Il 6 marzo al Convitto Nazionale Domenico Cotugno si celebra la Giornata dei Giusti dell’Umanità. Una giornata istituita dal Parlamento Europeo nel 2012, da celebrarsi proprio il 6 marzo, giorno in cui è scomparso Moshe Bejski, l'uomo che ha animato il Giardino dei Giusti di Yad Vashem in Israele: tale ricorrenza è stata sancita dal Parlamento Italiano con una legge del dicembre 2017.
Quest'anno nel Giardino delle Giuste e dei Giusti del Convitto Nazionale “Domenico Cotugno”, inaugurato nel 2019, verranno messe a dimora le piante dedicate a Mario De Nardis, Nagham Nawzat Hasan (designati nel 2020), Alessandro Cofini, Soumaila Sacko (designati nel 2021).
Questa giornata rappresenta un’opportunità di particolare valore simbolico per richiamare l’attenzione della comunità scolastica sull’importanza dei valori della memoria e della responsabilità, invitandola a riflettere sulle modalità con cui possa essere formata la coscienza civile dei giovani, attraverso l’eredità che queste figure esemplari ci hanno lasciato e dell’insegnamento che la loro azione rappresenta in un contesto complesso e articolato quale quello che caratterizza l’attualità odierna.
Di seguito riportiamo le storie dei giuste e delle giuste che saranno commemorati.
Mario De Nardis (1906-1964) era un funzionario della questura de L'Aquila che, nel corso della Seconda guerra mondiale, si adoperò per salvare diversi ebrei dall'arresto, procurando loro documenti falsi oppure preavvisandoli di imminenti retate o ancora fingendo di intervenire, comunicando l'esito volutamente negativo delle sua azioni ai tedeschi e ai fascisti. Nel 2021 è stato accolto come “Giusto tra le nazioni” nello Yad Vashem (l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah), a Gerusalemme.
Nagham Nawzat Hasan (1978) è una ginecologa yazida che ha curato più di mille donne yazide sfuggite alla prigionia dell’ISIS. La comunità yazida di Sinjar nell’Iraq nord-occidentale è diventata bersaglio dell’ISIS nell’agosto 2014. I combattenti armati hanno separato gli uomini e i ragazzi di età superiore a 12 anni dalle loro famiglie, e hanno ucciso quelli che si sono rifiutati di adottare le loro credenze. Si stima che oltre 6.000 donne e ragazze yazide siano state rapite, vendute come schiave e imprigionate per mesi o addirittura anni. Molte sono state sottoposte a detenzione, tortura e stupro sistematico, nell’ambito di una campagna di persecuzione che l’ONU ha ritenuto un genocidio e un crimine contro l’umanità. Lei ha creato una ONG chiamata “Hope Makers for Women”, che fornisce supporto medico e psicologico alle sopravvissute che vivono nei campi allestiti per ospitare gli yazidi che hanno dovuto lasciare le loro case. Per la sua opera Nagham Nawzat Hasan ha ricevuto riconoscimenti in tutto il mondo.
Alessandro Cofini (1911-2003) a Forme (frazione di Massa d’Albe- AQ) per circa due mesi accolse e protesse la famiglia Nathan, anglo – italiani di religione ebraica. Joe (figlio di Ernesto, sindaco di Roma dal 1907 al 1913) la moglie e le tre figlie furono nascosti in casa proprio durante l’occupazione tedesca della zona dall’ottobre 1943. Vennero requisite diverse abitazioni, e i tedeschi avrebbero voluto occupare proprio la casa di Alessandro Cofini. Solo la determinazione di quest’ultimo (con l’aiuto degli altri fratelli Armando, Enrico e Giuseppina e della matrigna Berardina), fece sì che i Nathan non venissero scoperti (adducendo la scusa che l’abitazione già ospitava molti parenti rifugiati). Dopo il fermo diniego da parte dei Cofini a farli entrare in casa, la maggior parte degli ufficiali facenti parte della guarnigione tedesca, si stabilirono proprio nella casa di fronte. La resistenza umanitaria di Alessandro Cofini si manifestò anche nei confronti dei soldati inglesi ed australiani che, nascosti alle pendici del monte Velino, (sopra l’abitato di Forme) erano sbandati o fuggiti dopo i bombardamenti dei campi di detenzione di Avezzano.
Soumaila Sacko (1989-2018) era un migrante maliano, ucciso presso Gioia Tauro il 2 giugno 2018 (giorno della Festa della Repubblica). Egli viveva nella tendopoli di San Ferdinando insieme a centinaia di altri braccianti. Sacko era arrivato in Italia nel giugno 2014, partito dal suo villaggio Sambacanou, che si trova nella regione nord-occidentale di Kayes, in Mali, al confine con la Mauritania, una zona rurale famosa per le siccità ricorrenti. Emigrato regolarizzato, sposato, con una bambina, Sacko era figlio di sindacalista, sindacalista a sua volta, divenuto membro del Coordinamento dei lavoratori agricoli dell’Usb a San Ferdinando. Egli si batteva per i diritti degli “invisibili”, sfruttati nei campi da imprenditori senza scrupoli, vittime del caporalato, in mano alle organizzazioni criminali. Si era iscritto alla scuola di italiano istituita da “Sos Rosarno”, e aveva fondato un’associazione con l’obiettivo di aiutare chi rimaneva senza riparo nella baraccopoli di San Ferdinando. Il 2 giugno 2018 lui e un amico, Madihieri Drame, vennero fatti oggetto di colpi di fucile mentre cercavano di recuperare delle lamiere in una fornace dismessa (dove la ‘ndrangheta ha seppellito migliaia di tonnellate di rifiuti tossici di una centrale Enel), per potere costruire una baracca per chi non poteva farlo. Sacko venne colpito e morì poco dopo in ospedale. La vicenda di Sacko ha ispirato libri, spettacoli teatrali, murales, ed è stata ricordata da molte amministrazioni ed organizzazioni.