Giovedì, 12 Gennaio 2023 12:09

A L'Aquila oggi un presidio durante l'udienza ai 31 attivisti contro il 41bis

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Si è tenuta questa mattina, nel Tribunale dell'Aquila, l'udienza nei confronti di 31 attivisti raggiunti dal decreto penale di condanna, per aver manifestato, il 24 novembre 2017, contro la tortura del 41 bis e il comportamento dell'amministrazione penitenziaria nei confronti della prigioniera politica Nadia Lioce, “un vero e proprio accanimento vessatorio” così viene definito dagli organizzatori del presidio che si è tenuto davanti a Palazzo di Giustizia.

Proprio il 24 novembre 2017 infatti si è svolta la terza udienza del processo alla Lioce, accusata di aver turbato la quiete del carcere, attraverso una serie di "battiture" delle sbarre con una bottiglietta di plastica.

La Lioce fu assolta perché l'isolamento estremo in 41 bis non consentiva né a lei, né agli altri detenuti sottoposti a questo regime di avere percezione di tale "disturbo", cosicché lo stesso reato per cui veniva perseguita si configurava come un reato impossibile.

Ma cos’è il 41bis e perché negli ultimi mesi se ne sta parlando così tanto?
L'articolo 41-bis, definito anche carcere duro, è un regime di detenzione carceraria che si applica nei confronti dei condannati per alcune tipologie di reato o in situazioni di particolare emergenza.

Questo tipo di detenzione viene ordinariamente applicato ai mafiosi, in quanto il suo obiettivo è quello di impedire il passaggio di ordini, informazioni o qualsiasi tipo di comunicazione sia tra i detenuti che all’esterno del carcere.
Negli anni questa tipologia di regime di detenzione è stato applicato a casi anche molto diversi dal fenomeno mafioso, ed in generale è stato ritenuto da molti giuristi come una modalità carceraria anti-costituzionale.

Il carcere duro ad oggi prevede che il detenuto viva in una cella singola senza alcun contatto con gli altri detenuti, e senza accesso alle parti comuni del carcere. L’ora d’aria viene concessa solo per alcune tipologie di reato e per un massimo di due ore al giorno, un solo colloquio al mese con i familiari, attraverso un vetro, e l’impossibilità di possedere alcun tipo di libro o rivista.
Insomma, l’isolamento completo, fisico e mentale all’interno del carcere.

In tanti nelle ultime settimane stanno organizzando presidi e manifestazioni contro il carcere duro e per chiedere la liberazione di Alfredo Cospito, anarchico detenuto per oltre 10 anni nel carcere di Bancali, a Sassari, perché dichiarato responsabile di aver ferito alle gambe l’amministratore dell’Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi, nel 2012. Successivamente accusato di aver collocato due pacchi esplosivi “a basso potenziale” nel sito della Scuola per allievi carabinieri di Fossano (Cuneo), nel giugno 2006. L’esplosione non causò né morti né feriti. Dopo aver trascorso 6 anni di carcere nel regime di Alta Sicurezza, è stato sottoposto al regime del 41 bis, “un articolo del codice penale cui non si è fatto ricorso né per le stragi mafiose né per quelle fasciste, con centinaia di morti e feriti. Per non parlare delle stragi sul lavoro, le morti in mare, gli assassinii di donne, le violenze razziste, i massacri nelle carceri, i pestaggi nelle piazze, che rimangono sostanzialmente impuniti” dichiarano gli attivisti scesi in piazza a L’Aquila in una nota stampa.

“L'isolamento carcerario- continua la nota stampa- previsto da tale regime è internazionalmente riconosciuto come una forma di tortura. Un regime che nega l'uso della parola, lo studio, la lettura, la scrittura, la socialità, l'affettività, non può che definirsi un regime di tortura, lenta, continua, sistematica, fino all'annientamento psico-fisico, alla morte o alla resa”

Una lotta che riguarda tutti” così viene definita dagli attivisti scesi in piazza nel capoluogo d’Abruzzo.

Ultima modifica il Giovedì, 12 Gennaio 2023 12:54
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