Inizia oggi un ciclo di appuntamenti su NewsTown, che ogni domenica vi racconterà un pezzo della città. "Praticamente innocua - Viaggio semiserio nell'Aquila post-sisma" è una sorta di guida che tra il serio e il faceto vi accompagnerà tra i luoghi più belli della città e più cari agli aquilani. La prima puntata narra di una delle zone più frequentate del centro storico: il Castello.
Se avete dai trentacinque ai novant'anni e vi è capitato almeno una volta di passare da bambini i giorni di fine estate all'Aquila, è molto probabile che sappiate descrivere ogni fosso, buca, vialetto e anfratto del parco del Castello.
Disteso su una collina al centro dell'Aquila, il parco avvolge il Castello Cinquecentesco, splendido lascito (oneroso, a dire il vero, dato che la sua costruzione gravò sulle tasche dei poveri cittadini di allora) dei dominatori spagnoli alla città, e nei decenni recenti ha onorevolmente svolto la funzione di oasi di pace e polmone verde dove andare a camminare, correre, giocare o avvinazzarsi, secondo le età e le inclinazioni. Il parco risale effettivamente ad un periodo relativamente recente. Le foto di inizio Novecento ci riportano una collina brulla e uno scenario vagamente agreste che ingigantiscono la sensazione di distanza dal centro storico, le cui estreme propaggini abitate distano in realtà solo poche decine di metri (il Castello è di fatto compreso nella cerchia muraria della città). A questa spianata senz'anima andò tra l'altro il non invidiabile primato di sito della prima tendopoli post-sismica del capoluogo, immortalata in bellissime foto del periodo del terremoto della Marsica del 1915.
Strano destino quello di quest'area, dove l'intervento "esterno" lascia tracce pesanti che la popolazione più che altro subisce. Succede, nel Cinquecento, per il Castello, che appunto viene costruito a prezzo di tasse esosissime che mettono in ginocchio la città; succede di nuovo, questa volta in maniera almeno economicamente indolore (più o meno), dopo il terremoto del 2009, quando l'area occidentale del parco viene sventrata per posizionare il nuovo Auditorium, creatura dell'archistar Renzo Piano, adagiato come un manufatto alieno a due passi dai bastioni. Se con gli anni il Castello è entrato nell'immaginario affettivo della città ci si augura che prima o poi lo stesso accada con l'Auditorium, che al di là dell'innegabile bellezza è ad oggi armonizzato col contesto più o meno come la bandiera di Armstrong sulla Luna, oltre a contendersi con la torre Eiffel il premio per "il manufatto rimovibile più durevole della storia".
Lasciandoci alle spalle il complesso di Piano, coi suoi cubi lignei adagiati su un improbabile ovale di prato all'inglese, entriamo nel vecchio parco dalla parte che costeggia via Castello. Cupo, decadente e fondamentalmente incolto, questo coacervo di aiuole e vialetti è oggetto di solo occasionali attenzioni da parte dell'amministrazione comunale, che interviene ad evitare il peggio solo quando il livello delle erbacce arriva ad un'altezza tale da rendere difficoltosa la respirazione canina. Di recente gruppi di cittadini hanno spontaneamente deciso di restituire decoro ad alcune aiuole, adottandole, curandole, portando piante e attrezzando panchine, ripulendo fontane, predisponendo postazioni di book-crossing. Iniziativa lodevolissima e che ha donato un insolito charme a una parte del parco, il cui punto di forza, tuttavia, risiede proprio nel suo prorompente rifuggire l'ordine e il decoro, incarnando un immaginario da romanzo gotico, tra panchine di ferro, muretti di pietra sbrecciata e luce che filtra con enorme difficoltà tra gli alti e fitti rami degli alberi. Sempre se avete dai trentacinque ai novant'anni e vi è capitato almeno una volta di passare da bambini i giorni di fine estate all'Aquila, sdraiatevi davanti alle ruspe il giorno in cui qualche solerte modernista deciderà di "rivalutare" il parco. Sta bene così.
Camminare intorno al fossato del Castello è una delle poche attività fisiche divertenti che si possano praticare all'aperto. Prendete il vostro passo e agganciate qualche gruppetto di signore (ma gli uomini sulla settantina spesso sono meglio) che con la scusa della camminata di salute tagliano e cuciono la crema del pettegolezzo cittadino. Al di là del giudizio morale sulla maldicenza, il santagnesismo e la provincialità del gossip, l'esperienza è da fare e ripetere.
Se avrete la fortuna di girare intorno ai bastioni in una mattinata di sole, godetevi lo spettacolo del cielo che disegna tarsìe azzurre intorno alla pietra del Castello man mano che scoprite alla vista quel che c'è dietro l'angolo successivo. Tanto ci sarebbe da dire sulla bellezza dell'interno della costruzione, ma finchè il ponte non verrà riaperto e la struttura restituita al pubblico parlarne fa più male che bene. Se non siete dell'Aquila, sappiate che il fascino dei sotterranei, il "Mammuth" nel suo bastione, il museo, la pinacoteca e l'auditorium (quello vero, quello in cui risuonavano le note di Rubinstein) sarebbero da non perdere. Mettete la sveglia tra qualche anno e controllate, magari saranno stati riaperti al pubblico e allora precipitatevi.
Per anni privo di qualsiasi punto di ristoro, in ossequio all'antica convinzione cittadina in base alla quale l'ipotetico turista va messo in fuga a qualsiasi prezzo, da dopo il terremoto il parco ospita uno chalet, la Fenice, dotato di tavolinetti all'aperto (un azzardo assoluto all'Aquila) e personale simpatico e ben predisposto alla chiacchiera. Vi consigliamo una visita serale, meglio se di estate, quando nella ressa laocoontica intorno al bancone si intrecciano destini e calici, e le dissertazioni culturali e le dispute politiche si alternano ai brindisi e alle boccate di sigaro.
Uscendo verso porta Castello si costeggia il parco giochi per i più piccoli, evoluzione da ventunesimo secolo delle aiuole malridotte dove i bambini fino agli anni Ottanta glorificavano i pomeriggi sbucciandosi ginocchia e ferendosi nei rovi. Ma si sa, gli anni Ottanta sono finiti da un pezzo, e non tutti hanno tra i trentacinque e i novant'anni.