"Nulla è come sembra. Tutto è irrazionale".
E' la scritta che campeggia su un muro in una delle foto più icastiche scattate da Marco D'Antonio per il reportage La notte dell’Aquila. Cronache dalla città clandestina, pubblicato sul sito Lo stato delle cose. Geografie e storie del dopo sisma, un progetto promosso e realizzato dall’associazione culturale La camera del Tempo con il patrocinio del Comune dell’Aquila e con la collaborazione dell’associazione culturale Territori, del Dipartimento di Scienze Umane e del Laboratorio di cartografia dell’Università degli studi dell’Aquila, dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila, del Segretariato regionale per l’Abruzzo del Ministero per i Beni culturali.
Quello fatto da D'Antonio, fotoreporter aquilano che da anni lavora sia come freelance sia per conto di agenzie italiane e internazionali, è un viaggio nell'Aquila notturna del dopo-sisma, una discesa negli anfratti più nascosti - verrebbe da dire rimossi (non solo dalle narrazioni ufficiali e dai racconti mediatici ma anche dagli stessi abitanti) - della città, popolati da un'umanità sfuggente, dolente e emarginata, alle prese con vari demoni.
E'"l’altra faccia di una città ferita e negata benché, di fatto, fosse sotto gli occhi di tutti" scrive Antonio Di Giacomo nell'articolo che accompagna il reportage "E’ il racconto necessario di un’umanità alla deriva in una città che «esiste solo come passato o come progetto futuro», come annota in una sua poesia l’artista Pelino Santilli. A partire dal 2014 e fino al 2018 Marco D’Antonio ha indagato cosa accadeva in quello che restava del centro storico durante la notte, e non solo, documentando i nuovi cicli di vita nella città attraverso quello che è diventato un long term project. E con la sua macchina fotografica ha testimoniato una pluralità di situazioni, costruendo il mosaico di una città che credo non sia mai stata raccontata prima almeno attraverso la fotografia. Oltre la retorica del più grande cantiere d’Europa, oltre le narrazioni commosse e oltre il pur comprensibile slogan “L’Aquila rinasce” – gridato dinanzi a ogni piccolo passo compiuto in avanti lungo la strada tutta in salita per la ricostruzione – c’era un’altra città che esprimeva un senso di malessere e bisogni rimasti inascoltati".
"L’Aquila non è morta" scrive Marco D'Antonio "non è neanche il pavido spettro dell’abbandono come molto spesso si vuol rappresentare, ma è una città che, per una parte della sua popolazione, quella più giovane e più ferocemente colpita dal sisma che le ha tolto la possibilità di conoscerla, è madre, culla, tana e nascondiglio. Giovani e adolescenti popolano i vicoli deserti al calar del sole, facendosi luce nel percorso con i telefonini e poi, dopo uno sguardo attento a destra e sinistra, via dentro il portone del “Tonzo” o del “Circoletto” oppure su per la finestra dentro l’Hotel del Sole da cui si vede la piazzetta e «si può controllare se qualcuno arriva» o nello scantinato del “Palazzone”, «dove vanno le prostitute»".
"Case e vicoli, una volta abitati e vissuti da famiglie e studenti, trovano un nuovo nome che viene dato loro da chi nel 2009 – l’anno del terremoto – era poco più di un bambino ed oggi, pressoché adolescente, vive in un luogo a lui sconosciuto, senza sapere il nome delle strade e quasi senza avere coscienza di cosa sia una città. La sua città".
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Il progetto fotografico La notte dell’aquila. Cronache dalla città clandestina verrà esposto in contemporanea con la mostra “L’Aquila Tesori d’arte tra XIII e XVI secolo” al Forte di Bard. La mostra qui intitolata “La città nascosta” sarà ospitata dal 30 Maggio al 17 Novembre, al primo piano dell’Opera Carlo Alberto, nelle sale Gli Alloggiamenti, appositamente restaurate per l’apertura del nuovo ciclo espositivo del triennio 2019/2021.