Mai dire mai.
Grazie a una sentenza della Corte di Cassazione, un’associazione culturale che nel 2004 organizzò uno spettacolo musicale per l’annuale edizione della Perdonanza Celestiniana senza, però, essere pagata, potrà finalmente incassare i soldi.
La suprema corte, infatti, confermando le sentenze di primo e secondo grado e ponendo fine a un contenzioso durato ben 15 anni, ha condannato il Comune dell’Aquila a liquidare il contributo, lievitato, nel frattempo, per via delle spese processuali, forfettarie e accessorie, dai 3mila euro originari (quelli dei cachet dei musicisti) a circa 15mila euro.
La sentenza, risalente al 14 febbraio, pur riguardando una causa di per sé tutto sommato marginale se esaminata solo dal punto di vista dell’entità del contenzioso, potrebbe, tuttavia, scoperchiare un vaso di Pandora qualora altre associazioni e altri artisti che attendono ancora di essere pagati per le edizioni 2002, 2003 e 2004 della Perdonanza – quelle divenute tristemente celebri per i buffi e le brutte figure internazionali – tornassero a esigere i propri crediti.
I debiti che l’Istituzione Perdonanza – l’organismo, diretto da Michele Gentile, a cui il Comune, in quegli anni, affidò il compito di organizzare l’annuale giubileo celestiniano - accumulò per contratti mai onorati ammontano, infatti, a 2 milioni di euro.
E anche se l’Istituzione - presieduta da Antonio Cicchetti, per un breve tempo vice commissario del terremoto dell’Aquila - non esiste più dal 2005 (venne sciolta con una delibera di consiglio), con questa sentenza quei debiti potrebbero tornare in ballo e andare a finire sul groppone del Comune.
La Cassazione, infatti, ha stabilito definitivamente che l’Istituzione Perdonanza era a tutti gli effetti - ai sensi sia del Testo unico degli enti locali che dello Statuto e dei Regolamenti dell’ente pubblico - un organismo strumentale dell’ente, smontando così la tesi difensiva dell’Avvocatura comunale, che aveva tentato di dimostrare come l'Iistituziome fosse da considerarsi, invece, un soggetto giuridico autonomo, indipendente. La stessa Avvocatura aveva osservato, inoltre, che il credito di 3mila euro vantato dall’associazione non era esigibile perché mancava l'impegno di spesa del Comune e anche perché il contratto stipulato tra l’associazione e l’Istituzione (firmato direttamente da Gentile ) non era, in realtà, un vero contratto ma una carta priva di valore.
Tutte obiezioni che la Cassazione ha però giudicato infondate, ribadendo quanto aveva stabilito già la Corte d’Appello dell’Aquila, nella cui sentenza (risalente al 2014) si legge:
L’ente si ostina a negare un debito contratto da un proprio organismo di carattere pacificamente strumentale, quale l’Istituzione Perdonanza Celestiniana, al cui direttore (..) era stata conferita la facoltà di stipulare contratti.
L’Istituzione, in altre parole, agiva in nome e per conto del Comune.
Inoltre, è scritto sempre nelle carte processuali, fu lo stesso Comune, per mano di un dirigente del settore Finanze, a spedire all’associazione (la Muteart di Francavilla) un documento nel quale riconosceva il debito.
Ora l’amministrazione avrà 120 giorni, a partire dalla notifica della sentenza, per pagare. E chissà cosa potrà accadere qualora questa vicenda non rimanesse un caso isolato e i principi riconosciuti dalle sentenze si estendessero anche ad altri casi analoghi.
“I giudici” commenta Sara Cecala, l’avvocato che, insieme a Luciano Dell’Orso, ha curato il ricorso presentato dall’associazione “hanno correttamente condannato l’ente ed il suo operato restituendo una verità incontrovertibile, le amministrazioni sono sempre responsabili dei debiti contratti dai propri enti strumentali, come fu all’epoca l’Istituzione Perdonanza. Spiace infine aver constatato come il Comune dell’Aquila, con spavalda ostinazione, abbia tentato, invano, tradendo quel sentimento di fiducia e di affidamento che la cittadinanza ripone nelle istituzioni pubbliche, di reputarsi estraneo ai fatti, tra l’altro, in contraddizione col suo stesso agire ed in palese violazione ai principi e alle finalità che un ente pubblico è tenuto, per sua natura, a perseguire. Auspico che questa possa essere l’occasione per riaprire ed affrontare la questione anche attraverso l’intervento dell’organo consiliare, per porre finalmente rimedio ad una condotta che ha leso, oltre gli sfortunati protagonisti, anche l’immagine della città”
Le edizioni 2002, 2003 e 2004 della Perdonanza sono tutt’ora ricordate per le spese fuori controllo e per i due premi internazionali per la Pace (il primo al vescovo di Sarajevo e l’altro all’Alto commissario dell’Onu Sérgio Vieira de Mello, poi morto in un attentato a Baghdad) mai arrivati a destinazione.
L’ex direttore Michele Gentile, accusato di peculato, falso materiale e ideologico, fu condannato qualche anno fa dalla Corte d’Appello di Perugia a 2 anni e 4 mesi di reclusione e al risarcimento del Comune per danni patrimoniali e non patrimoniali.
Gentile finì sotto inchiesta quando si scoprì che aveva inviato false lettere al ministero dei Beni culturali per il finanziamento della Perdonanza, predisponendo anche falsi mandati di pagamento, per un ammontare di circa 500mila euro.
Nel buco da 2 milioni creato dall’Istituzione Perdonanza c’era di tutto: dalle forniture dei pasti alle consulenze contabili, dai figuranti e dai tanti ragazzi che lavorarono in quelle edizioni ai cachet dei musicisti e degli artisti, dai conti dei ristoranti a quelli degli alberghi.
Una voragine che si pensava definitivamente chiusa e che ora, a sorpresa, potrebbe riaprirsi.