La Sezione di “Italia Nostra” dell'Aquila è intervenuta sulla questione della progettazione estetica della città dell’Aquila. Tema che abbiamo trattato sul nostro giornale nei giorni scorsi con un articolo di approfondimento
La questione posta dal presidente di Italia Nostra L’Aquila, Vincenzo Giusti, tocca la radice metodologica della selezione dell’arredo urbano e del suo inserimento all’interno di un contesto che deve essere il più possibile conforme all’elemento da inserire. La riflessione proposta da Giusti prende le mosse a partire dalle parole dell'architetto Pierluigi Cervellati, tratte da un articolo degli anni '80 dedicato al rapporto fra “illuminazione e conservazione ambientale”:
“Anche volendo, non esistono soluzioni alternative a quelle definite nell'Ottocento. I moderni corpi illuminanti posti in alcuni centri storici fanno semplicemente pietà. Sono l'equivalente del “duralluminio” messo negli infissi delle vetrine dei negozi...”
Parole dure, ma esemplari, che Giusti condivide nella loro interezza, anche quando, più in là, Cervellati scrive che gli interventi di arredo urbano “debbono essere inquadrati nel contesto del restauro conservativo” una forzatura disciplinare che tuttavia ben rende il senso della loro importanza all'interno di un centro storico.
Proprio dando seguito a qeste parole il Presidente comunica che le soluzioni adottate per gli importanti lavori di pavimentazione e arredo urbano che stanno interessando la città non hanno entusiasmato la sezione aquilana di Italia Nostra. Tutt'altro.
La sezione infatti scrive in una nota:
"Con accenti diversi avremmo potuto criticare quanto realizzato, come abbiamo fatto per le gradonate davanti alla Porta Santa di Collemaggio e per i lavori in Piazza Regina Margherita. Ad esempio, per restare in tema di lampioni e in Piazza Regina Margherita, come si fa a non chiudere metaforicamente gli occhi ogni volta che lo sguardo cade su quei tubi metallici piegati e incrostati da incoerenti diverticoli illuminanti?
Se, in Piazza Duomo, i preesistenti modelli scelti dall'Arch. Santoro potevano essere considerati accettabili, nella loro “mediazione” fra antico e moderno e nella coerenza con i corpi illuminanti posti sotto i Portici, oggi, con tutta evidenza, si è scelta la soluzione sempre discutibile dell'inserimento del “moderno”. Siamo così giunti al vero problema che in questa sede vogliamo sottolineare. Non c'è in gioco solamente qualche lampione, ma un principio di carattere generale, una delle problematiche più controverse del dibattito architettonico e urbanistico in tema di interventi nei contesti storici: il diritto del “moderno” ad essere presente con i suoi specifici caratteri.
Per questo motivo riteniamo importante intervenire, a ragione del fatto che le scelte progettuali finora perseguite evidenziano soluzioni a nostro parere errate, che presumibilmente troveranno ulteriori applicazioni. Se questa è la tendenza. Per tutto ciò che la storia della nostra Associazione ha significato e per quello che ha prodotto in ambito teorico, è per noi scontato affermare che il “moderno” in un centro storico deve trovare la sua legittimazione nel riproporre, se non le forme, gli stilemi del contesto nel quale si inserisce. In altri termini esso non può opporsi alle preesistenze per affermare la propria assoluta e indiscutibile diversità, ma deve rispettosamente affiancarsi ad esse “reinterpretandone” gli specifici caratteri. Altrimenti, dal contrasto che si viene a creare, non possono che derivarne oggettive dissonanze visive ed estetiche. Come sta avvenendo. Non ci sembra questo il caso dei lampioni previsti in Piazza Duomo.
Non è sostenibile, come alcuni affermano, che essi siano “ispirati” a quelli visibili nelle cartoline di Piazza Palazzo dei primi decenni del Novecento. A nostro avviso l'eccessiva essenzialità della forma e, soprattutto, la loro incongrua altezza, tradiscono sempre e comunque la contemporaneità di cui sono espressione.
Questa città ha così perso ancora una volta l'occasione di riqualificarsi nella modernità senza rinunciare alla bellezza. È pertanto logico chiedersi perché scelte come quella che stiamo criticando non vengano preventivamente sottoposte a forme partecipate di condivisione, così come è lecito interrogarsi sui princìpi a cui si ispira la “Commissione per gli spazi pubblici e l’arredo urbano”.
A cose fatte ben venga il riutilizzo altrove dei preesistenti lampioni, ma, soprattutto, ben venga negli interventi di arredo urbano all’interno del centro storico, per il futuro, un atteggiamento più meditato e partecipato dai cittadini."