C'è un legame tra i terremoti che scuotono l'Appennino e la presenza di anidride carbonica nelle falde: i campionamenti fatti negli ultimi dieci anni mostrano infatti che la CO2 raggiunge la sua massima concentrazione in occasione di intensa attività sismica.
La scoperta è stata pubblicata sulla rivista Science Advances dall'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e dall'Università di Perugia.
"Dai dati emerge una correlazione tra i due fenomeni, ma non sappiamo ancora se la CO2 è un segnale che annuncia il sisma: per verificarlo si tenterà un monitoraggio continuo nel tempo", spiega Carlo Cardellini dell'Università di Perugia.
Lo studio ha preso in esame dati geochimici e geofisici raccolti dal 2009 al 2018, inclusi quelli relativi ai grandi terremoti dell'Aquila, di Amatrice e Norcia.
"Per quanto le relazioni temporali tra il verificarsi di un evento sismico e il rilascio di CO2 siano ancora da approfondire - precisa Giovanni Chiodini dell'Ingv - in questo studio ipotizziamo che l'evoluzione della sismicità nella zona appenninica sia modulata dalla risalita del gas che deriva dalla fusione di porzioni di placca che si immergono nel mantello".
Questa produzione continua di anidride carbonica in profondità e su larga scala favorisce la formazione nella crosta terrestre di serbatoi ad alta pressione. "La sismicità nelle catene montuose - aggiungono i ricercatori dell'Ingv Francesca Di Luccio e Guido Ventura - potrebbe essere correlata alla depressurizzazione di questi serbatoi e al conseguente rilascio di fluidi che, a loro volta, attivano le faglie responsabili dei terremoti".