Giovedì, 03 Marzo 2016 15:44

Case e Map, Calafati: "Demolizione sarebbe fallimento ricostruzione"

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I nodi che sottendono alla realizzazione del progetto Case e Map, all'indomani del sisma, stanno venendo al pettine, all'improvviso.

Alcune delle palazzine realizzate presentano enormi problemi strutturali che necessiterebbero di importanti opere di manutenzione, sono ancora mal collegate tra loro e con la città, isolate in una enorme e dormiente periferia oltre la periferia, alcune piastre sono sotto sequestro, sigillate, crollano i balconi. C'è poi la spinosa questione delle utenze che sta generando un buco di bilancio pesantissimo per le casse comunali.

E la città, inizia ad interrogarsi sul destino futuro di questi alloggi, dentro un ragionamento più generale che riguarda il nuovo Piano regolatore. Settimana scorsa, in Consiglio comunale è stato approvato il discusso ordine del giorno presentato dal capogruppo del Pd, Stefano Palumbo, che impegna il sindaco e l'amministrazione attiva ad elaborare un piano di abbattimento graduale del compendio immobiliare, "nella misura e con le modalità derivanti da valutazioni di carattere urbanistico, sociale e demografico", e a farsi promotori, presso il Governo, "per il reperimento delle somme necessarie agli interventi".

D'altra parte, i 19 insediamenti del progetto Case, i 20 relativi ai MAP e i 24 ai MUSP, le 1102 abitazioni provvisorie realizzate in base alla delibera 58, le 517 rilocalizzazioni di attività produttive avvenute tramite la delibera 57, le 106 strutture provvisorie a servizio delle maestranze nate dall'ordinanza 711 rappresentano la fotografia di una città 'provvisoria' che fa da sfondo a quella che si sta ricostruendo.

"La ricostruzione sta generando una città sovradimensionata, con una grande quantità di capitale edilizio residenziale in eccesso", ha spiegato sul suo blog Antonio Calafati, coordinatore dell’International Doctoral Programme in Urban Studies del Gran Sasso Science Institute e docente di 'Economia urbana' nell’Accademia di architettura dell’Università della Svizzera Italiana.

"I meccanismi che stanno producendo questa incongrua traiettoria di accumulazione di capitale sono complessi - ha inteso sottolineare - e comprenderli è uno dei temi del progetto di ricerca in corso presso il GSSI su 'L’Aquila del futuro'. In Italia, anche nel caso dei terremoti precedenti si è manifestato lo stesso fenomeno, benché in misura (relativamente) molto inferiore di quanto non stia avvenendo a L’Aquila. Comprendere questa tendenza a sovradimensionare la città (il territorio) dopo un terremoto non è un obiettivo di ricerca di scarsa rilevanza".

Calafati ha affrontato il tema del sovradimensionamento della città fisica dopo aver sollevato la questione nel rapporto indipendente che nel 2012 gli è stato commissionato dall'allora Ministro per la Coesione Territoriale del Governo Monti, Fabrizio Barca. "Negli anni successivi, in diversi contesti, ho continuato a parlarne. Il disinteresse della comunità scientifica locale e nazionale, così come quello della comunità politica locale e nazionale, per questo tema l’ho trovavo ingiustificato".

Improvvisamente, però, il tema è esploso all’attenzione della comunità locale: "Ammetto di essere rimasto molto perplesso alla lettura della notizia che prendo dalla stampa locale (ma tra qualche giorno la notizia arriverà anche sulla stampa nazionale, perché è di rilevanza eccezionale). Si tratterebbe, infatti, di demolire capitale edilizio (nuovo) per un totale di circa 30.000 abitanti equivalenti. Sarebbe la più grande distruzione definitiva di edifici residenziali mai verificatasi in tempo di pace nella storia italiana. Una decisione assolutamente eccezionale che l’ordine del giorno sembra banalizzare a tema di facile soluzione tecnica e politica".

Ogni comunità politica locale ha il diritto-dovere di rappresentare i propri interessi sul palcoscenico politico-amministrativo nazionale, continua Calafati. "La tesi che la razionalità della decisione di demolire capitale residenziale appena costruito per 30.000 abitanti equivalenti - capitale realizzato con risorse nazionali e da demolire con risorse nazionali - sia una questione locale lascia tuttavia qualche dubbio. Una demolizione di eccezionali dimensioni come quella proposta dal Consiglio Comunale di L’Aquila solleva a livello nazionale questioni etiche, economiche, pratiche e politiche di grande complessità. E le ragioni per la demolizione dei complessi C.A.S.E e M.A.P dovranno essere cercate e, ammesso che si trovino, esposte con cura alla collettività nazionale. Perché la loro demolizione significherebbe ammettere il fallimento del modello di ricostruzione di L’Aquila".

Senza dubbio, la vicenda solleva questioni profonde e che attengono ad una dimensione nazionale, non certo locale. E' vero anche, però, che l'ordine del giorno approvato in Consiglio comunale fa riferimento alla graduale dismissione di parte del progetto Case e Map, non certo di tutti gli alloggi costruiti nel post-sisma.

"L'intento dell'Odg era un altro - ha spiegato Palumbo, rispondendo a Calafati, con una nota pubblicata su Facebook - quello di superare un tabù, di mettere in discussione la ingombrante provvisorietà determinatasi a seguito del terremoto, talmente imponente da determinare non solo effetti sociali ma addirittura culturali".

Un tabù che, in effetti, va superato. In questi anni, si è fatto finta che i nuovi quartieri, semplicemente, non ci fossero. Si è ragionato di ricostruzione senza tenerne conto. Non si è mai tentato di inserire le new town in un ragionamento urbanistico più complesso e non si è mai discusso, fino ad ora, del destino futuro dei nuovi insediamenti. E intanto, si è ricostruito dov'era e com'era, con la concessione di nuovi titoli edilizi che hanno contribuito all'esplosione incontrollata del tessuto urbanistico cittadino.

"Non si può eludere da una valutazione oggettiva", ribadisce Palumbo. "Dopo soli 7 anni, una quota non insignificante di Case e Map è di fatto già inagibile (6 piastre + altre 12 sotto indagine rappresentano il 10% dell'intero progetto Case); le costruzioni definite 'durevoli' (Case) sono durate meno delle costruzioni definite provvisorie (Map). Ad ogni modo, qualora a seguito di valutazioni tecnico-economiche fossero solo queste le Case da abbattere, sommate ai MAP (al cui abbattimento mi pare nessuno ponga obiezioni) rappresenterebbero più di 1500 alloggi di cui potremmo 'liberarci'. Uso appositamente questo termine non a dispetto dell'opinione della 'collettività nazionale', ma nel rispetto del diritto della comunità aquilana di ricostruirsi in una condizione di sostenibilità. Il vero fallimento sarebbe non valutare questi rischi".

 

Ultima modifica il Giovedì, 03 Marzo 2016 20:17

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