Venerdì, 14 Dicembre 2018 16:06

GSSI: i premi Nobel Rubbia e Barish all'inaugurazione dell'anno accademico. Marica Branchesi: "Nella scienza donne ancora troppo discriminate"

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I premi Nobel per la fisica Berry Barish e Carlo Rubbia e il presidente dell’Istat Maurizio Franzini, docente dell’università La Sapienza, hanno partecipato alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico 2018/19 del Gran Sasso Science Institute, la scuola di dottorato internazionale nata all’Aquila dopo il terremoto su impulso della Regione Abruzzo, del ministero dell’Economia e dell’Ocse e in sinergia con l'Università dell'Aquila, divenuta, nel 2016, Scuola Universitaria Superiore a Ordinamento Speciale, al pari della Sissa di Trieste, della Normale e della Sant’Anna di Pisa, dello Iuss di Pavia e dell’Imt di Lucca.

"Dopo il triennio sperimentale, e i due anni vissuti come istituzione universitaria superiore” ha osservato il rettore Eugenio Coccia nel suo intervento di apertura “possiamo fare un primo bilancio. Siamo l'università più giovane e più internazionale d'Italia, con circa metà dei nostri allievi provenienti dall'estero. Quest’anno abbiamo ricevuto oltre 1300 domande per 34 borse di studio. Rispetto al passato, abbiamo aperto alcune posizioni in meno perché abbiamo scelto di dar vita a un dottorato di quattro anni".

Il numero delle applications, ossia delle domande, inviate da parte di aspiranti dottorandi è cresciuto negli anni e, ha ricordato Coccia, il tasso di rinunce è praticamente nullo. Chi entra al Gssi ci rimane, non va via, e ciò è merito anche del metodo utilizzato dall’istituto - che offre quattro corsi di dottorato: Fisica, Matematica, Informatica e Scienze Sociali - nella selezione dei candidati.

Diamo sicuramente importanza al merito e alla preparazione” ha ricordato Coccia “ma non ci fermiamo solo a quelli, guardiamo molto anche il talento dei nostri studenti. Cerchiamo di vedere se nei loro occhi brilla una scintilla. Se dovessimo considerare solo la preparazione, dovremmo selezionare solo studenti italiani, perché magari chi viene dall’estero ha dei gap legati a corsi di laurea diversi dai nostri. D'altra parte, chi ci sceglie lo fa perché capisce che qui si può davvero fare ricerca in modo innovativo, senza trovarsi di fronte tutta una sovrastruttura di professori anziani che possano comprimerla. Siamo un terreno libero”.

Anche molti docenti del Gssi, ha ricordato Coccia, provengono dall’estero o sono professori italiani che hanno lavorato e fatto ricerca per molti anni in alcuni dei più prestigiosi atenei del mondo e sono tornati in Italia per insegnare nell’istituto.

Basta dare uno sguardo al comitato scientifico, di cui fanno parte, oltre all’ex ministro Fabrizio Barca, Riccardo Barbieri della Scuola Normale di Pisa, Simona Iammarino della London School of Economics, Sanjit Seshia dell’Università di Berkeley, in California, lo stesso Barry Barish, vincitore del premio Nobel per la Fisica 2017, insieme a Rainer Weiss e Kip Thorne, per la scoperta delle onde gravitazionali.

Nella lista dei docenti figura invece Carlo Rubbia, anche lui premio Noberl per la Fisica nel 1984 e, dal 2013, senatore a vita.

Internazionalizzazione ma anche connessione con il territorio

Il Gssi è legato a doppio filo con l’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN) e i Laboratori del Gran Sasso, i più grandi laboratori ipogei del mondo, e coltiva un rapporto di osmosi con una città, L’Aquila, che sta pensando a come riprogrammare il proprio futuro dopo il terremoto del 2009.

Vogliamo contribuire alla rinascita della città con la nostra capacità di attrarre studenti e docenti di tutto il mondo, nella consapevolezza che la mobilità del capitale umano qualificato porta sempre dei benefici per un territorio” ha detto Coccia, che ha ricordato anche alcuni progetti sviluppati dal Gssi per la gestione dei processi di ricostruzione, come le piattaforme Open Data Ricostruzione e Cuim (Center for Urban Informatics and Modeling).

Rubbia: “Portare in Italia tanti ricercatori quanti ne esportiamo”

“Siamo in un momento molto felice per la ricerca nel campo della fisica atroparticellare” ha detto il Nobel Rubbia “Il 95% di quello che esiste nel nostro universo è ancora sconosciuto. Quindi per un giovane che voglia iniziare un programma di ricerca in questo settore ci sono campi sterminati. Sappiamo, per esempio, che in tutte le galassie la materia è separata dalla luce, vediamo le stelle e poi la materia oscura. C’è un’occasione, per i giovani ricercatori, di poter capire meglio cosa succede in questo campo. Comprenderlo è fondamentale, perché signfica comprendere anche quello che accade non solo nella nostra galassia ma in tutto l’universo”.

Riuscire ad attrarre tanti ricercatori quanti ne esportiamo: è questa, secondo Rubbia, la sfida più grande che deve fronteggiare l’Italia: “Credo che sia normale, per un ricercatore italiano, andare all’estero. Io viaggio molto e ovunque vada trovo ricercatori italiani che sono riusciti a farsi apprezzare e rispettare. E’ positivo che ci sia questo flusso verso altri paesi, quello che non funziona è che pochi stranieri vengono a fare ricerca in Italia. Dovremmo raggiungere un equilibrio: per ogni nostro ricercatore che va all’estero dovrebbe essercene uno che arriva da noi. Siamo molto meno competitivi rispetto ad altri paesi ed è normale che chi voglia fare vera ricerca vada nel posto che assicura le migliori condizioni per svolgerla”.

Marica Branchesi: “In Italia ancora troppe discriminazioni per le donne che fanno ricerca”

Alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico ha partecipato anche l’astrofisica Marica Branchesi.

Docente del Gssi, dove è entrata un anno e mezzo fa, la Branchesi, in virtù del ruolo svolto nella ricerca che ha condotto alla scoperta delle onde gravitazionali, è stata inserita, nel 2017, dalla rivista Time nella lista delle 100 donne più importanti al mondo e da Nature in quella delle dieci personalità scientifiche più influenti a livello internazionale.

La Branches è intervenuta insieme ad altre due scienziate, Elisabetta Baracchini e Karoline Schaeffner, anch’esse docenti al Gssi.+

Ai microfoni dei giornalisti, la scienziata urbinate ha parlato delle discriminazioni che le donne che fanno ricerca in Italia sono ancora costrette a subire: “Purtroppo i numeri ci dicono che le donne che fanno ricerca sono molte meno degli uomini e questo dipende dal fatto che ci sono ancora tanti stereotipi, che andrebbero abbattuti a partire dalle scuole elementari. Si porta a pensare le bambine che quello dello scienziato sia un mestiere difficile per una donna. Così come un altro stereotipo da combattere è quello secondo cui uno scienziato è una persona isolata, sola. Al contrario, gli scienziati lavorano in grandi collaborazioni e hanno una vita sociale normalissima. Anche alcune dichiarazioni che ci sono state di recente (il riferimento è alle parole di Alessandro Strumia, scienziato del Cern che aveva dichiarato che la “fisica non è donna”, che l'uguaglianza è degenerata nel gender e che sono gli uomini a subire discriminazioni nel mondo della fisica, dove, benché più bravi, si vedono scavalcare da donne con meno meriti di loro, ndr) sono totalmente errate. Non c’è nessuna prova scientifica della non parità tra uomo e donna”.

Secondo la Branchesi in Italia è in atto una generale regressione culturale che sfocia in un diffuso pregiudizio antiscientifico: “Le persone non riescono più a capire cosa è vero dal punto di vista scientifico e cosa non lo è. Penso che noi scienziati dobbiamo lavorare di più su questo, per far capire alla gente quanto è bella la scienza e cosa significhi fare scienza. Dobbiamo far comprendere la diversità tra qualcosa che viene dimostrato attraverso la ricerca  e qualcosa che viene detto senza nessuna base scientifica”.

Tutto ciò, ha affermato la Branchesi, va fatto in maniera decisa: “Io non sono per un approccio morbido. Secondo me di fronte a affermazioni antiscientifiche, le persone devono sapere che quello che viene detto loro è privo di veridicità. Affermazioni del genere non possono essere prese e trattate con leggerezza”.

A Barry Barish il rosone di Collemaggio

Nel pomeriggio il sindaco dell'Aquila, Pierluigi Biondi, ha consegnato al Nobel Barry Barish un dono da parte della città – una riproduzione del rosone della Basilica di Collemaggio –, alla presenza del Rettore Eugenio Coccia, della Rettrice dell'Università dell'Aquila Paola Inverardi e del Direttore dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso Stefano Ragazzi.

Il primo cittadino ha affermato: "Si tratta di un piccolo ma significativo gesto, con cui la città dell'Aquila intende mostrare gratitudine a Barish per la sua straordinaria attività di ricerca e di guida scientifica, svolta da ormai molti anni nel nostro territorio, sia ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso sia al Gran Sasso Science Institute". Il Nobel ha ringraziato per il dono e ha commentato: "Grazie per questo pensiero, simbolo non solo di una città che rinasce e si ricostruisce come luogo di scienza e sapere, ma anche di un legame ormai indissolubile tra la cittadinanza – la società – e gli scienziati, oggi non più chiusi nella loro torre d'avorio, ma protagonisti della rinascita".

Ultima modifica il Venerdì, 14 Dicembre 2018 17:09

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