Giovedì, 01 Maggio 2014 07:29

1° maggio, il lavoro che non c'è: le storie degli aquilani costretti ad emigrare

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Agostino, costretto a lasciare L'Aquila a 46 anni: "Se si dovesse creare l'opportunità, tornerei di corsa. La crisi del nostro comprensorio è responsabilità della politica: non ha saputo sostenere le esperienze del territorio né attirare nuove competenze"

Agostino ha 46 anni. Fino a qualche mese fa, viveva a L'Aquila. Diploma di Perito informatico alle Industriali, lavorava come progettista software in una azienda del comprensorio aquilano. "Ho sempre lavorato lì: si sono succedute - negli anni - diverse società, ma ho sempre lavorato lì".

Per 24 anni: Agostino, infatti, ha iniziato a lavorare nel 1989. "Questo doveva essere il 25esimo anno di lavoro, e invece...". 

Invece, è stato 'costretto' a trasferirsi a Bologna. "L'azienda vive delle difficoltà oggettive, dovute certamente alla crisi economica ma anche a vicende assolutamente locali. Il territorio non ha saputo offrire spunti all'azienda perché mantenesse i livelli occupazionali. Si parla tanto di nuovi posti di lavoro: le aziende del comprensorio, però, non riescono neppure a mantenere i lavoratori già impiegati".

Cosa si doveva fare e non si è fatto? "Dopo il terremoto, in molti auspicavano una crescita economica e lavorativa con nuove opportunità per le aziende esistenti e l'arrivo di nuove forze produttive. Non è accaduto. E la colpa, a parer mio, è soprattutto della politica: non ha saputo potenziare e sostenere le esperienze del territorio né attirare nuove competenze. In Emilia Romagna, ad esempio, la Regione ha approvato delle ordinanze ad hoc per il sostegno alle imprese del territorio. L'azienda dove lavoravo che, come altre nel comprensorio aquilano, ha capacità e competenze riconosciute a livello internazionale, avrebbe potuto partecipare attivamente al processo di ricostruzione. Ne è rimasta esclusa invece, vuoi per poca lungimiranza dell'azienda, vuoi per volontà politiche".

E i soldi ci sarebbero, se è vero che il 5% dei fondi per la ricostruzione è destinato alle attività produttive. "Davvero un peccato. L'azienda dove lavoravo ha avuto e ha ancora importanti collaborazioni con l'Università, fino a qualche tempo fa offrendo posti di lavoro, oggi per la formazione dei ragazzi. Purtroppo, i laureati mantengono un ottimo livello di preparazione: a scomparire, pian piano, sono le aziende".

Agostino aveva un contratto a tempo indeterminato. Il senso di indeterminatezza che viveva, però, l'ha spinto a guardarsi intorno: "Quando ho capito che correvo davvero il rischio di vivere una situazione di maggiore precarietà, con il timore di dover affrontare un lungo periodo di 'pausa' - che vuol dire perdere competenze, manualità, facilità di affrontare i processi - ho iniziato a guardarmi intorno. Ho rifiutato due offerte: la prima in Irlanda, alla Intel, l'altra in una azienda di automotive, a Berlino. Poi, è arrivata l'occazione giusta: un ex responsabile che aveva già lasciato L'Aquila per venire a lavorare a Bologna mi ha prospettato l'opportunità di seguirlo. Ed eccomi qui".

L'Aquila, in realtà, non aveva proprio intenzione di lasciarla: "Se si dovesse creare l'opportunità, tornerei di corsa. Mancano gli amici, gli affetti. Manca la città: una passeggiata alla Madonna Fore. Manca il tempo: a L'Aquila, avevi il tempo di fare le cose. A Bologna, se la mattina appena sveglio non pianifichi cosa fare durante la giornata, non riesci affatto a farla".

 

La storia di Marco e Elena: lui informatico, lei biologa, hanno deciso di lasciare L'Aquila e l'Italia con un figlio piccolo pur vivendo una situazione non certo disagiata (casa di proprietà, contratto a tempo indeterminato per Marco). Nell'autunno scorso hanno salutato parenti e amici e sono volati ad Amsterdam. "Non si va via dalla propria terra solo perché si vive un momento di difficoltà" spiegano "Dietro questa scelta c'e' la consapevolezza maturata negli anni di una completa mancanza di prospettive dovuta sia ad uno Stato malato sia a una mentalità diffusa, di persone assuefatte o complici. La situazione dell'Aquila post terremoto ha avuto il peso di aprirci ancor di più gli occhi su quello che lo Stato Italiano riserva ai cittadini"

Cari Elena e Marco, vivete ad Amsterdam ormai già da qualche mese. Come siete arrivati in Olanda?La vostra scelta di costruirvi un futuro fuori dall'Italia è stata una scelta obbligata oppure no?

La nostra avventura è iniziata per gioco: una società di Recruiting londinese mi ha contattato offrendomi di partecipare ad una selezione e ho accettato con il solo scopo di misurare la mia abilità professionale. Durante questo percorso sono accadute varie vicende nella nostra vita privata e nella vita lavorativa di Elena che ci hanno spinto ad accettare la vera e propria proposta di lavorare in Olanda, che è arrivata nel mese di Agosto 2013. La scelta sicuramente non è stata obbligata, lavoravamo entrambi (entrambi ci siamo dovuti licenziare dai rispettivi lavori), avevamo casa di proprietà e da lì a breve non saremmo finiti sotto un ponte.

Quanto ha pesato la situazione dell'Aquila, il post-terremoto, nella vostra decisione?

L'occasione di andar via da L'Aquila già l'avevamo avuta subito dopo il terremoto quando Elena è rimasta disoccupata e per necessità ci siamo spostati a Roma dove lavoravo. Dopo un paio di anni nei quali Elena ha sistemato la sua posizione lavorativa, siamo riusciti a tornare a L'Aquila città in cui desideravamo fortemente riabitare. La situazione di L'Aquila post terremoto ha avuto principalmente il peso di aprirci ulteriormente gli occhi su quello che lo Stato Italiano riserva ai cittadini.

I vostri amici e colleghi olandesi vi hanno chiesto perché siete andati via? Sanno cosa è successo all'Aquila? Che percezione hanno di quel che è accaduto qui?

Si, tutti chiedono perchè ci siamo trasferiti e noi rispondiamo che "l'abbiamo fatto per lavoro..."; quando decidono di approfondire e apprendono che siamo italiani e di una città del centro Italia e nominiamo L'Aquila, rimaniamo sorpresi nel sentire che sanno bene cosa è accaduto e li troviamo sensibili e partecipi nel comprendere quanta poca fiducia possiamo avere nello Stato a cui apparteniamo. Alcune settimane fa i principali canali televisivi olandesi hanno trasmesso un reportage su L'Aquila in occasione del quinto anniversario dal sisma; loro conoscono la sventura che è capitata alla nostra città e conoscono ancor di più la politica italiana e l'instabilità di un governo che ha finito con il peggiorare una situazione già di per sè difficile da risanare.

Siete una giovane coppia con un bimbo piccolo. Che realtà avete trovato in Olanda? Siete riuscirvi ad integrarvi bene? Quali sono le difficoltà maggiori che avete incontrato?

L'integrazione in Olanda non è difficile, è un paese culturalmente abituato ad accogliere “expat”: dal fruttivendolo all'ufficio tasse ai presidi medici tutti parlano sia dutch sia inglese e non ti fanno pesare minimamente di essere uno straniero. Lo stato incentiva l'immigrazione in alcuni settori lavorativi offrendo uno sconto sulle tasse per compensare gli sforzi economici che una famiglia deve sostenere nei primi anni di trasferimento. In particolare nella città in cui viviamo, Amsterdam, salta all'occhio la moltitudine di servizi facilmente accessibili a tutti: anziani, disabili e famiglie con bambini. Emotivamente la lontananza dalla famiglia, dagli amici più cari e dalla nostra terra è stato ed è tuttora lo scoglio più duro da superare...

Come si svolge la vostra vita? Parlateci delle vostre giornate, di come si vive in Olanda...

Essendo freschi di trasferimento siamo ancora in fase di assestamento e con le novità che si presentano giorno per giorno non siamo entrati in una vera e propria routine. L'impressione è che qui si lavori per vivere e non il contrario; la nostra vita familiare è cambiata molto dal momento che abbiamo più tempo per stare tutti insieme grazie alla qualità di vita che questa città, pur essendo una capitale europea, offre. Certamente non è una città priva di problemi ma abbiamo la sensazione che qui ci sia spazio per provare a concretizzare le proprie aspettative...ma magari per questo ci risentiamo tra qualche tempo!

Come guardate, ora che siete lontani, all'Italia e alla vostra città? Se ci fosse un'occasione per poter tornare la accettereste?

Per quanto riguarda la situazione italiana confessiamo che in questo primo capitolo della nostra vita da espatriati la seguiamo saltuariamente e mal volentieri risultandoci sempre più incomprensibile; per quanto riguarda la nostra città siamo sempre attenti a quello che succede seguiamo i diversi canali di informazione e ne parliamo con tutti costantemente... insomma è un chiodo fisso: ancora non abbiamo piantato le radici qua e già pensiamo a quando ritorneremo a “casa” . Abbiamo nostalgia ma ci rammarichiamo anche nel sentire le tante storie di persone a noi care che sono drasticamente mutate nel corso di questi ultimi anni. Se ci fosse una occasione per tornare con il cuore l'accetteremmo, con la ragione no. Vediamo in questa scelta una opportunità di crescita per noi e per i nostri figli che tuttora speriamo di avere la forza e la capacità di portare avanti (perchè ad oggi non passa giorno nel quale non pensiamo di rientrare alla base) e poi non neghiamo un certo spirito di avventura che nel bene e nel male ci caratterizza.

 

Paolo, 36 anni, informatico. Da L’Aquila a Pescara passando per Bologna, alla ricerca di una vita normale.

Nella vita sono sempre stato abbastanza statico. Prima di gennaio non mi ero mai spostato da L’Aquila, né per studio né per lavoro. Dopo il sisma, stavo lavorando a partita Iva insieme ad un amico. Sono laureato in informatica e insieme a lui spaziavamo dalla progettazione di siti web ad applicazioni personalizzate. La domanda veniva quasi tutta da fuori città e comunque non riuscivo neanche a pagare le tasse.

Ho deciso allora di iscrivermi ad un master di primo livello all’Università dell’Aquila in tecnologie web. L’ho fatto soprattutto per avere la possibilità di poter fare un’esperienza presso un’azienda seria e vedere cosa significa lavorarci, perché quelli sono gli ambienti veramente formativi.

A fine Master ci hanno chiesto dove volevamo fare il tirocinio. L’Aquila, per una esperienza che potesse riservare uno sbocco lavorativo, era fuori discussione. Per questo, dallo scorso gennaio mi sono trasferito a Pescara dove sto lavorando in una start up che, per ora, mi paga i rimborsi in buoni pasto, con la prospettiva però di un contratto. Insomma, è chiaro che mi sono mosso grazie alle mie risorse per fare un investimento che spero riesca. 

Qui l’azienda fa ricerca sviluppando cose proprie e, in parte, prende commissioni soprattutto dal mondo delle banche, che sembra sia l’unico a poter garantire delle entrate. Volevano assumere subito, ma un po’ di cose sono andate storte con altre imprese più grandi che non hanno pagato lavori per migliaia di euro. Insomma tutto è sempre in forse, come la mia vita da cui non mi aspetto più niente a livello di certezze lavorative, fino all’ultimo non puoi mai sapere. Certo la prospettiva di cui si parla è un contratto da metalmeccanico di quinto livello con contributi e tredicesima… insomma una cosa “normale”, di quelle che ormai ci siamo scordati.

Intanto, per almeno tre mesi, andrò per loro a Bologna, in un’altra azienda affiliata che ha bisogno di personale qualificato. Se tutto va bene, al rientro dovrei ottenere il contratto a tempo indeterminato. Bologna non mi spaventa, la prendo come un’esperienza. Inoltre, l’azienda dovrebbe pagarmi le trasferte e, stando a Pescara, col treno non avrò problemi a tornare a casa nei week end. Da L’Aquila infatti mi ha seguito anche la mia compagna che da poco ha trovato lavoro qui, in un bar. Con la stagione invernale anche a Pescara, come in tutta Italia, le cose stanno abbastanza ferme con tutti che tirano le cinghia e tendono a fare contratti ridicoli. Ora con l’arrivo della bella stagione in quel settore chiaramente si trovano maggiori opportunità.

Io non riesco ad avere una visione del futuro, sto andando a step. Nel momento in cui avrò un tot di conoscenze e professionalità conto di fare anch’io le mie scelte. Se ci sarà la possibilità di riavvicinarmi all’Aquila lo farò, perché per me ‘casa’ è L’Aquila anche se non ho una casa di proprietà e quindi per ora, affitto qui o là, non mi cambia poi molto. Perché bene l’attaccamento al territorio e l’amore per la propria terra, ma se mancano i soldi per vivere c’è poco da fare, devi cercare di andarteli a prendere da qualche altra parte.

 

 

 

Ultima modifica il Giovedì, 01 Maggio 2014 10:34

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