Sabato, 19 Luglio 2014 16:27

Vandali al Parco del Sole: da L'Aquila 'bella mè' a generazione 'nique ta mère'

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Lo scorso fine settimana alcuni atti di vandalismo sono stati compiuti al Parco del Sole. Ignoti si sono accaniti con tenacia nel distruggere tutta la struttura delle altalene, hanno divelto con attenzione due panchine e spiantato da terra un secchio per l'immondizia.

Un episodio che shocca: "Che senso ha - ci si chiede nel sentire comune - prendersela con delle strutture messe a disposizione della comunità, quindi anche di chi le ha distrutte?"

Non è la prima volta che la zona è oggetto di atti del genere come di piccoli crimini: "rapinato dottore da tre adolescenti", "arrestato il re dei bulli che terrorizzava la città", "canestri nuovi distrutti nel parco di Via Strinella". Piccoli furti ed episodi minimi di vandalismo non sono mancati neanche a danno del centro sociale di CaseMatte, situato all'interno dell'ex ospedale psichiatrico a fianco la basilica di Collemaggio.

Cose del genere esistono ovviamente in tutte le città ma negli ultimi anni sono aumentate nel capoluogo abruzzese. Sarà un caso? Non proprio.

L'Aquila ormai è diventata un'immensa periferia e anche in questo si pone come emblema di alcune dinamiche nazionali e globali che per lo più interessano le dimensioni metropolitane. Dinamiche poco conosciute in passato, in cui ci si cullava dentro l'identità di una bella città di provincia per lo più rivolta verso sé stessa (bella mè!) e il suo centro storico vissuto.

Ora che dopo il sisma del 2009 la popolazione è stata espulsa (o si è espulsa) dai luoghi della sua memoria, e l'identità collettiva è stata quasi disintegrata, su L'Aquila grava una complessiva, quanto sconcertante, mancanza di senso, nella quale stanno venendo a mancare modelli a cui far integrare le nuove generazioni tra cui anche i giovani migranti. Questo perché non c'è rimasto quasi più niente a cui integrarsi, e più nessuno sembra integrato a un bel niente.

parco1Non si vuole giustificare così il vandalismo, ma bisogna pure ammettere che lo stesso viene servito su un piatto d'argento nella terra di nessuno che è diventata l'immensa banlieue chiamata L'Aquila. Nella zona interessata - tra la villa comunale, il Terminal dei bus e Collemaggio (Parco del Sole - ex op) - non c'è quasi niente e quel poco che c'è (dal campo di basket alle altalene del parco) viene attaccato.

Dopo le rivolte dell'ottobre/novembre 2005 scoppiate nelle banlieues parigine che portarono in due mesi all'incendio di 10mila vetture, il filosofo francese Jean Baudrillard scrisse un articolo a riguardo sul quotidiano Libération. Una riflessione per tentare di capire perchè i giovani delle periferie stavano incendiando tutto ciò che di meglio ha da offrire la cultura occidentale: "Le automobili, le scuole, i centri commerciali (che venivano incendiati e saccheggiati) e addirittura le scuole materne! Proprio ciò attraverso cui li si vorrebbe integrare, svezzarli! 'Fotti tua madre' (nique ta mère in fracnese, ndr) è in fondo il loro slogan, e più si tenterà di farlo, più vi si ribelleranno".

Qui non si sta di certo paragonando L'Aquila con Parigi. Non si può sfuggire però, alla tentazione di provare ad applicare il pensiero di Baudrillard al nostro universo di riferimento: "Una buona parte della popolazione - scriveva nel 2005 il filosofo a proposito della situazione in Francia - si vede così, culturalmente e politicamente, come immigrata nel suo stesso paese, che non può neppure offrirgli una definizione della sua stessa appartenenza nazionale. Tutti dis-affiliati, secondo il termine di Robert Castel. Ora, dalla dis-affiliazione alla sfida, non corre molto. Tutti questi esclusi, questi dis-affiliati, che siano di una banlieue, africani o francesi 'di stirpe', fanno della loro dis-affiliazione una sfida, e passano all'azione da un momento all'altro. È l'unica loro maniera, offensiva, di non essere più umiliati, né lasciati da parte, e neppure assistiti".

Le periferie italiane, si disse, "sono diverse". Eppure non è facile capire come stiano evolvendo nella crisi, e cosa ne sarà in questo contesto di una città come L'Aquila, allo sbando sociale, capace di riassumere in sé le maggiori contraddizioni del Paese (si pensi solo agli ultimi episodi di sfruttamento del lavoro nell'ambito della ricostruzione: è così assurdo pensare ad una Rosarno della ricostruzione?).

Di fronte a tutto ciò, un'amministrazione vecchio stampo, senza strumenti, a cui probabilmente - oltre alle risorse - mancano le stesse categorie necessarie per comprendere l'assenza di significato in cui si è cacciata, e combatterla.

Così accade che un consiglio comunale convocato per i giovani, sia senza giovani e con l'assenza dell'Assessora alle Politiche Sociali. Intanto gli spazi promessi da anni dal Comune per l'aggregazione giovanile rimangono solo una promessa; si procede con un ritardo spaventoso per fare uno skatepark con fondi arrivati da donazioni private, perché a nessuno di chi amministra interessano veramente queste cose. Intanto vengono presentati progetti per "studiare i bisogni delle popolazioni migranti" che speriamo servano anche a qualcun altro oltre agli studiosi e si parla di "interventi di prossimità" messi a punto con una rete di associazioni e di "incontri partecipati", senza che si riesca a capire davvero di cosa si sta parlando.

Non si può far finta che va tutto bene.

"Mi sarebbe tanto piaciuto con una conclusione più allegra, ma quale?" finiva tra parentesi quadre Baudrillard sempre nel suo articolo su Libération. Immodestamente mi associo.

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Ultima modifica il Lunedì, 21 Luglio 2014 09:38

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