Sabato, 09 Marzo 2013 15:13

Progetto C.A.S.E.: L'Aquila istituzionalizzata

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In queste ultime settimane, si è tornato a parlare del Progetto C.A.S.E. La Corte dei conti europea ha bocciato gli alloggi governativi perché immotivatamente costosi rispetto ai bisogni effettivamente soddisfatti. Nel novembre del 2009, l'Unione europea ha destinato all'Abruzzo 500 milioni di euro tramite il proprio Fondo. Gli interventi da finanziare includevano il ripristino immediato delle infrastrutture e delle attrezzature nei settori dell’elettricità, delle condutture idriche e fognarie, delle telecomunicazioni, dei trasporti, della sanità e dell’istruzione, nonché la fornitura di alloggi provvisori e l’organizzazione dei servizi di soccorso destinati a soddisfare le necessità immediate della popolazione.                                                                      

Dei 500 milioni di euro stanziati, il 30% (144 milioni) è stato destinato ad interventi che secondo la Corte dei conti Ue sono “sotto ogni profilo ammissibili ai sensi del regolamento istitutivo dell’Fsue”. Invece, il progetto Case, che ha assorbito il 70% del finanziamento - 350 milioni di euro - “sebbene rispondente alle effettive necessità, non ha rispettato le specifiche disposizioni del regolamento Fsue”. In particolare, "il progetto non è riuscito a fornire alloggio a tutta la popolazione sfollata prima dell'inverno. Gli appartamenti CASE si sono rivelati immotivatamente costosi ed hanno alloggiato troppe poche persone". La risposta della Commissione europea non si è fatta attendere. Questo il commento di Shirin Wheeler, portavoce per le politiche regionali: "Riteniamo che le critiche della Corte siano ampiamente infondate. Esse riflettono una mancanza di apprezzamento per le sfide in campo e delle aspettative non realistiche verso le autorità italiane alle prese con una grande calamità e con delle circostanze complesse, in cui sono morte 308 persone, ne sono rimaste ferite 1.500 e circa 70 mila sono rimaste senza un tetto, bisognose di assistenza".

Non intendiamo entrare in questa polemica. E' fuor di dubbio che il progetto C.A.S.E sia costato troppo. E' innegabile che abbia profondamente inciso sul tessuto ambientale e urbanistico della città. In molti lo hanno denunciato, in questi anni. Quel che preoccupa oggi, però, a quattro anni dal sisma, è la qualità della vita nei 19 nuovi quartieri. Di cui in pochi paiono interessarsi. Tra gli altri, il "Gruppo Umana Solidarietà" che con il supporto dell'Associazione 180 amici L'Aquila Onlus ha condotto uno studio molto interessante.

Vi proponiamo un sunto di un articolo a firma dello psicologo Emanuele Sirolli, che presenta i risultati del lavoro.

 

L'Aquila Istituzionalizzata 

Il G.U.S. (Gruppo Umana Solidarietà) è un' Organizzazione Non Governativa basata sulla laicità, la solidarietà e la giustizia sociale, che dal 1993 interviene a supporto di popolazioni afflitte da guerre o calamità naturali.

Dopo il sisma del 6 aprile 2009, il gruppo ha immediatamente fornito il proprio sostegno alla popolazione aquilana e, in seguito alla prima fase emergenziale, ha deciso di restare a L'Aquila per continuare ad offrire, in collaborazione con i volontari aquilani, il suo contributo alla popolazione, con l'obiettivo di ricostruire la rete sociale che il sisma e la nuova pianificazione territoriale avevano disgregato.

Gli sfollati, ad oggi, sono ancora più di trentamila: vivono in abitazioni provvisorie (autonoma sistemazione), in casette di legno removibili o nei progetti C.A.S.E., 19 grandi agglomerati abitativi periferici alla città che ospitano più di 15000 persone. I progetti C.A.S.E. sono generalmente luoghi isolati dal contesto urbano, privi di servizi e di negozi, e scarsamente collegati con i luoghi di aggregazione sociale che, a fatica, tornano a esistere nei pressi del centro cittadino. In tale realtà si è svolto il progetto “Centra L'Ascolto”, finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali grazie al quale il G.U.S., con il supporto dell'Associazione 180 Amici L'Aquila ONLUS,  è stato presente sul territorio con un camper che si è spostato tra i progetti C.A.S.E. di Cese di Preturo, Coppito 3 e Paganica 2 offrendo un servizio di ascolto attivo alla popolazione. La durata complessiva del progetto è stata di sei mesi, due mesi per ciascun progetto C.A.S.E. selezionato. Parallelamente al servizio di ascolto attivo, sono stati somministrati dei questionari alla popolazione delle tre new towns volti a indagare lo stato psicofisiologico dei residenti e ad individuare loro eventuali bisogni o problematiche. I test utilizzati sono stati proposti in due momenti: all'inizio della presenza al centro di ascolto e alla fine dell'intervento (circa 2 mesi). L'intervista conteneva: domande per acquisire dati socio-anagrafici, domande aperte sugli effetti e la programmazione degli interventi, test MANSA (Manchester Short Assesement quality of life) per registrare gli indicatori soggettivi e oggettivi della qualità della vita, test BSI (Brief Symptom Inventory) per valutare il livello dei sintomi psichiatrici e fisici e il test IES-R (Impact of Event Scale) per valutare le situazioni di disagio legato agli eventi della vita. La modalità di campionamento della popolazione è stata casuale, un campanello ogni tre di ciascun complesso residenziale selezionato e sono stati somministrati 198 questionari in tutto.

La maggior parte degli intervistati, il 98%, ha subito il trauma del terremoto e il 92% è stato accolto in campi o in alberghi nel periodo successivo al sisma. Nell'analisi dei dati si riscontra un sensibile aumento del consumo di farmaci (prima del terremoto consumavano farmaci il 20% della popolazione, dopo il sisma il consumo è salito al 41%), i principali disturbi sono relativi a problemi cardiaci, renali, tiroidei, diabete, ansia, depressione e insonnia. Nell'analisi della IES-R la presenza di sindrome post traumatica da stress (PTDSD) non sembra essere rilevante. Attraverso una analisi qualitativa delle informazioni raccolte con l'ascolto attivo e l'organizzazione di eventi relativi al progetto “Centra L'Ascolto”, la popolazione risulta essere tendenzialmente apatica, depressa, incapace di pianificare il futuro e di immaginarlo in positivo e tendente alla delega. Tutte queste sintomatologie possono essere riferite alla PTDSD ma questa, paradossalmente, non sembra essere stata rilevata neanche da altri studi.

Personalmente ritengo che lo stato della popolazione aquilana non sembra essere dovuto al sisma stesso ma alla gestione post-sismica dell'emergenza che ha indotto determinati processi di pensiero della popolazione. Processi di pensiero non molto dissimili a quelli individuati da Barton nel 1959 in persone affette da “sindrome da istituzionalizzazione” o “institutional neurosys”.

 Alcuni cenni storici per meglio comprendere di cosa stiamo parlando e perché questo raffronto apparentemente estremo: la popolazione aquilana dopo il 6 aprile 2009 è stata soggetta alla più grande evacuazione della storia italiana dopo la seconda guerra mondiale, in tre giorni circa 33000 persone sono state accolte in più di 100 campi e la restante parte della popolazione (circa 30000) è stata trasferita in alberghi per lo più situati sulla costa abruzzese. Tale condizione è rimasta invariata per 9 mesi. Il comune e gli enti locali sono stati esautorati e sostituiti da Dipartimento di Comando e Controllo per due anni circa. Una condizione che personalmente ritengo possa essere simile ad altre che in passato si sono verificate in seguito a eventi catastrofici.

Tale metodo di intervento, infatti, sembra sia stato già usato precedentemente negli Stati Uniti a seguito di catastrofi naturali  (confronta “Shock Economy” di Naomi Klein, 2009) per permettere, secondo l'autrice, di imporre alla popolazione un repentino cambiamento dei propri stili di vita a favore di un “liberismo hard”. In Luisiana, per esempio, a seguito dell'uragano Katrina, la popolazione è stata evacuata per mesi e nel frattempo sono state chiuse tutte le scuole e gli asili pubblici e sostituiti con scuole e asili privati (ibidem). A L'Aquila sono state costruite in 9 mesi 18 new town molto spesso in luoghi (parco nazionale) dove nessuno avrebbe mai permesso la costruzione prima del terremoto. Le soluzioni ottenute non sono mai state confrontate con la popolazione che ha da sempre richiesto la ricostruzione delle proprie abitazioni e del centro storico e non una nuova riedificazione. Numerose sono state le speculazioni e tuttora manca un piano chiaro di ricostruzione della città, così come non sembrano esserci i fondi per attuarla.

Tutti i fondi a disposizione sono stati utilizzati per la costruzione delle new towns e dei M.A.P. (Moduli Abitativi Provvisori). Le prime manifestazioni della popolazione aquilana per reclamare i ritardi dei lavori di smaltimento macerie e ricostruzione del centro storico avvengono solamente nei primi mesi del 2010 con l'ormai celebre movimento delle “carriole”. Come è possibile che la popolazione si ribella solo 10 mesi dopo? A cosa è dovuto questo ritardo di presa di coscienza? Perché nel 2011 le persone che abbiamo potuto conoscere nel nostro lavoro di ricerca erano ancora tendenzialmente apatiche, depresse e gestivano con difficoltà la loro vita? Probabilmente perché la lunga permanenza in campi e in alberghi, e poi la vita in contesti lontani dalle abitudini precedenti, può aver causato una sorta di “istituzionalizzazione soft” della popolazione. Mi riferisco alle teorie di Goffmann, Foucault, Basaglia, Barton e Simmel

Secondo Goffmann, “l'istituzione totale è il luogo in cui gruppi di persone risiedono e convivono per un significativo periodo di tempo.” I tratti distintivi di detta istituzione sono:

  • l'allontanamento e l'esclusione dei soggetti istituzionalizzati,
  • l'organizzazione formale e centralmente amministrata del luogo e delle sue dinamiche interne,
  • il controllo operato dall'alto sui soggetti-membri.

In base a questa teoria possiamo considerare i campi di accoglienza, così come gli alberghi, delle “istituzioni totali”. “Oltrepassato il muro dell’internamento, il malato entra in una nuova dimensione di vuoto emozionale (risultato della malattia che Barton chiama institutional neurosis e che chiamerei semplicemente “istituzionalizzazione”); viene immesso, cioè, in uno spazio che, originariamente nato per renderlo inoffensivo ed insieme curarlo, appare in pratica come un luogo paradossalmente costruito per il completo annientamento della sua individualità. [...] L ’assenza di ogni progetto, la perdita del futuro, l’essere costantemente in balia degli altri senza la minima spinta personale, l’aver scandita e organizzata la propria giornata sui tempi dettati solo da esigenze organizzative che - proprio in quanto tali – non possono tenere conto del singolo individuo e delle particolari circostanze di ognuno: questo è lo schema istituzionalizzante su cui si articola la vita dell’asilo” (Franco Basaglia, La distruzione dell’ospedale psichiatrico).

Rileggere le parole di Franco Basaglia alla luce di quanto è successo e sta tuttora succedendo a L'Aquila conduce ad un risultato sorprendente: non servono mura di coercizione fisiche ma, al pari del prigioniero di Goffman o dell’internato di Basaglia, la vita dei cittadini aquilani dimostra che ciò che accade in un’istituzione totale è applicabile ad una società libera. Il campo di accoglienza è un “ammassamento di corpi e non di energie”, per dirlo con le parole di Foucault.

Possiamo ipotizzare che la popolazione aquilana sia stata generalmente affetta da una “sindrome da istituzionalizzazione”:  una condizione psicopatologica che è possibile riscontrare sia in soggetti sottoposti ad una lunga permanenza in istituzioni chiuse (come case di cura, ospedali psichiatrici, prigioni, orfanotrofi) sia in soggetti la cui struttura di vita sia improntata al rispetto di rigide e restrittive regole comportamentali (come ad esempio appartenenti ad ordini religiosi, sette, comunità isolanti, gruppi familiari problematici). E' denominata in letteratura come "nevrosi istituzionale" ed è generalmente caratterizzata da chiusura in se stessi, indifferenza verso il mondo esterno, apatia, regressione a comportamenti infantili, atteggiamenti stereotipati, rallentamento ideico; è inoltre possibile che il soggetto elabori convinzioni deliranti di tipo consolatorio: i cosiddetti "deliri istituzionali" (ideazioni di cui il soggetto è radicalmente convinto ma che non presentano riscontri nella realtà oggettivabile).

L' essere allontanati dalla propria casa, dal luogo del trauma ha inoltre reso difficile, per la popolazione aquilana, elaborare velocemente il trauma subito; per molti di loro, è come se il tempo si fosse fermato al momento del terremoto. “Le istituzioni rappresentano il momento dialetticamente negativo all'interno di questo processo di produzione simbolica, in quanto reificano, dando loro una forma stabile, i contenuti di determinati flussi ideali.” (Georg Simmel). Alcune persone non sono mai più tornate a vedere la propria casa, è come se dopo la morte di una persona cara non si partecipasse al suo funerale (che ricordiamo ha la funzione psicologica di elaborare il lutto). Infine, dopo anni di sopravvivenza in condizioni precarie, la popolazione aquilana si ritrova a vivere non nella propria casa, con il proprio vicinato, nella sua rete sociale di appartenenza ma in luoghi “altri” lontano dai suoi contesti di vita, vicino a persone che non conosce e lontano da negozi e da qualsiasi luogo di aggregazione (fatta eccezione per la tenda chiesa, sempre presente nelle new towns).

Ritengo che si sarebbe dovuto agire in maniera differente, bisognava dare l'opportunità alla popolazione aquilana di gestire il proprio futuro, di elaborare il proprio vissuto e di organizzare una ricostruzione il più possibile partecipata. Si doveva cercare, per quanto possibile, di non allontanare la popolazione dalla propria città e di coinvolgerla nell'organizzazione dell'assistenza e della vita quotidiana, in tal modo si sarebbe evitato quel processo di “passivizzazione” che possiamo ritenere sia una delle cause principali dello stato attuale della popolazione aquilana. La ricostruzione del centro storico della città non è mai cominciata, nonostante le proteste degli abitanti la maggior parte dei fondi a disposizione è stata utilizzata per la costruzione di nuovi quartieri che potremmo definire dei “non luoghi” (secondo una definizione di Marc Augè) in cui lo spazio per la socialità e per l'organizzazione della vita quotidiana non è contemplato, dei quartieri dormitorio che sicuramente non aiutano a superare il trauma subìto.

Quello che al momento sembra mancare è una “piazza”, un luogo di ritrovo socialmente condiviso in cui incontrarsi per poter riacquistare una quotidianità ormai persa. Prima del 6 aprile 2009 il centro storico era il luogo più frequentato della città, vi era un grande mercato tutte le mattine, migliaia di negozi, locali, bar e ristoranti animavano la vita serale e notturna. Tutto ciò è andato perso e, a distanza di quattro anni, la ricostruzione sembra ancora lontana. Molti abitanti chiedevano la costruzione di abitazioni provvisorie nelle aree limitrofe alle proprie abitazioni, meno dispendiose dei progetti C.A.S.E., che avrebbero permesso sia di risparmiare risorse per la ricostruzione che di monitorare la ristrutturazione degli stabili danneggiati. Tutto questo non è avvenuto e è stata imposto un modello di (ri)costruzione che si sta rivelando essere non idoneo per una ricostruzione psicologica e sociale degli aquilani.

La popolazione aquilana ha bisogno di molto tempo per poter tornare a vivere adeguatamente, la storia ci ha insegnato che è molto facile creare contesti istituzionalizzanti e allo stesso tempo è molto impegnativo superare tali contesti e le problematiche socio economiche di questo periodo sicuramente non aiutano.  Gli aquilani si stanno muovendo, ma forse non abbastanza.

Emanuele Sirolli

Ultima modifica il Martedì, 12 Marzo 2013 03:01
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