?" dichiarano all'ANSA. "Lo stato di diritto - sostengono - deve essere rispettato. I difensori di Di Lello hanno sfidato le istituzioni che dopo questa sentenza si dimostrano deboli. Di Lello ha ucciso Italo e ora che fanno? Gli danno un premio riducendogli la pena". E aggiungono: "Come si fa a concedere le attenuanti generiche per l'uccisione a colpi di pistola di un bambino (ndr, riferendosi al nipote 21enne) che andava in bicicletta? Questa sentenza è un messaggio negativo per tutti i giovani. Italo è morto - dicono Andrea e Alessandro - nessuno può più fargli del male, ora però a morire è stata la giustizia. Un atteggiamento che non riusciamo a capire è sicuramente un disvalore".

La famiglia D'Elisa aspetterà di leggere la sentenza e poi deciderà se seguire la strada del terzo grado di giudizio con il ricorso in Cassazione "perché comunque e sempre crediamo nella giustizia che vogliamo per il nostro Italo, fino alla fine".

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