Dopo la sentenza emessa ieri in merito alla tragedia di Rigopiano sono stati tanti i momenti di tensione in aula, accompagnati da altrettante reazioni da parte dell’opinione pubblica nelle ore successive.
Ma per il Procuratore capo di Pescara Giuseppe Bellelli “la sentenza merita rispetto, come rispetto è dovuto al giudice ed alla funzione dallo stesso esercitata, fermo restando il diritto di critica.” così dichiara in una nota stampa.
“Le aggressioni verbali in aula dopo la lettura della sentenza non possono essere tollerate, cosi come non è accettabile il dileggio del magistrato da chiunque posto in essere” continua il Procuratore.
La sentenza duramente contestata dai presenti in aula infatti comprende 25 assoluzioni e cinque condanne decise del gup di Pescara, Gianluca Sarandrea.
“Gli atti processuali documentano come le indagini sono state svolte in ogni direzione; i reati contestati riguardano esponenti di tutti i settori delle pubbliche amministrazioni interessate alla vicenda dopo che, prima del processo, 22 posizioni erano state archiviate” spiega il Procuratore.
Il Procuratore ha anche risposto a chi nelle ore successive alla sentenza aveva insinuato che “vi sarebbero altri responsabili, tenuti fuori dal processo dalla Procura della Repubblica” affermando che “si tratta di tentativi irresponsabili di sviare l'attenzione e le aspettative dai reali temi del processo, e dai fatti, mediante la diffusione di fake news.”
E continua: “Il giudice, nella solitudine della camera di consiglio, decide in piena indipendenza, senza dover assecondare le aspettative della opinione pubblica, attenendosi solo alla legge ed alle risultanze processuali”
Rimane la vicinanza del Procuratore a chi avesse percepito questa sentenza come dolorosa e sconcertante, l’auspicio è quello di vedere “tale disarmonia, che può apparire incomprensibile e della quale anche i magistrati della procura della repubblica di Pescara intendono farsi carico, ricomporsi dopo la lettura delle motivazioni della sentenza, o nei successivi gradi di giudizio”.
Conclude con una citazione dell’avvocato Piero Calamandrei davanti al Tribunale, che afferma che le leggi "perché non siano formule vuote devono scaturire dalla coscienza di cittadini, devono essere sentite come nostre".