E’ iniziata ufficialmente stasera la 727esima edizione della Perdonanza Celestiniana dell’Aquila.
Il sindaco Pierluigi Biondi ha acceso il braciere della pace davanti alla basilica di Santa Maria di Collemaggio intorno alle 21.30, utilizzando il Fuoco del Morrone.
Si tratta della fiaccola che il Movimento Celestiniano ha portato dall’eremo celestiniano di Sant’Onofrio (Sulmona) dal 16 agosto, e che è arrivato nel capoluogo abruzzese ripercorrendo il tragitto che Pietro Angelerio affrontò nell’estate del 1294, per arrivare all’Aquila e vestire le insegne da Papa (con il nome di Celestino V), dopo la proclamazione avvenuta nel conclave di Perugia del 5 luglio di quell’anno.
Gli ultimi tedofori sono stati Beatrice Del Vecchio, 17 anni, studentessa del liceo classico Domenico Cotugno, e Marco Iacobucci, anche lui 17 anni, studente del liceo scientifico “Bafile”. Il Movimento Celestiniano, organizzatore dell’iniziativa che si svolge ininterrottamente da 42 anni, li ha scelti per la loro costante presenza nel cammino del perdono anche negli anni trascorsi e per i brillanti risultati scolastici ottenuti, nonostante i disagi dovuti alla didattica a distanza, necessaria per un lungo periodo a causa del covid-19.
Prima della cerimonia inaugurale, il saluto delle autorità è stato portato al pubblico presente a Collemaggio (video schermi sono stati allestiti anche alla scalinata di San Bernardino e a Piazza Duomo) dal vice presidente della Regione Abruzzo, Emanuele Imprudente, delegato dal presidente Marco Marsilio, dal presidente della Provincia dell’Aquila, Angelo Caruso, dall’Arcivescovo dell’Aquila, Cardinale Giuseppe Petrocchi e dallo stesso sindaco Biondi.
La Perdonanza Celestiniana dell’Aquila è stata riconosciuta patrimonio culturale immateriale dell’Unesco nel dicembre 2019.
Il programma della settimana ruota intorno al momento più importante, quello del 28 agosto, con l’apertura della Porta Santa della Basilica di Santa Maria di Collemaggio, per l’inizio del Giubileo più antico della storia, voluto dal Papa Santo Celestino V con la Bolla del Perdono del 29 settembre 1294.
Tanti artisti si sono poi alternati sul palco antistante la basilica di Collemaggio (denominato “Teatro del Perdono”), nell’ambito dello spettacolo “Un canto per la rinascita – di viaggio e di cuore”, evento ideato dal direttore artistico della Perdonanza, maestro Leonardo De Amicis, e scritto insieme con Paolo Logli. Nella serata presentata anche quest’anno dalla conduttrice televisiva Rai Lorena Bianchetti, i protagonisti sono stati Roby Facchinetti, Irene Grandi, Michele Zarrillo, Simone Cristicchi e Orietta Berti, accompagnati dall’Orchestra del Conservatorio “A. Casella” dell’Aquila e dai cori della Schola Cantorum di San Sisto e della Corale L’Aquila, tutti diretti dal maestro De Amicis.
Il discorso del sindaco dell'Aquila, Pierluigi Biondi
Cittadine, Cittadini,
da 727 anni, Celestino ci mostra la bellezza del perdono e ci ricorda che Gesù ne è apologeta quando, inchiodato sulla croce, dice: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. E, da allora, l’umanità si interroga se sia mai possibile perdonare coloro che sanno quello che fanno e, al contempo, riflette sulla necessità del superamento del male per poter andare avanti, per non vivere bloccati da una memoria lacerante.
E, qui, entra in gioco il ruolo della testimonianza, che traduce la storia con la forza del vissuto. Tra le pagine de "L'avventura di un povero cristiano" l'opera teatrale dedicata da Ignazio Silone a Celestino, si legge che "È difficile che un buon cristiano possa estraniarsi dalla sorte dei suoi simili. Il fratello maggiore non può disinteressarsi dei fratelli minori". E noi, da cristiani, non possiamo estraniarci dalla sorte dei nostri simili come nel caso della tragedia afghana cui stiamo assistendo in questi giorni.
Da fratelli maggiori non possiamo disinteressarci dei nostri fratelli minori, delle ragazze e dei ragazzi che, tra pochi giorni, torneranno a scuola con l'angosciosa eredità di un anno e mezzo vissuto nell'incertezza e nella privazione dei rapporti sociali. È un impegno che a tutti i livelli è chiesto alle istituzioni, alla classe dirigente del Paese, a una politica che deve ritrovare la consapevolezza del suo ruolo e che è chiamata, con equilibrio e sobrietà, a perseguire il sentimento di riconciliazione di cui a più riprese ha parlato il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Il lascito di Celestino, infatti, è tante cose, ma su tutte trionfa il pensiero che l’ultima parola non spetta al male, ma alla grazia, all’amore, perché il cammino del perdono porta verso l’umanizzazione della società con un legato di speranza che guarda al futuro. Nel suo “Resurrezione”, Leone Tolstoj, una notte, fa sì che il giovane protagonista, tormentato dalle scelte fatte e sconfortato dalla giustizia umana, prenda tra le mani il Vangelo e si soffermi sul "Discorso della montagna". Ed ecco che la sua “resurrezione” di uomo e di credente si viene a realizzare attraverso la via della redenzione e con un nuovo scopo da dare alla propria vita.
La forza del perdono è la parte per il tutto della Perdonanza, che Celestino ha riempito di insegnamenti semplici, chiari e attuabili. Messaggi universali, amplificati dal riconoscimento giunto nel 2019 dall'Unesco che ha conferito alla Festa della Perdonanza il titolo di patrimonio immateriale culturale dell'umanità.
Celestino V, da 727 anni, racconta con la sua vita e le sue opere il perdono come valore universale e ci esorta a varcare la Porta santa perché perdonando se stessi si perdonano gli altri.
L’Aquila - la città che Celestino scelse per la incoronazione a pontefice, la città alla quale donò il primo giubileo della storia - è in piena rinascenza. Ogni giorno riscopre quello che sembrava perso e libera altre possibilità di crescita. Una ricostruzione, che sa di restauro e di ripristino ma anche di innovazione, ha risvegliato la nostra comunità. La grande bellezza dell’Aquila rinascente è, oggi, il palcoscenico di una storia da raccontare ma, soprattutto, da scrivere. Con il pensiero rivolto a San Pietro Celestino, con il cuore colmo di riconoscenza per la sua generosa protezione, nel rispetto di un dono unico e prezioso come la Bolla del Perdono, nel suo nome e insieme alla comunità dell’Aquila e ai comuni del nostro straordinario territorio.
Il saluto del Cardinale Giuseppe Petrocchi, Arcivescovo metropolita dell'Aquila
Il gesto “esterno” di accendere il “fuoco”, è simbolo di un evento che deve accadere “dentro” l’anima: le fiamme della Perdonanza debbono ardere in tanti cuori.
Il fuoco è immagine della carità evangelica, che Dio suscita in noi attraverso il Suo Spirito. Anche il contesto temporale in cui si svolge questo rito ha un significato su cui riflettere: è notte. In un ambiente, privo di luminosità, si vede poco e male: è difficile identificare persone e cose, così come risulta arduo orientarsi nello spazio e decidere le direzioni da prendere.
Il fuoco della Perdonanza deve illuminare le nostre “notti” spirituali, culturali, sociali. Se spesso è impossibile eliminare rapidamente il buio che ci avvolge, è tuttavia fondamentale che il buio non si trasformi in “tenebra”, che è oscurità abitata dal male, in tutte le sue forme. Infatti, la sofferenza, provocata da condizioni avverse che si abbattono sulla nostra storia, non deve “inquinarsi” diventando una palude malsana (personale e collettiva), che genera rabbia, avvilimenti, contrapposizioni, atteggiamenti ostili, individualismi miopi e corrosivi.
Si potrebbero elencare numerose “notti” che caratterizzano la nostra epoca: l’ultima, in ordine di tempo, è la “calamità pandemica” che ci ha colpito in modo improvviso e rovinoso. Si spengono molte certezze, vengono meno prospettive su cui si contava, si riducono spazi di vita ai quali si era abituati, si è minacciati nella salute, si vedono attaccate da questo virus-killer persone care, e talvolta si assiste, impotenti, alla morte di parenti e amici. L’oscurità dell’ansia e della insicurezza sembra calare sulla quotidianità e si proietta sul futuro, facendolo apparire opaco e “rischioso”.
Il fuoco della Perdonanza deve rischiarare questa epidemia drammatica: in particolare, dobbiamo capire sempre meglio ciò che ci è stato tolto, ma anche ciò che ci è stato dato; le possibilità perse ma anche le nuove opportunità guadagnate; cosa è da correggere ma anche ciò che va confermato e rafforzato.
Dobbiamo vedere, alla luce del messaggio celestiniano, il bene che è emerso (penso alla dedizione eroica messa in campo da appartenenti alle Istituzioni, da Operatori sanitari, da una innumerevole schiera di Cittadini responsabili), ma occorre pure registrare atteggiamenti trasgressivi e massive manifestazioni di egoismo dannoso. Inoltre, vanno attentamente identificate le “zone” dove domina il “buio”: cioè, le “periferie esistenziali” (personali e collettive), come le chiama Papa Francesco.
Mi riferisco agli “ultimi” e alle persone escluse, ai malati e a quanti sono feriti nei loro sentimenti, alle condizioni di precarietà economica, agli aspetti di marginalità sociale. In tutti questi “luoghi” della solitudine e della tristezza devono accendersi l’amore fraterno, la solidarietà generosa, la fattiva condivisione: ecclesiale e civile. Ricordo, infine, che il fuoco non va solo acceso, deve essere anche alimentato e mantenuto, attraverso la preghiera perseverante e la corrispondenza fedele alla grazia del Signore.
A conclusione, leggo una intensa poesia, attribuita a Madre Teresa di Calcutta: una Santa del nostro tempo, certamente molto vicina alla sensibilità spirituale di Celestino V. «Prendi un sorriso, ragalalo a chi non l’ha avuto; prendi un raggio di sole, mettilo nel cuore della notte; scopri una sorgente, fa’ bagnare chi è prostrato nella polvere; cogli una lacrima, posala sul volto di chi non ha pianto; prendi il coraggio, mettilo nell’animo di chi non sa lottare; vivi la vita, raccontala a chi non sa capirla; apriti alla speranza, vivi nella sua luce; prendi la bontà, donala a chi non sa donare; scopri l’amore, fallo crescere sulla terra».
A tutti e a ciascuno auguro, con affetto, “Buona Perdonanza”!
* Foto Marcello Spimpolo