“L’universo ci sorprende ancora attraverso le onde gravitazionali: una nuova scoperta al limite dei modelli teorici che apre nuovi enigmi e scenari”.
È il commento di Marica Branchesi, astronoma e professoressa associata di fisica astroparticellare del Gran Sasso Science Institute dell’Aquila, alla scoperta appena annunciata dalla collaborazione scientifica internazionale Ligo-Virgo, di cui anche la professoressa Branchesi è membro.
Gli interferometri (due collocati negli Stati Uniti, uno in Italia nei pressi di Pisa gestito dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare in collaborazione con il CNRS francese) hanno infatti osservato la fusione di due oggetti astrofisici straordinariamente massicci: due buchi neri di 66 e 85 masse solari, che hanno generato un buco nero finale di circa 142 masse solari.
Il buco nero finale si trova in un intervallo di massa in cui nessun buco nero è mai stato osservato prima, né con le onde gravitazionali, né con radiazione elettromagnetica. La distanza dalla Terra della sorgente che ha prodotto il segnale dell’onda gravitazionale, rivelato dai tre interferometri della rete globale il 21 maggio 2019 e chiamato GW190521, è stata stimata essere di circa 17 miliardi di anni luce. Due articoli scientifici, che riportano la scoperta e le sue implicazioni astrofisiche, sono stati pubblicati oggi 2 settembre, rispettivamente su Physical Review Letters e Astrophysical Journal Letters.
Un’osservazione che pone nuovi interrogativi e delinea nuovi campi di ricerca, come osserva la professoressa Branchesi: “Come si formano due buchi neri entrambi di massa superiore a 60 soli, una zona pensata proibita nell’evoluzione delle stelle massicce? La fusione ha dato origine al primo buco nero di massa intermedia mai osservato. Sono questi i buchi neri che ci spiegheranno come si sono formati i buchi neri super-massivi al centro delle galassie?”.
Domande a cui proveranno a dare risposta le nuove generazioni di astrofisici che già partecipano alla collaborazione Ligo-Virgo o che lo faranno nei prossimi anni.
Al Gran Sasso Science Institute dell’Aquila, per esempio, sono una decina i ricercatori, affiliati all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, che danno il loro contributo allo studio delle onde gravitazionali. “Ora, grazie ai livelli di sensibilità raggiunti dagli interferometri Ligo e Virgo siamo riusciti a osservare una fusione avvenuta circa 7 miliardi di anni fa”, commenta Giulia Pagliaroli, ricercatrice al GSSI. “E da un segnale che dura circa un decimo di secondo possiamo imparare sui buchi neri più di quanto abbiamo appreso in secoli di astronomia tradizionale”.
Il Rettore del GSSI Eugenio Coccia, uno dei pionieri della ricerca delle onde gravitazionali, esprime grande soddisfazione: “Il GSSI offre a giovani fisici di tutto il mondo l’opportunità di lavorare sui buchi neri e su come si formano, in un momento esaltante per le osservazioni di questi oggetti”. Tra loro Elena Codazzo, dottoranda in Astroparticle Physics: “Sono entusiasta per l’annuncio di questa scoperta. Non è la prima volta da quando sono al GSSI che la rilevazione di un nuovo segnale sembra stravolgere o aggiungere tasselli alla fisica che conosciamo. Tutto ciò influisce direttamente sulla mia ricerca sulle popolazioni di buchi neri e sulle loro interazioni in ambienti molto ricchi di stelle. Mi ritengo fortunata a potermi formare in un ambiente così stimolante, all’avanguardia e ricco di opportunità”.
I prossimi anni si annunciano ricchi di novità in questo campo della ricerca astrofisica. “Gli attuali interferometri Ligo, Virgo, Kagra (strumento giapponese da poco entrato in funzione) e i rivelatori futuri come l’Einstein telescope e LISA ci riveleranno i misteri dei buchi neri di tutte le masse, da pochi soli a miliardi di soli”, conclude Marica Branchesi.