Domenica, 24 Marzo 2013 15:02

Quel Sud Italia sospeso fra bellezza e abbandono. Intervista a Franco Arminio

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«L'essenza del Sud è proprio il fatto di essere in bilico tra opportunità e pericoli. E forse dove i pericoli sono più grandi è più facile che si trovi il coraggio di trovare nuove soluzioni».

Franco Arminio è nato a Bisaccia, un minuscolo paese della Campania orientale situato in provincia di Avellino. Arminio è scrittore, poeta e giornalista ma ama definirsi soprattutto “paesologo”: una persona che viaggia e gira per i paesi. Non, però, per quelli prosperi e ben tenuti, i paesi bomboniera dove tutto è pulito, lindo e in ordine; ma per i borghi sgraziati e desolati della provincia rurale e montana meridionale, quella più lontana dai circuiti del turismo di massa.

La migliore definizione di cosa sia la paesologia e di come sia nato il titolo del libro la fornisce l'autore stesso: «La paesologia» si legge nelle pagine iniziali «è una via di mezzo fra l'etnologia e la poesia. Essa non è altro che il passare del corpo nel paesaggio e un passare del paesaggio nel corpo. E' la scrittura che viene dopo aver bagnato il corpo nella luce di un luogo. E' una disciplina fondata sulla terra e sulla carne».

Terracarne. Viaggio nei paesi invisibili e nei paesi giganti del Sud Italia è un pellegrinaggio dolente e lirico, amaro epoetico, in un Sud Italia che tutti sembrano aver dimenticato 

È il racconto di quel che è rimasto dei «paesi invisibili e giganti del Sud», un viaggio dai toni sconsolati nei luoghi dell'Appennino Meridionale che va dall'Abruzzo alla Calabria, lì dove la civiltà contadina è scomparsa e al suo posto ha fatto irruzione una modernità che non ha saputo portare valori nuovi, positivi.

Nel Sud di cui parla Arminio sono scomparsi artigiani e panettieri, contadini e pastori ma in compenso sono arrivati, a migliaia, centri commerciali, cartelloni pubblicitari e negozi di telefoni cellulari. E' un Sud in cui si annidano mille contraddizioni: bellezze naturalistiche ancora intatte e speculazione edilizia, ignoranza condivisa e voglia di riscatto, clientelismo e passione civile.

E' il Sud  delle centinaia di paesi in via di spopolamento, dei perenni ritardi strutturali che continuano a confinarlo in una posizione periferica in Italia, in Europa e nel Mediterraneo.

La riflessione di Arminio, tuttavia, va al di là della dimensione locale. Per lo scrittore campano il Sud non è un altro mondo rispetto all'Italia; al contrario, esso appartiene in tutto e per tutto all'esperienza storica del nostro Paese, dell'Occidente, dello sviluppo. E' un compendio delle contraddizioni e delle disfunzioni di un modello economico e sociale, quello capitalista, che ha sì diffuso un largo benessere ma, al tempo stesso, ha preteso, per realizzare questa crescita, contropartite enormi, prima fra tutte lo sfruttamento intensivo della natura e dell'ambiente, la distruzione del paesaggio.

Anche con tutto il suo carico di problemi, il Sud rimane, per Arminio, un posto unico in cui vivere; un luogo in cui, oggi più che mai, val la pena restare, per provare a immaginare nuove opportunità di sviluppo, nuovi modelli e stili di vita.
 
«Il Sud ha tanti problemi» spiega lo scrittore «ma forse è un luogo in cui si vive comunque meglio che in tanti altri posti. L'essenza del Sud è proprio il fatto di essere in bilico tra opportunità e pericoli. E forse dove i pericoli sono più grandi è più facile che si trovi il coraggio di trovare nuove soluzioni».

È il «pensiero meridiano» di Franco Cassano riproposto però in chiave lirica e non sociologico-politica.

Arminio, come un altro antopologo, Vito Teti, elabora a suo modo un”'etica della restanza”, che consiste in una nuova disponibilità a mettersi in gioco, a custodire il proprio luogo di appartenenza, con la necessità di avere verso di esso una nuova attenzione, una nuova sensibilità.

L'intervista

Il suo ultimo libro, Terracarne, può essere considerato una summa, un ideale punto di approdo della sua lunga attività di scrittore e di “paesologo”. Quando ha iniziato a viaggiare nel Sud e a scriverne?
Viaggio nel sud da una decina d'anni. Non ho mai pensato di lasciare il mio paese e il sud. Sono sempre stato qui pensando che fosse l'unico posto in cui potevo stare.

Se dovesse spiegare in poche parole in che condizioni versa, oggi, il Meridione, cosa direbbe?
Direi che il sud ha tanti problemi, ma forse è un luogo in cui si vive comunque meglio che in tanti altri posti. L'essenza del sud è proprio il fatto di essere in bilico tra opportunità e pericoli. E forse dove i pericoli sono più grandi è più facile che si trovi il coraggio di trovare nuove soluzioni. 

Lei individua un evento spartiacque nella recente storia del Mezzogiorno italiano: il terremoto in Irpinia del 1980 e la successiva ricostruzione. Perché, secondo lei, quell'evento fu tanto importante e decisivo? Oltre al carico di morti e distruzione causati nell'immediato, quali sono state le conseguenze provocate nel medio e lungo termine?
 Forse è più un fatto di percezione. Le persone pensano che il terremoto abbia segnato un cambio di tante cose. Forse ha semplicemente accentuato un cambiamento già in corso. Era un cambiamento negativo e il terremoto ha reso ancora più negativo questo cambiamento. Con una semplice formula si può dire che è stata data la casa alle persone ed è stato tolto il paese.

Quanto ha pesato, nel determinare lo stato di cose da lei raccontato (spopolamento, perdita della coesione sociale, degrado del paesaggio), il fattore emigrazione? Nel libro a un certo punto lei afferma che si è scritto e detto molto su quanto l'emigrazione sia stata difficile per i migranti, per chi è partito, ma si è riflettuto poco su quanto sia stata altrettanto amara e dolorosa per chi è rimasto...
L'emigrazione è il più grande avvenimento della nostra storia, un avvenimento che cambia forme e destinazione, senza mai estinguersi. Nelle scuole si dovrebbe parlare di più di questo fenomeno e le amministrazioni comunali dovrebbero dare più attenzione alle persone che vanno via. Non è che una persona che va a lavorare fuori dal suo paese deve essere considerata come se fosse morta, quello che in realtà accade adesso.

Lei usa spesso, nel suo libro, l'espressione “autismo corale” per descrivere un tratto ricorrente degli abitanti di molti dei paesi visitati, quasi volesse alludere all'esistenza di una specie di carattere collettivo della gente meridionale forgiato da tanti anni di malgoverno, incultura e falso sviluppo.
In verità l'autismo corale è una malattia di tutto l'Occidente. Nei paesi è più dolorosa perché non te l'aspetti, perché si immagina il paese come focolare e grembo di tutti e invece non è più così.

Nel libro non nasconde il suo disappunto nel constatare come l'agricoltura, la terra e, in generale, la cultura contadina, siano ormai largamente disprezzate o, nel migliore dei casi, diventate obsolete. Lavorare la terra è un mestiere che non attira più. Soprattutto non attira gli unici che avrebbero le forze e le energie per tornare a prendersene cura, vale a dire i giovani. Ma perché oggi un ragazzo italiano fra i venti e i trent'anni, che magari ha speso molti soldi nella sua istruzione e formazione, dovrebbe scegliere di sacrificarsi e rimanere a fare un mestiere faticoso, sottopagato e poco remunerativo? Un vecchio proverbio popolare recita: “Quando non c'è il soldo non c'è il coraggio”
 Comprendo il senso della sua domanda. Io penso che ci vorrebbero politiche di incentivo a certe attività agricole. Penso anche che la terra dà poco, ma è da sempre il sostegno più sicuro dell'uomo. La crisi dell'economia finanziaria di fatto riavvicina le persone alla terra. Non è solo un fatto economico. Mi pare necessario riavvicinarsi alla realtà e la terra è meno irreale di tante cose che ci circondano.

Nel libro critica un certo tipo di modernità e di capitalismo, non escluso quello statale o parastatale, che hanno avuto effetti nefasti sul paesaggio e sull'economia del Sud. Ma basta predicare un ritorno a una vita più frugale, austera e morigerata, a un consumismo dal volto umano, alla cosiddetta “decrescita”, per sperare di uscire da quello che sembrerebbe essere un vicolo cieco? Esiste, secondo lei, un modo per riscattare e dunque per salvare i paesi in via d'estinzione? Soprattutto, non è troppo tardi per un'inversione di tendenza?
Se si ragiona in termini di sviluppo è chiaro che i paesi sono spacciati. Se invece viene fuori un altro modello, ecco che chi è sempre stato indietro magari si trova davanti. Comunque io non sono esperto di queste cose, la mia è una scienza umorale, che lavora sui dettagli, sulle percezioni, non sulle astrazioni. Io sento che i paesi non moriranno, anzi diventeranno dei luoghi molto ambiti. Mi pare solo questione di tempo.

Cosa pensa della possibilità di puntare tutto, come strategia di rilancio, su un turismo trainato dal sostegno della cultura e delle attrazioni eno-gastronomiche? Sembra essere questa la strada imboccata da molti comuni del Mezzogiorno ma l'impressione è che non sia sufficiente
 Condivido. In realtà nel mezzogiorno non si è imboccato nessuna strada. Si fanno politiche pasticciate, Con poco rigore e poco coraggio. I governi centrali non hanno mai fatto politiche mirate per i paesi. E anche i soldi che si destinano ai paesi meridionali sono molto meno di quelli che vengono destinati ai paesi del nord.

Nel libro si parla solo occasionalmente delle mafie. Come mai?
 Nelle zone che visito le mafie sono poco presenti. Comunque mi rendo conto della gravità del fenomeno. Non sono un sociologo, non rappresento la società, provo a dare conto di quello che mi passa per la testa mentre attraverso i paesi.

Quanta influenza ha avuto su di lei la letteratura meridionalistica? Quali sono gli scrittori e gli intellettuali a cui si sente più vicino?
 Direi non molta, anche se ho molto amato il lavoro di Carlo Levi e quello di Rocco Scotellaro, anche se apprezzo molto il magistero di De Sanctis e quello di meridionalisti come Fortunato e Salvemini

Secondo lei è eccessivo o comunque fuorviante parlare ancora dell'esistenza di una questione meridionale?
 Dipende da come se ne parla. In generale può essere negativo perché può indurre l'idea di vivere il sud soprattutto come un problema. I problemi ci sono, ma è tempo di percepire che viviamo in luoghi molto belli e carichi di storia. Per dirla con una formula: non è più Milano la cosa che ci manca, ma siamo noi la cosa che manca a Milano.

Franco Arminio è nato e vive a Bisaccia, in Irpinia d'Oriente. Ha pubblicato molti libri sui paesi del Sud Italia e sei raccolte di versi. E' anche documentarista e animatore di battaglie civili. Di recente sul suo lavoro è uscito anche un film intitolato Di mestiere faccio il paesologo. Collabora con diversi giornali locali e nazionali (“il manifesto”, “Il Mattino” di Napoli, “Il Corriere del Mezzogiorno”).

Ha un blog: http://comunitaprovvisorie.wordpress.com.

Ultima modifica il Martedì, 26 Marzo 2013 14:58

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