Trenta artisti e gruppi musicali che si esibiranno in 15 piazze e cortili del centro storico dell'Aquila.
Questo è "L'Aquila Suona" che lunedì 27 agosto animerà il centro storico del capoluogo abruzzese dal pomeriggio, a partire dalle 16:45 e fino a tarda serata, nell'ambito della 724esima Perdonanza Celestiniana.
Jazz, Rock, musica classica, corali: tutti i generi musicali saranno protagonisti di una iniziativa che fa tornare la memoria alla mitica 'Isola sonante' protagonista delle Perdonanze degli anni '80 e '90. La ricordate? Ebbene, il mitico Ford Prefect ne aveva scritto, qualche tempo fa, su NewsTown e vi riproponiamo, dunque, il suo racconto, affinché possiate prepararvi al meglio. Segue il programma completo degli eventi, ovviamente.
L'Isola Sonante - di Ford Prefect
Lo sentivi nell'aria dalla mattina. Insieme a quell'ultimo caldo dell'estate aquilana che solo con il sole già alto riusciva ad avere ragione dei primi rigori notturni, per poi cedere di nuovo il passo alle prime brezze serali che cominciavano a battere i vicoli nell'ultima decade di agosto. Era come un brusìo, uno strisciante susseguirsi di voci al lavoro, poi un cadere di assi e tubi Innocenti, un transitare di camioncini stracolmi. E poi battere di martelli, tirare di cavi, solo alla fine picchiettare nei microfoni.
La giornata dell'Isola Sonante cominciava presto, con la città che si preparava alla kermesse come un'elegante padrona di casa che fa lustrare l'argenteria per la cena di gala del suo compleanno. Apriva i salotti buoni, la padrona di casa. Da piazze e piazzette, ma anche dai cortili di palazzi istituzionali e privati, sin dal mattino era un lavorìo incessante di squadre intente a montare palchi e impianti.
Lo sentivi nell'aria, ma non era solo rumore. In quelle giornate di agosto, quasi sempre benedette dal bel tempo, la città sembrava incantata, come sospesa un attimo prima di sbocciare in quella serata un po' magica. Sentivi il suo respiro, lo sentivi girare l'angolo dei vicoli, uscire dai portoni, gonfiare le tende dietro le finestre socchiuse del centro.
Erano gli anni delle vacche grasse, quelli grazie ai quali stiamo come stiamo. Corruzione e mala gestio imperversavano per lo stivale, e L'Aquila e la Perdonanza non si risparmiarono la loro parte di fango. Ma come diceva uno che la sapeva lunga, dal letame nascono i fior. I fior, nella fattispecie, si concretizzarono dalle nostre parti in uno degli eventi più particolari e accattivanti della storia recente della città, ossia la serata dell'Isola Sonante, durante la quale l'intero Centro storico si trasformava in un enorme, confuso, dispersivo e magico calderone sonico, riscaldato dalle piazze più grandi agli angoli più misconosciuti e segreti dai suoni di mille musiche, di mille gusti, mille origini, mille qualità.
Eh già, perchè non è un mistero che la pianificazione non è proprio il nostro tratto dominante, e che questa caratteristica resiste con pervicacia all'alternarsi dei diversi vessilli nei luoghi istituzionali. Con buona pace degli ottimi propositi degli allora organizzatori, che tentarono di dare dei fili conduttori alle edizioni della Perdonanza degli anni Ottanta e Novanta, le linee guida si fermavano fondamentalmente alle attività di convegni e mostre, lambendo con un po' di fantasia qualche evento musicale principale.
Ma l'Isola Sonante no. L'Isola Sonante era l'equivalente musicale del “tutti contro tutti” calcistico, ognuno per sé e Dio per tutti. E così, lungi da avere un genere di riferimento per l'intera manifestazione, non c'era neanche una programmazione per aree geografiche. Magari il tale palco poteva essere riservato tutta la sera al jazz, ma bastava girare l'angolo per trovare il coro alpino, la banda della Finanza o lo show-cerimonia sciamanica di sedicenti Apache.
Ho un vividissimo ricordo di una delle primissime edizioni. Davanti ai Gesuiti imperversava un rock blues tremendamente sanguigno, le chitarre latravano bending spaccadita e la batteria sembrava tenere il conto alla rovescia per la fine del mondo.
Oltrepassavi sulla sinistra il palco dell'Armageddon, facevi pochi passi transitando davanti al Tropical e nel vicoletto che risuonava delle trombe di Gerico e sembrava pulsare la ritmo del basso si apriva lo scorcio dickensiano di un ragazzo elegantissimo, con una complessa acconciatura di ricci, che apparentemente si esibiva come mimo. In effetti, avvicinandoti, ti accorgevi che il poveretto, dotato di chitarra classica non amplificata, la stava effettivamente suonando con convinzione e rabbia, consapevole che non una singola nota arrivava agli astanti. Era una scena di tale ingiustizia e tristezza che lo avrei abbracciato. Se mi leggi, sappi che ti ho sempre portato nel cuore.
Ma se questa inesistente tematicità poteva essere un limite, era anche affascinantissima. Non sapevi cosa aspettarti, letteralmente. Anche perchè, sempre nel solco della migliore tradizione, il programma veniva normalmente rilasciato poche ore prima dell'inizio. Sottolineo rilasciato, e non pubblicato, termine che sottintende l'esplicita volontà di dare notizia. Il fogliettino con luoghi e orari dei vari concerti veniva diffuso secondo modalità brigadistiche, pochissime copie in posti casuali, spesso elargite brevi manu in stile volantinaggio sotto i portici da zelanti privati cittadini che ne erano entrati in possesso perchè il figlio del vicino di casa lavorava in Comune.
Una volta preso possesso, o almeno visione, del complesso programma della serata, che comunque manteneva un suo alone di imprevedibilità (sòle su sòle si sono susseguite negli anni a causa di spettacoli annunciati e che poi non hanno avuto luogo o hanno avuto luogo altrove da quanto indicato) ci si trovava davanti al difficilissimo momento della scelta della strategia per la serata.
Tutto, infatti, era raggruppato in due turni principali.
Il primo aveva luogo attorno all'ora di cena e si ipotizzava diretto maggiormente alle famiglie e ad un pubblico maturo (bande, cori, pop per tutti i gusti, revaivalone anni sessanta), il secondo iniziava un paio d'ore dopo e occhieggiava ad un pubblico più giovane (rock, musicaccia televisiva di scuola Cecchetto, discoteca che al tempo non si chiamava ancora dj set e non veniva minimamente confusa col concetto di “suonare”).
Questo (con molte licenze e intrecciamenti orari) accadeva per lo più nelle piazze; nei cortili, invece, la musica che noi ignoranti definiamo classica e che chi la sa più lunga distingue in generi e sottogeneri (ma sempre classica è) la faceva da padrona incontrastata per tutta la sera. Stiamo parlando di decine di eventi, che si sarebbero consumati in quattro ore circa.
Come organizzarsi? Compagnie, coppie e famiglie si sono distrutte sugli scogli perigliosi di questo passaggio. C'era chi, come l'asino di Buridano, andava in tilt, perdeva l'inizio di tutto, si faceva piangendo un'ora di fila al Florida per prendere un cono da mille e alla fine si spiaggiava depresso davanti alla banda dei Carabinieri, maledicendo la sua indecisione mentre la folla in tripudio batteva le mani a tempo sulla Marcia di Radetzky. C'era poi chi, organizzatissimo, arrivava in scarponcini da trekking, decideva in tre minuti di ballare il liscio una mezz'ora a Santa Maria Paganica, poi farsi un po' di blues e una birra a San Biagio, correre poi per la cover band degli Anthrax a San Pietro e chiudere col Gioca Jouer alla Prefettura, e finiva a farsi dieci chilometri di buon passo dando un'occhiata ai vari palchi per pochi minuti da dietro la selva di teste, cogliendo sì e no qualche nota.
Poi c'erano gli stanziali, e tra loro le Vecchie con La Sedia, quelle che al cinema all'aperto che comincia alle dieci arrivano alle quattro e un quarto e si piazzano sotto lo schermo con la seggiola portata da casa. Questa categoria sceglieva un palco già dal primo pomeriggio, non degnava di uno sguardo il programma e si piazzava sulla prima sedia che veniva posata (oppure, nel caso delle Vecchie, se la portava da casa). E quindi non era infrequente vedere queste anziane donne, spesso vestite a lutto, osservare da presso un concerto di black metal, con nello sguardo un misto di incomprensione e disprezzo ma anche consapevolezza del proprio diritto ad assistere “gratis” a qualsiasi cosa.
Io, come molti, me ne andavo a zonzo. Mi perdevo quasi tutto, ma mi lasciavo accarezzare dagli archi nei cortili che si aprivano per l'occasione, o seppellire dal muro sonoro dei rockettari normalmente relegati nelle piazze più lontane. Respiravo la città nel suo momento più bello, e tanto mi bastava. Poi aspettavo lo sciamare della gente verso le automobili, mi facevo un'ultima birra in compagnia e me ne tornavo a casa a piedi. Lo scorrere dell'acqua dalla fontanella dell'Annunziata faceva il controcanto al rumore dei tecnici e degli operai che smontavano le loro effimere cattedrali. Gli invitati se ne erano andati, la padrona di casa davanti allo specchio si toglieva il trucco e si preparava alla notte.
La festa era finita.
Io aspetto la prossima.
Il programma di L'Aquila Suona
SAN BASILIO:
- ore 20,30 Music Together Band Castellani;
- ore 21,45 Ensemble Sassofoni - Sax Around;
- ore 23 Uptown funky groove - band.
AUDITORIUM PARCO:
- ore 18,00 Ugo Capezzali in "L'uomo di paglia, la chiamata di Celestino" - spettacolo teatrale di Roberto Capezzali, musiche Piercesare Stagni;
- ore 20,30 Daniela Baldassarra in "La principessa scalza" - monologo.
PIAZZA REGINA MARGHERITA:
- ore 21 Controvento - tributo a Francesco Guccini;
- ore 23 I fabbricanti di sogni - Trio folk.
PIAZZETTA CHIARINO:
- ore 21 Veleand – band;
- ore22 Amelia - Chili di live;
- ore 23 Sud d'anima - band.
CORTILE PALAZZO ALESSANDRI:
- ore 21 Associazione Athena - Quintetto orchestra da camera aquilana diretta da Carmine Manieri, soprano Lucia Vaccari.
CORTILE PALAZZO CIOLINA, INGRESSO CORSO PRINCIPE UMBERTO:
- ore 21,15 Maria Palma e Francesco Mammola - Duo arpa e mandolino - musica classica;
- ore 22,15 Flutensamble - Mozart – classica;
- ore 23,15 Stefano Sponta - fisarmonica - musica classica.
CORTILE PALAZZO CIOLINA, INGRESSO CORSO VITTORIO EMANUELE:
- ore 21 Empatie musicali – trio;
- ore 22 Storie di suoni - Barbara Bologna e Fabio Colella.
CORTILE PALAZZO DI PAOLA:
- ore 21.30 Accademia delle Muse - "Musicalgirls, ogni donna è un'emozione".
PALAZZETTO DEI NOBILI:
- ore 21.30 Coro Armonie d'argento - Recondita armonia di bellezze diverse.
PIAZZETTA DEL SOLE:
- ore 21 Massimo Sconci in "L'Aquila Nuova" - spettacolo teatrale;
- ore 22.30 Trio jazz - Francesco Rapinesi, Daniele Quaglieri, Claudio D'Amato.
PALAZZO CAPPA:
- ore 21.30 Centro danza "Art nouveau" – "Il '700 in scena" - danza e orchestra.
PIAZZA DUOMO:
- ore 22.30 St James Infirmary - rock band.
PORTICI CORSO FEDERICO:
- ore 21.30 Annalisa Andreoli e Giuseppe Signori - duo voce e chitarra.
PIAZZA PISCHEDDA - SAN BERNARDINO:
- ore 21.00 Banda dell'Aterno e tre voci.
EMICICLO:
- ore 16,45 Corale folkloristica Rocca Di Cambio;
- ore 17.30 Progetto ritmico - ritmo e sbandieratori;
- ore 19.30 New Passion Dance - danza e teatro dialettale;
- ore 20.15 Coro Gran sasso;
- ore 21 Corale 99;
- ore 21.45 Coro della Portella;
- ore 22.30 Associazione Corale Il Narciso.
L'Isola Sonante - di Ford Prefect
Lo sentivi nell'aria dalla mattina. Insieme a quell'ultimo caldo dell'estate aquilana che solo con il sole già alto riusciva ad avere ragione dei primi rigori notturni, per poi cedere di nuovo il passo alle prime brezze serali che cominciavano a battere i vicoli nell'ultima decade di agosto. Era come un brusìo, uno strisciante susseguirsi di voci al lavoro, poi un cadere di assi e tubi Innocenti, un transitare di camioncini stracolmi. E poi battere di martelli, tirare di cavi, solo alla fine picchiettare nei microfoni.
La giornata dell'Isola Sonante cominciava presto, con la città che si preparava alla kermesse come un'elegante padrona di casa che fa lustrare l'argenteria per la cena di gala del suo compleanno. Apriva i salotti buoni, la padrona di casa. Da piazze e piazzette, ma anche dai cortili di palazzi istituzionali e privati, sin dal mattino era un lavorìo incessante di squadre intente a montare palchi e impianti.
Lo sentivi nell'aria, ma non era solo rumore. In quelle giornate di agosto, quasi sempre benedette dal bel tempo, la città sembrava incantata, come sospesa un attimo prima di sbocciare in quella serata un po' magica. Sentivi il suo respiro, lo sentivi girare l'angolo dei vicoli, uscire dai portoni, gonfiare le tende dietro le finestre socchiuse del centro.
Erano gli anni delle vacche grasse, quelli grazie ai quali stiamo come stiamo. Corruzione e mala gestio imperversavano per lo stivale, e L'Aquila e la Perdonanza non si risparmiarono la loro parte di fango. Ma come diceva uno che la sapeva lunga, dal letame nascono i fior. I fior, nella fattispecie, si concretizzarono dalle nostre parti in uno degli eventi più particolari e accattivanti della storia recente della città, ossia la serata dell'Isola Sonante, durante la quale l'intero Centro storico si trasformava in un enorme, confuso, dispersivo e magico calderone sonico, riscaldato dalle piazze più grandi agli angoli più misconosciuti e segreti dai suoni di mille musiche, di mille gusti, mille origini, mille qualità.
Eh già, perchè non è un mistero che la pianificazione non è proprio il nostro tratto dominante, e che questa caratteristica resiste con pervicacia all'alternarsi dei diversi vessilli nei luoghi istituzionali. Con buona pace degli ottimi propositi degli allora organizzatori, che tentarono di dare dei fili conduttori alle edizioni della Perdonanza degli anni Ottanta e Novanta, le linee guida si fermavano fondamentalmente alle attività di convegni e mostre, lambendo con un po' di fantasia qualche evento musicale principale.
Ma l'Isola Sonante no. L'Isola Sonante era l'equivalente musicale del “tutti contro tutti” calcistico, ognuno per sé e Dio per tutti. E così, lungi da avere un genere di riferimento per l'intera manifestazione, non c'era neanche una programmazione per aree geografiche. Magari il tale palco poteva essere riservato tutta la sera al jazz, ma bastava girare l'angolo per trovare il coro alpino, la banda della Finanza o lo show-cerimonia sciamanica di sedicenti Apache.
Ho un vividissimo ricordo di una delle primissime edizioni. Davanti ai Gesuiti imperversava un rock blues tremendamente sanguigno, le chitarre latravano bending spaccadita e la batteria sembrava tenere il conto alla rovescia per la fine del mondo.
Oltrepassavi sulla sinistra il palco dell'Armageddon, facevi pochi passi transitando davanti al Tropical e nel vicoletto che risuonava delle trombe di Gerico e sembrava pulsare la ritmo del basso si apriva lo scorcio dickensiano di un ragazzo elegantissimo, con una complessa acconciatura di ricci, che apparentemente si esibiva come mimo. In effetti, avvicinandoti, ti accorgevi che il poveretto, dotato di chitarra classica non amplificata, la stava effettivamente suonando con convinzione e rabbia, consapevole che non una singola nota arrivava agli astanti. Era una scena di tale ingiustizia e tristezza che lo avrei abbracciato. Se mi leggi, sappi che ti ho sempre portato nel cuore.
Ma se questa inesistente tematicità poteva essere un limite, era anche affascinantissima.Non sapevi cosa aspettarti, letteralmente. Anche perchè, sempre nel solco della migliore tradizione, il programma veniva normalmente rilasciato poche ore prima dell'inizio.
Sottolineo rilasciato, e non pubblicato, termine che sottintende l'esplicita volontà di dare notizia. Il fogliettino con luoghi e orari dei vari concerti veniva diffuso secondo modalità brigadistiche, pochissime copie in posti casuali, spesso elargite brevi manu in stile volantinaggio sotto i portici da zelanti privati cittadini che ne erano entrati in possesso perchè il figlio del vicino di casa lavorava in Comune.
Una volta preso possesso, o almeno visione, del complesso programma della serata, che comunque manteneva un suo alone di imprevedibilità (sòle su sòle si sono susseguite negli anni a causa di spettacoli annunciati e che poi non hanno avuto luogo o hanno avuto luogo altrove da quanto indicato) ci si trovava davanti al difficilissimo momento della scelta della strategia per la serata.
Tutto, infatti, era raggruppato in due turni principali. Il primo aveva luogo attorno all'ora di cena e si ipotizzava diretto maggiormente alle famiglie e ad un pubblico maturo (bande, cori, pop per tutti i gusti, revaivalone anni sessanta), il secondo iniziava un paio d'ore dopo e occhieggiava ad un pubblico più giovane (rock, musicaccia televisiva di scuola Cecchetto, discoteca che al tempo non si chiamava ancora dj set e non veniva minimamente confusa col concetto di “suonare”).
Questo (con molte licenze e intrecciamenti orari) accadeva per lo più nelle piazze; nei cortili, invece, la musica che noi ignoranti definiamo classica e che chi la sa più lunga distingue in generi e sottogeneri (ma sempre classica è) la faceva da padrona incontrastata per tutta la sera.
Stiamo parlando di decine di eventi, che si sarebbero consumati in quattro ore circa. Come organizzarsi? Compagnie, coppie e famiglie si sono distrutte sugli scogli perigliosi di questo passaggio.
C'era chi, come l'asino di Buridano, andava in tilt, perdeva l'inizio di tutto, si faceva piangendo un'ora di fila al Florida per prendere un cono da mille e alla fine si spiaggiava depresso davanti alla banda dei Carabinieri, maledicendo la sua indecisione mentre la folla in tripudio batteva le mani a tempo sulla Marcia di Radetzky.
C'era poi chi, organizzatissimo, arrivava in scarponcini da trekking, decideva in tre minuti di ballare il liscio una mezz'ora a Santa Maria Paganica, poi farsi un po' di blues e una birra a San Biagio, correre poi per la cover band degli Anthrax a San Pietro e chiudere col Gioca Jouer alla Prefettura, e finiva a farsi dieci chilometri di buon passo dando un'occhiata ai vari palchi per pochi minuti da dietro la selva di teste, cogliendo sì e no qualche nota.
Poi c'erano gli stanziali, e tra loro le Vecchie con La Sedia, quelle che al cinema all'aperto che comincia alle dieci arrivano alle quattro e un quarto e si piazzano sotto lo schermo con la seggiola portata da casa. Questa categoria sceglieva un palco già dal primo pomeriggio, non degnava di uno sguardo il programma e si piazzava sulla prima sedia che veniva posata (oppure, nel caso delle Vecchie, se la portava da casa). E quindi non era infrequente vedere queste anziane donne, spesso vestite a lutto, osservare da presso un concerto di black metal, con nello sguardo un misto di incomprensione e disprezzo ma anche consapevolezza del proprio diritto ad assistere “gratis” a qualsiasi cosa.
Io, come molti, me ne andavo a zonzo. Mi perdevo quasi tutto, ma mi lasciavo accarezzare dagli archi nei cortili che si aprivano per l'occasione, o seppellire dal muro sonoro dei rockettari normalmente relegati nelle piazze più lontane. Respiravo la città nel suo momento più bello, e tanto mi bastava. Poi aspettavo lo sciamare della gente verso le automobili, mi facevo un'ultima birra in compagnia e me ne tornavo a casa a piedi. Lo scorrere dell'acqua dalla fontanella dell'Annunziata faceva il controcanto al rumore dei tecnici e degli operai che smontavano le loro effimere cattedrali.
Gli invitati se ne erano andati, la padrona di casa davanti allo specchio si toglieva il trucco e si preparava alla notte.
La festa era finita.
Io aspetto la prossima.