Riceviamo e volentieri pubblichiamo la riflessione di Alessandro Tettamanti*
Ciò da cui più sono rimasto colpito in questa 727esima Perdonanza aquilana appena conclusasi, sono stati i piccoli-grandi esperimenti di ingegneria sociale messi in campo dagli organizzatori nell’epoca del Covid e delle sue restrizioni.
Non è interesse dunque di questo articolo dare giudizi tout court sulla Perdonanza (credo non manchino altrove), tantomeno sulla discutibile decisione di coprire la basilica di Collemaggio con il palco. Piuttosto, trovo più rilevante l’installazione di una tribuna a gradoni che copriva il retro dello spazio del prato dedicato all’evento, quello verso il viale di collemaggio dove si trova la città, contribuendolo a renderlo, di fatto, un’arena chiusa.
Al centro della riflessione che voglio proporre c’è lo spazio pubblico, o meglio la sua improvvisa negazione tramite la costruzione di nuovi confini e conseguenti confinamenti.
Fino a dove si possono estendere questi confini? E’ la domanda che vorrei ci ponessimo ed entrasse in un dibattito pubblico.
Per me, la Perdonanza 2021 è stata la triste occasione per osservare in maniera plastica gli effetti sulle persone delle nuove disposizioni legate allo spazio urbano all’interno delle misure anti covid.
Mi spiego meglio.
In relazione alla già controversa area del prato davanti la basilica dove si sono svolti gli eventi più importanti, è da segnalare la grandezza smodata di tutta un’area circostante, paragonabile a un quartiere di una città, resa inaccessibile a chi era senza biglietto, acquistabile on line solo per detentori di ‘green pass’.
Barriere con steward e forze di polizia sono state poste una subito dopo la villa comunale, lungo viale di Collemaggio e l’altra nei pressi del terminal bus, all’inizio della salita verso la basilica, subito dopo la galleria, praticamente alla fine di via Strinella. Come negli ultimi anni, blocchi di cemento sono stati posti anche nell’accesso posteriore al quartiere dell’ex Ospedale psichiatrico, quello dove si trova il canile per intenderci; blocchi che non permettevano l’ingresso alle auto, ma che non rappresentavano un ostacolo (e quindi un divieto esplicito) per gli esseri umani. Impossibile entrare nell’ex-op dall’entrata principale.
Il risultato di questa ampia blindatura, giustificata dalle autorità per le norme anti covid, è che per il primo anno la popolazione non ha potuto avvicinarsi all’area del concerto su viale di Collemaggio e neanche sulla stradina che sale affianco la basilica.
Il confine tra il pubblico e il privato non era più quello naturale composto dalla piccola scarpata (comunque transennata) che separa la strada d’ingresso all’ex op dal prato, ma è stato deliberatamente posto una decina di metri più a valle, ri-utilizzando quello eliminato dalla legge Basaglia del manicomio.
Nuovamente è stato vietato sorpassare quei cancelli tramite l’impiego di Protezione Civile e forze dell’Ordine, ma si era liberi di assembrasi poco più in là, oltre i cancelli, dentro l’ex manicomio.
La cosa, a chi scrive, non sembra corrispondere a nessun principio sanitario, quindi è interessante chiedersi il motivo di questo respingimento con conseguente arretramento e nuovo confinamento del ‘pubblico’.
Fino a dove è possibile traslare quella linea?
La serata finale con Renato Zero e gli altri ha dimostrato che traslarla era subito possibile visto che gli organizzatori hanno posto il classico nastro bianco e rosso due metri dentro il cancello. La stessa cosa è avvenuta in Piazza Duomo dove è stato allestito un maxi schermo sopra il quale veniva proiettato un simulacro della Perdonanza (la Perdonanza a distanza, altra nuova creatura del covid); davanti lo schermo c’era un’area recintata dalle transenne all’interno della quale era obbligatorio entrare con green pass rispettando il distanziamento imposto, stando seduti su sedie opportunamente lontane una dall’altra. Risultato? Sedie quasi vuote per quasi tutti gli spettacoli e folla appena oltre il transennamento.
A tutti gli aquilani è apparsa dunque palese la contraddizione e le foto sono state postate sui più popolari gruppi Facebook con svariate argomentazioni.
La cosa da notare però è sempre la stessa: dietro quelle transenne non c’è nient’altro (si fa per dire) che la città.
Fino a dove sono estendibili dunque i confini sorti durante la Perdonanza? Quanto spazio pubblico si può continuare a sottrarre per questo o quell’altro motivo? Non resta così difficile immaginare un futuro in cui per un tale evento possa chiudersi l’intero centro storico dove si svolge effettivamente la festa, accessibile solo a un numero limitato di persone dotate di biglietto acquistabile previo il possesso del green pass, il certificato sanitario.
D’altronde per adesso, in centro, almeno in zona bianca, è di fatto ancora consentito creare un certo livello di assembramento (vedi via Garibaldi come chissà quante vie di centri storici italiani), così come lo è oltre il cancello del manicomio o in qualunque zona ‘periferica’.
Legare l’accesso a porzioni di spazio pubblico sempre più ampie al possesso di un biglietto il cui pre requisito è un pre requisito biologico come il green pass è quanto di più biopolitico si sia mai visto finora. L’abitudine che si sta riscontrando da parte delle persone a queste nuove regole emergenziali in continua trasformazione (legittimate non dallo stato di diritto ma dall’emergenza) è abbastanza inquietante.
Certo, piuttosto che far divenire Collemaggio un'arena artificiale di dubbio gusto, si poteva utilizzare uno spazio già adibito ad eventi esclusivi come lo stadio (inutilizzato) “Fattori”, come anche da altri fatto notare. Una soluzione più consona, visti i tempi e il carattere privato degli eventi di una festa che - date le circostanze - non sembra più essere di carattere popolare. Ma anche in quel caso, quanta altra porzione di città gli organizzatori avrebbero pensato di chiudere per rispettare le nuove norme? Si sarebbe potuto transitare alla Fontana Luminosa? E alla “curva dei truscianti” (anche conosciuta come viale Aldo Moro, uno spazio in cui è possibile vedere lo stadio dall’alto), sarebbe stato posto in essere un servizio anti assembramento?
Non sarebbe meglio impiegare il personale per ricordare alle persone di utilizzare le mascherine in caso di parziale assembramento piuttosto che creare nuovi confini dietro i quali potersi più o meno assembrare? Ha senso far svolgere in questo modo una festa popolare come la Perdonanza?
Viste le condizioni sembra preferibile, almeno per me che scrivo, restare più libero nella penombra, nelle periferie, dove è ancora possibile di fatto una qualche forma di auto-organizzazione, lontano dai centri di potere, dalla relativa propaganda e forma di spettacolo, in luoghi “meno comuni e più feroci”, dimenticati, in cui si ha ancora il coraggio di rischiare qualche cosa senza scambiarlo per pura incoscienza.
Dall’altra parte del cancello… fino a quando non decideremo una volta per tutte che vadano riaperti.
Il confinamento del popolo-pubblico in quello che una volta era il manicomio è stato davvero un’immagine emblematica quanto insopportabile di questa Perdonanza che ci ricorda da vicino l’istituzione totale, allora giustificata per motivi che oggi possiamo definire pseudo-sanitari e pseudo-scientifici, anche se forse non tutti la pensano così.
*Alessandro Tettamanti, giornalista freelance, tra i fondatori di NewsTown