E' stato un ritorno quello di Alessandro Preziosi all'Aquila. Dopo tre anni alla direzione del Teatro Stabile d'Abruzzo (Tsa), l'attore partenopeo è ricomparso nei panni del Don Giovanni di Molière, interprete e regista dello spettacolo che è andato in scena ieri sera sul palco dell'Auditorium della Guardia di Finanza.
Preziosi è stato anche, nel pomeriggio di ieri, il protagonista incontrastato della presentazione del libro del giornalista Antonio Di Muzio, "Il teatro all'Aquila e in Abruzzo. Tsa, cronaca e storia". Il libro, che rispolvera il glorioso passato del Tsa, nasce da un lavoro di tesi che lo scrittore intraprese, da studente, sotto la guida del professor Ferdiando Taviani. Tutti i presenti, dalla rettrice Paola Inverardi, al prorettore delegato alle attività culturali, Alfio Signorelli hanno auspicato che in futuro si riesca a compiere un'operazione culturale simile, se non migliore, a quella che vide L'Aquila al centro della scena nazionale negli anni Settanta.
"La mission - ha detto il direttore del Tsa, Alessandro D'Alatri - è quella di coinvolgere il mondo giovanile, anche attraverso la memoria. L'importante è non far morire il teatro".
Dal canto suo, nel corso della presentazione, Preziosi ha posto l'attenzione sul difficile rapporto che persiste in Italia tra politica e cultura: "Perché si possa parlare di formazione all'interno di un tessuto culturale e sociale, ci vogliono degli enti disposti a mettere in primo piano l'interesse della comunità rispetto a quello politico. In questo senso, L'Aquila non si può permettere di tergiversare su ciò che è di facile soluzione. Credo che la cultura, nello specifico del Tsa, è un patrimonio che non va mai disperso. Va capitalizzato non elemosinando ma aspettando mensilmente la possibilità di dare lavoro e soprattutto di dare emozioni ad una città che oggi ne ha più che mai bisogno".
"Il Don Giovanni - ha detto l'attore - è una denuncia del porto oscuro dove rischiamo di finire se la nostra condotta, morale, sociale, politica e familiare e sentimentale è così traballante".
"Se penso - ha poi aggiunto - che la persona con la quale mi sono confrontato inizialmente qui a L'Aquila, cioè Luigi De Fanis (assessore alla cultura della Regione Abruzzo, arrestato nel novembre 2013 con le accuse di concussione, truffa aggravata e peculato, ndr.) è stato coinvolto in maniera così rocambolesca in quella inchiesta, la cosa mi ha lascia ancora stordito".
Preziosi ha invitato dunque alla riflessione "perché il teatro è sinonimo di critica, di specchio della società, soprattutto se è un teatro pubblico".
Lo spettacolo
Il Don Giovanni, una produzione del Teatro Stabile d'Abruzzo e di Khora.teatro, chiude una trilogia sui classici del Seicento, preceduta dal Cyrano de Bergerac (anch'esso messo in scena in coproduzione con il Tsa) e dall'Amleto di Shakespeare.
"Lo definirei un progetto quasi universitario" ha detto Preziosi. "Attraverso queste figure generazionalmente vicine si può in qualche modo ricostruire un secolo diviso in due grandi scomparti: da una parte una generazione pronta a qualunque tipo di eccesso, di espressione stravagante e romantica dell'arte e della vita, dall'altra una generazione più calma e conforme. Che è un po', se ci pensiamo, la dicotomia del nostro secolo".
"L'obiettivo - afferma - è di far dimenticare al pubblico, e ai giovani, che stiamo raccontando una storia che risale a 400 anni fa, che conta circa 4mila riscritture. Per molti Don Giovanni rappresenta solo il seduttore quando invece Molière ci fa vedere ben poco della sua capacità seduttiva".
Un personaggio quello di Don Giovanni senz'altro amato dal pubblico. "E' amato perché ci fa ridere in maniera tragica di certe verità della vita", ha dichiarato a News-Town Preziosi. Una figura che incarna l'apparenza che, in qualche modo, tradisce sé stessa. "In teatro si recita bene quello che nella vita si recita male, diceva Edoardo De Filippo", aggiunge. "Il teatro ha la funzione di smascherare le apparenza ma questo dipende dalla capacità del pubblico e dalla disponibilità che la società ha di accettarlo, non dipende dal teatro".
"Io ho combattuto per cento sere - racconta ancora Preziosi - per cercare di dare la speranza ad un personaggio che oggettivamente non la merita o non la vuole, questo starà poi al pubblico decidere".
Ed il pubblico si è lasciato conquistare ieri sera dal fascino del Don Giovanni. Complice, forse la leggerezza che lo contraddistingue. Una leggerezza, vittima dell'incoscienza che affascina per la leggiadria con cui si divincola dai doveri morali, dispensati dall'ambiguo servitore Leporello. Nel primo atto il Don Giovanni appare quasi come la caricatura di sé stesso, grazie anche al trucco tipico dell'epoca: non quel seduttore greve che tutti ci aspetteremmo ma un uomo che in maniera quasi infantile si approccia ai piaceri e a i pericoli. Il Don Giovanni affascina gli spettatori perché non è solo dissacrante ma è davvero libero: è come se non portasse il peso della vita, come se la sua miscredenza fosse la chiave di una sorta di invidiabile felicità.
Eppure, già dalle prime battute si prefigge per lui una fine funesta che si annuncia come inevitabile per quel 'libertino che non crede a nulla'. Presto o tardi l'ira delle donne tradite, dei creditori e di tutti coloro che sono stati ingannati si abbatterà su di lui, mossa da quel Cielo che ha tanto sfidato.
Poco solenne e molto giocoso, il Don Giovanni di Alessandro Preziosi, diverte ed inquieta. Se non si avvale dell'interpretazione magistrale da parte di tutti gli attori, stupisce invece per l'originale equilibrio che costruisce.
Sullo sfondo di quello che lo stesso Preziosi definisce un "non luogo", (cioè una scenografia a tratti surreale nei suoi disegni astratti), i personaggi ricreano l'atmosfera di un sogno che presto o tardi si trasformerà in un incubo. Sempre mentendo però quel velo di ironia e realtà, impersonata dal servitore.
L'opera diventa allora irresistibile proprio per la sua vocazione anacronistica unita all'attualità dei temi. Non manca una critica alla società che Preziosi si impegna, riuscendoci, a rendere più credibile possibile. Per una attimo il Don Giovanni si toglie la maschera svelando la ragione della sua condotta.
"L'ipocrisia - dice - è un vizio della moda che finisce per diventare virtù. [...] Avvolti nell'abito della rispettabilità si sentono autorizzati a commettere le più grandi porcherie. [...] E' così che si abusa delle debolezze altrui ed è così che un uomo di spirito si adegua ai vizi del tempo".
Bastano queste poche parole ed improvvisamente ci sentiamo tutti un po' Don Giovanni, vittime e carnefici dei mali della società.