Martedì, 17 Gennaio 2023 10:51

Il fantasma tradito dalla carne. Quella fitta nebbia che diventa corporea

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Matteo Messina Denaro negli ultimi trent'anni aveva perso, almeno agli occhi dell'opinione pubblica, la sua materia corporea, aveva illuso tutto il mondo di essersi trasformato in un qualcosa di etereo, impalpabile. Come se fosse passato allo stato gassoso al fine di non farsi acciuffare. Come Nebbia.

Già la nebbia è forse il concetto che più si addice a Messina Denaro. Quella Nebbia sporca, dovuta all'inquinamento e allo smog di tragedie atroci e delitti indicibili. Quella nebbia che copre e occulta, quella nebbia che rapisce e nasconde. Quella nebbia da cui lui stesso è stato coperto tra trattative e amicizie, tra accordi e collusioni.

Credeva di essere nebbia, forse credeva di aver assunto la stessa corporeità dei cirri e dei cumuli, invece è stata proprio la sua materia, la sua debolezza la sua malattia a condurlo in manette.

Quel monarca assoluto del male, quell'ultimo boss, il capo dei capi, il referente di Trapani di Cosa Nostra ha dovuto fare i conti con la livella, come direbbe Totò. Questa volta non la livella della morte, come nella poesia, ma la livella della malattia, della debolezza, del tumore, della sofferenza.

Dinanzi a tutto questo non c'è mafia che tenga e così colui che voleva illudersi e illuderci di aver lasciato il suo corpo da quest'ultimo è stato incastrato. Infatti Messina Denaro, come ormai è scritto su tutti giornali, è stato arrestato nella Clinica La Maddalena a Palermo, luogo in cui si era recato per curare le neoplasie che gli erano state diagnosticate precedentemente.

Purtroppo però questa coincidenza del destino, seppur colpisca, non basta a spiegare le dinamiche di questo arresto sul quale pesano dubbi di trattative e accordi, non è abbastanza per concludere la parentesi di Cosa Nostra. Una parentesi che ha visto il nostro paese cadere nel periodo più buio della storia repubblicana, che ha fatto emergere tutte le nostre contraddizioni, che ha messo in discussione ogni cosa e che ha drammaticamente intaccato la fiducia nei confronti dello Stato, della politica e del paese.

La mafia non è finita con questo arresto, lo hanno scritto e detto tutti in questi giorni, i trent'anni di latitanza restano una macchia e un duro colpo inflitto alla sicurezza e alla giustizia del nostro paese, ma è certo che quella di ieri è stata una giornata storica.

Quella nebbia in cui Messina Denaro credeva di essersi evoluto è la nebbia di cui è fatta la mafia, quella condizione di omertà che viene evocata da quella coltre intoccabile, quella fitta e oscura nube che lentamente prolifica mutando ogni cosa nascondendo la luce. Quel banco bianco che ti impedisce di guardarti attorno, che toglie ogni punto di riferimento. Questa nebbia è ciò che la mafia vuole essere.

Ma quanto accaduto ieri ha dimostrato che per quanto si possa credere di essere vapore in realtà si è carne, per quanto ci si possa credere onnipotenti siamo tutti mortali. Questo è ciò che dobbiamo augurarci, ciò per cui combattere, contrastare la nebbia per mostrare la sua corporeità, la sua umanità. Smontare la cupola mattone per mattone.

Messina Denaro al 41 bis dell'Aquila

Fra le notizie collegate all'arresto del boss, è emerso che fra i 22 istituti carcerari presenti in Italia in cui vige il 41 bis, ovvero il regime detto "carcere duro", è stato scelto di portare Messina Denaro nell'istituto dell'Aquila.

La scelta è ricaduta sull'Aquila anche perché il carcere del capoluogo abruzzese vanta un buon reparto di medicina oncologica e consente spostamenti facili verso Roma, due prerogative indispensabili per la condizione di salute dell'ex capo dei capi. Come riporta il quotidiano La Repubblica, "il boss avrà “compagni” di tutto rispetto, nel carcere dell’Aquila, Matteo Messina Denaro. Nomi pesanti di Cosa nostra, come quelli di Filippo Graviano, Carlo Greco e Ignazio Ribisi; della ‘ndrangheta, come Pasquale Condello; e della camorra come Paolo Di Lauro senior e Ferdinando Cesarano. Ma in quel carcere c’è pure Nadia Desdemona Lioce che, per le Nuove brigate rosse, è stata condannata all’ergastolo per gli omicidi Biagi e D’Antona, visto che solo all’Aquila c’è la sezione del 41 bis per le donne."

Ricordiamo che il regime di carcere duro fu pensato per quei detenuti ai quali è necessario impedire di avere contatti con l'esterno al fine di impedire contatti con altri criminali e possibilità di proseguire nella gestione di organizzazioni malavitose. Proprio per questo motivo gran parte dei detenuti condannati al 41 bis sono mafiosi. La condanna al 41 bis comporta rigidissime disposizioni. In primis l’isolamento dagli altri detenuti anche nell’ora d’aria; la limitazione dei colloqui con i familiari, previsti solo uno al mese per la durata di un’ora dietro un vetro. Inoltre è imposto il controllo della posta in uscita ed entrata da parte delle autorità carcerari, l'obbligo a risiedere in una cella singola, in cui è possibile introdurre solamente un numero limitato di oggetti.

Ultima modifica il Martedì, 17 Gennaio 2023 11:55

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