Lunedì, 04 Marzo 2019 21:24

Come eravamo da emigranti: al Tsa va in scena "Italiani cìncali!", di e con Mario Perrotta

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Dopo il successo ottenuto al Piccolo Teatro di Milano con il nuovo spettacolo, arriva all’Aquila Mario Perrotta, uno tra i più interessanti attori, registi, scrittori del panorama italiano.

Per la stagione del Teatro Stabile d’Abruzzo, il direttore Simone Cristicchi ha chiesto all’artista di portare sul palcoscenico lo spettacolo diventato oramai un classico Italiani cìncali! che debutterà al Ridotto del Teatro Comunale giovedì 7 marzo 2019 alle ore 21:00, con replica venerdì 8 marzo 2019 alle ore 17:30.

Italiani cingali!” si legge in una nota del Tsa “è prodotto dal Teatro dell’Argine, è scritto in collaborazione con Nicola Bonazzi ed è diretto e interpretato da Mario Perrotta. Vero teatro civile senza falsa retorica, l’allestimento ha collezionato premi e recensioni entusiaste”.

“Si parla dell’emigrazione italiana nelle miniere di carbone del Belgio, raccontata attraverso un’epopea popolare, fatta di uomini scambiati con sacchi di carbone, di paesi abitati solo da donne, di  lettere cariche di invenzioni per non svelare le condizioni umilianti di quel lavoro, di mogli che rispondono a quelle lettere con le parole dettate dall’unico uomo rimasto in paese: il postino”.

“È lui che racconta tutto quello che ha visto, sentito, letto e scritto. Racconta come può, come deve, ricostruendo uno spaccato violento e amaramente ironico di un Italia uscita dalla guerra e pronta ad affrontare il boom economico. È così che le sue storie, così apparentemente personali, ritraggono senza ipocrisia, uno dei capitoli più amari della nostra storia repubblicana”.

“Lo spettacolo ha ricevuto la targa commemorativa della Camera dei Deputati per "l'alto valore civile del testo e per la straordinaria interpretazione", è stato finalista al Premi UBU 2004 ed ha segnalato Mario Perrotta tra gli artisti più interessanti della nuova generazione”.

Scrive Mario Perrotta: “I miei cìncali. Cìncali cioè: zingari! Così credevano di essere chiamati gli italiani emigrati in Svizzera; pare, invece, che fosse una storpiatura di cinq, “cinque” nel linguaggio degli emigranti padani che giocavano a morra. Quasi un anno di testimonianze, un anno di memorie rispolverate a fatica. Ho preso la macchina e ho girato senza un luogo preciso dove andare, eppure il Sud è tutto uguale, non hai bisogno di sapere dove qualcuno ha preso le valigie ed è partito: basta entrare in un bar, un bar della provincia e chiedere. La risposta è sempre la stessa: – qui tutti siamo emigrati… Si fanno pregare, un attimo soltanto, poi partono con la loro storia, infinita, che reclama ascolto. Anche il Sud è infinito: tra i paesi montani del nord-est produttivo ed è ancora Sud. Per i Belgi, gli Svizzeri, i Tedeschi che chiedevano braccia dopo la seconda guerra mondiale, Sud era la Puglia, la Sicilia, la Calabria e Sud era il Veneto, il Friuli: - siamo emigrati tutti qui. Negli archivi pubblici e privati trovo lettere, diari salvati per miracolo ma loro non hanno più nulla: meglio dimenticare, dicono. Ma la memoria è importante perché nel 1990, quando nel Salento è sbarcata la prima carretta del mare carica di albanesi, c’erano ancora 1.000 bambini italiani clandestini in Svizzera. Negli anni ’70 erano 30.000”.

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