Ieri sera ha avuto inizio la 64esima edizione del Festival di Sanremo, il festival della canzone italiana. Nel corso degli ultimi anni l'impressione è stata che questa ricorrenza - per molti anni motivo di vanto italiano a livello internazionale - riscuotesse un seguito sempre minore. Io, dal canto mio, non sono mai stato di questo avviso. Sono sempre stato un po' affascinato dall'atmosfera della kermesse, soprattutto come appassionato musicale a trecentosessanta gradi. Anche se gli anni passano, le sonorità evolvono e le modalità di scelta del mercato discografico cambiano, sono da sempre convinto che, in qualche modo, Sanremo sia un importante vetrina socio-culturale che mostra gli andamenti e le andature del panorama musicale italiano. E non solo, perché la musica non è mai soltanto musica e basta.
A quanto pare, non sono il solo a considerare Sanremo una vetrina che affaccia su tutto il Paese. Sicuramente i due operai campani - che hanno interrotto il melenso discorso del conduttore Fabio Fazio sulla bellezza - minacciando di buttarsi dall'impalcatura luci dell'Ariston saranno della stessa opinione. Il conduttore ha poi letto la loro lettera di protesta, in cui raccontano la situazione lavorativa precaria che vivono (come la maggior parte dei lavoratori di tutto il "bel paese"), che non sarebbe per niente da sottovalutare, ma che viene liquidata in un'atmosfera di pseudo buonismo generale.
Così, dopo un po' di inciampi, il festival riesce a ingranare e la musica si impadronisce del palco, come dovrebbe essere. Tantissime le performance di buon livello: ottime scelte, per far aumentare il tasso di gradimento. Primo tra tutti Luciano Ligabue, che in ricorrenza di quello che avrebbe dovuto essere il settantaquattresimo compleanno di Fabrizio De Andrè interpreta Creuza de mà. Magari l'interpretazione avrà fatto storcere un po' il naso ai puristi fan di De André. Pero, c'è da dire che se adesso tutti i fan teenagers di Ligabue decidessero di informarsi su De André, il mondo ne guadagnerebbe qualcosa.
Tra gli altri ospiti, l'unica presenza positiva è quella di Yusuf Cat Stevens, autore di una performance spettacolare, che merita in pieno la doppia standing ovation di tutto il teatro, e che io, giovine classe 1990, non mi sarei aspettato di poter vedere live (anche se solo da casa purtroppo). Per il resto, un tragicomico cameo di Laetitia Casta e un'esibizione abbastanza trash di Raffaella Carrà.
Ma passiamo ai concorrenti. Le modalità della gara sono le stesse dell'anno scorso. Ogni concorrente presenta due brani e il pubblico da casa e una commissione interna decideranno qual è il brano che gareggerà effettivamente.
La prima a salire sul palco è Arisa che, abbandonato il look da sfigatella con gli occhialoni tondi, ha ormai come unica arma per colpire il pubblico la sua splendida voce. Che se ne voglia dire, resta una delle migliori sul panorama nazionale. I due brani che presenta si chiamano Lentamente (il primo che passa) e Controvento, entrambi dal clima tipicamente sanremese. La prima con un'aria più aperta, che mette in maggior risalto le doti della cantante; la seconda, che ha passato la selezione, è più simpatica e orecchiabile, ritmicamente e armonicamente più cadenzata e piacevole.
Il secondo concorrente è Frankie Hi NRG, presentato come "il padre dell'hip-hop italiano". Cosa che - mi preme particolarmente dire - non è per niente veritiera. il primo pezzo che presenta si chiama Un uomo è vivo: non ha un rappato impeccabile, però l'arrangiamento melodico è carino, il messaggio contenuto nel ritornello è molto bello, e forse, per un rapper a Sanremo sarebbe stato un brano più adatto da portare avanti. Cosa che, però, non è successa, perchè la canzone selezionata è stata la seconda, Pedala, un pezzo reggae dal rappato meno complesso ma sicuramente più efficace. A mio avviso, tra i due è il brano migliore.
E' stato poi il turno di Antonella Ruggero, perchè Sanremo non sarebbe Sanremo se non si riesumasse qualcuno dall'oltretomba. I pezzi che presenta sono Quando balliamo e Da lontano: il primo con un accompagnamento molto scarno ma dall'atmosfera passionale, e il secondo con un arrangiamento che vede impegnata tutta l'orchestra, piu un bell'innesto di un organo, che sostiene bene la melodia del ritornello, dalla lirica più ampia rispetto a Quando balliamo. Da Lontano continuerà la competizione.
Brutto, a mio avviso, l'esperimento proposto dalla strana combo tra Rafael Gualazzi e i Bloody Beetroots. E', tra l'altro, l'unico ballottaggio che ho sbagliato tra tutti i brani in gara. Fino ad oggi l'unico che, secondo me, è riuscito a portare degnamente un synth davanti al pubblico dell'Ariston è stato Franco Battiato, nell'edizione di due anni fa. Ma questa è un altra storia. I pezzi presentati dal team Gualazzi Beetroots sono Tanto ci sei, che personalmenteho preferito, e Liberi o no. Il primo è un blues che ricorda tanto True degli Spandau Ballet, con inserimenti elettronici che non hanno ragione di esistere. Liberi o no è invece uno strano miscuglio di gospel, dance, soul che sfocia in un pop molto becero. Considerando che il Gualazzi non ha nemmeno questa gran voce, il quadro è completo. Ad ogni modo, la seconda canzone passa la selezione.
A salire sul palco è poi Cristiano De Andrè, la cui voce nelle tonalità più naturali ricorda molto quella del padre. L'atmosfera, però, si perde però quando forza, o nei lunghi passaggi parlati dei suoi versi. Il pezzo selezionato è Il cielo è vuoto, un rock neomelodico, che passa il turno a discapito di Invisibili, brano per chitarra acustica che ipotizzo essere dedicato al padre.
Almeno in questa prima serata, la vera rivelazione del festival è un gruppo torinese che si presenta con il nome di Perturbazione. In entrambe le canzoni dimostrano la grande qualità di essere sobriamente semplici, e questo è un punto di forza fondamentale. Il brano che passa il turno si intitola L'unica: non è prettamente sanremese ma, a mio avviso, sarà uno di quei pezzi che si farà ricordare anche dopo il festival. Stessa analisi per il secondo brano, L'Italia vista dal bar, al quale però mancava la componente romantica per far breccia nei tempi ristrettissimi del meccanismo del televoto. Comunque, da tenere d'occhio.
L'ultima concorrente in gara della prima serata è stata Giusy Ferreri, l'unica finora ad avere l'accompagnamento dello storico maestro Peppe Vessicchio. Ferreri si presenta con un notevole shatush, come va di moda in questo periodo, ma con una presenza scenica un po' assente. Le due canzoni che porta sono entrambe molto belle, la prima L'amore possiede il bene e una classica pop song in perfetto stile Sanremo, ma forse per una voce potente come la sua non è totalmente adatta. Passa il turno la seconda, Ti porto fuori a cena, è totalmente nelle sue corde: uno splendido soul che, anche in questo caso, ci terrà compagnia dopo la fine del festival.
Infine, si spengono le luci e si abbassa il sipario (ri-aggiustato) del teatro Ariston e per questa prima serata è tutto. In gara ci sono ancora sette concorrenti da ascoltare e, sicuramente, il livello degli ospiti non potrà che stupirci di più, chissà se in peggio o in meglio. Anche la coppia di presentatori può certamente stupirci di più.
Staremo a vedere, insomma, cosa ci offrirà questa 64esima edizione del Festival di Sanremo.