Dal cuore dell’Abruzzo, da Caramanico Terme (Pe), Legambiente lancia la sfida che guarda al futuro degli Appennini in chiave sostenibile: definire, attraverso un percorso partecipato, condiviso e a più voci, un’Agenda comune per le aree protette della dorsale appenninica che metta al centro, tra i temi chiave, i cambiamenti climatici, la tutela della biodiversità, i servizi territoriali, l’agricoltura, i biodistretti e il turismo attivo e sostenibile. E che sappia, inoltre, valorizzare i risultati ottenuti nel campo della conservazione e mettere al centro le green community e lo sviluppo sostenibile delle aree interne.
È questa per Legambiente la scommessa che si deve vincere nei prossimi anni se davvero si vuole rilanciare la dorsale appenninica attraverso una strategia ad hoc, rendendo realmente protagoniste le aree protette e partendo dal concetto di "Appennino contemporaneo”. Un Appennino che oggi più che mai si trova a fronteggiare diversi problemi e soprattutto nuove e sfide ambientali tra cui i cambiamenti climatici che hanno forti impatti sulle montagne, la perdita di biodiversità, lo spopolamento delle aree montane, senza dimenticare però le profonde ferite lasciate dal sisma del 2009 e da quello del 2016 che ha colpito il Centro Italia. Qui oggi la ricostruzione fatica a partire, e l’abbandono dei piccoli borghi unito al rischio di una "desertificazione produttiva” rischiano di spegnere del tutto questi territori della dorsale appenninica.
Da queste considerazioni nasce l’idea di provare a costruire insieme da qui ai prossimi mesi un’Agenda comune per le aree protette integrata nella programmazione comunitaria 2021-2027.
Di questo in sintesi si è parlato ieri al Forum degli Appennini organizzato dall’associazione ambientalista a Caramanico Terme, in provincia di Pescara, d’intesa con il Parco Nazionale della Majella e il Comune abruzzese. Si tratta del primo di una serie di incontri territoriali pensati per approfondire questo tema, ma anche per parlare di buone pratiche e azioni di conservazione e della necessità di un aggiornamento della Convenzione degli Appennini.
L’incontro di ieri ha visto confrontarsi esperti del settore, amministratori locali, rappresentati delle aree protette, del mondo universitario e le comunità locali con l’obiettivo di recuperare anche lo spirito autentico del progetto APE (Appennino Parco d’Europa), proposto nel ‘94 da Legambiente, Regione Abruzzo e Ministero dell’Ambiente per promuovere lo sviluppo compatibile delle zone montane partendo dal ruolo centrale che dovevano assumere le aree protette. Filo conduttore della giornata la fragilità ma anche le straordinarie potenzialità di questo sistema ambientale e territoriale che - stando ai dati dell’Atlante dell’Appennino realizzato dalla Fondazione Symbola – è lungo 1300 km, interessa 14 Regioni e 2.157 comuni (27% dei comuni italiani) dove vivono 10,4 milioni di abitanti, il 17% della popolazione italiana.
Spina dorsale dell’Italia, culla di 12 parchi nazionali, 36 parchi regionali e 993 siti di Rete Natura 2000, gli Appennini sono uno scrigno di biodiversità: si possono rintracciare 32 ecosistemi, quasi tutti forestali, arbustivi o erbacei, di cui 12 esclusivi dell’Appennino. E, stando ai dati Legambiente, sono presenti quasi 3mila esemplari di camoscio, oltre 2mila lupi (Alpi incluse) e circa cinquanta orsi marsicani. Sul fronte dell’economia, dalle imprese appenniniche viene prodotto il 14% del valore aggiunto nazionale: 202,9 miliardi di euro, e il 16% del bestiame allevato in Italia.
Per Legambiente è fondamentale che le aree protette coniughino strategie di conservazione della biodiversità con opportunità di sviluppo delle attività sostenibili (agricoltura, zootecnia, turismo, piccola imprenditoria). Si tratta di settori economici che hanno un grande rilievo nelle aree appenniniche che devono puntare sul turismo attivo e sostenibile, sulla gestione forestale sostenibile e sulle produzioni biologiche per l’agricoltura e l’allevamento. "Gli Appennini – ha dichiarato Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente - sono una parte fondamentale della infrastruttura verde del Paese in cui, in questi ultimi 25 anni, le aree protette hanno saputo applicare strategie di conservazione vincenti. Oggi però dobbiamo prendere atto che, nonostante l’impegno ed i tanti successi ottenuti nelle politiche di conservazione, le aree protette non hanno sempre saputo contaminare, in maniera omogenea nel Paese, le altre politiche territoriali a partire dalla bioeconomia e dall’ecoturismo. L’Agenda che proponiamo è un metodo di lavoro per le aree protette per realizzare attraverso un percorso partecipato un’analisi dei loro bisogni finalizzata a proporre politiche in grado di frenare la perdita di biodiversità, valorizzare il lavoro svolto per la tutela del capitale naturale, e individuare una strategia più incisiva per promuovere le green community e lo sviluppo sostenibile delle aree interne degli Appennini”.
Legambiente ricorda che gli Appennini rappresentano una risorsa strategica per il Paese: si pensi alla funzione di grande riserva di acqua, foreste, energia e materie prime, alle opportunità ricreative e turistiche, ai valori di biodiversità che sono conservati. Per quanto riguarda l’economia locale, le imprese appenniniche sono quasi 1 milione, il 17,2% del totale nazionale, attive principalmente nel commercio, nell’agricoltura, nella silvicoltura e pesca, nelle attività manifatturiere, e nel turismo e ristorazione.
L’economia di questa dorsale, in linea col resto dell’Italia, deve la maggiore quota di ricchezza prodotta ai servizi: in media 76% circa del totale (il dato italiano è 74,4%), con l’industria al 20,8% (23,4% Italia nel suo complesso) e l’agricoltura al 3,2% (Italia 2,2%). "Oggi il grande patrimonio di natura e cultura degli Appennini e gli strumenti strategici adottati per la sua valorizzazione e tutela – ha spiegato Antonio Nicoletti, responsabile nazionale aree protette e biodiversità Legambiente - hanno bisogno di essere 'ri-scoperti' e adattati alla contemporaneità degli Appennini. Attraverso nuove azioni di programmazione e di valorizzazione, si deve consolidare il ruolo della dorsale appenninica come spazio decisivo per l’attuazione delle più generali e innovative strategie comunitarie e internazionali per fronteggiare il cambio climatico e frenare la perdita di biodiversità. Si deve continuare a perseguire gli obiettivi di tutela del capitale naturale e di quello storico artistico, puntare sulla produzione di cibo sano, buono e pulito attraverso le produzioni tipiche e il rafforzamento della bioeconomia, promuovere la crescita dei servizi territoriali e delle smart land in grado di garantire lo sviluppo di green community nell’intera arcata appenninica”.
Sul fronte della tutela e conservazione della biodiversità, in questi anni sono diversi i progetti di successo messi in atto. Dal progetto Wolfnet per la tutela del lupo in appennino al caso emblematico del camoscio appenninico, specie non più a rischio di estinzione grazie al lavoro che negli ultimi 15 anni hanno svolto i Parchi dell’appennino centrale (Sibillini, Gran Sasso, Majella, d’Abruzzo e Sirente-Velino), fino ad arrivare al riconoscimento Unesco arrivato nel 2017 per le faggete vetuste dei parchi nazionali italiani. Le faggete in Italia si trovano nel Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, nel Parco Nazionale del Gargano, nel Parco Nazionale del Pollino, nel Parco Regionale di Bracciano e Martignano e nel Comune di Soriano del Cimino. Dal 2017 l’Italia è così entrata in una rete transnazionale di 63 siti naturali di faggete vetuste collocate in 12 nazioni europee: Austria, Belgio, Slovenia, Spagna, Albania, Bulgaria, Croazia, Germania, Romania, Slovacchia e Ucraina, oltre al nostro Paese. Buone pratiche e azioni che devono essere un punto di riferimento importante e di discussione all’interno del dibattito partecipato e condiviso sull’Agenda comune per le aree protette.