Giovedì, 06 Agosto 2015 20:11

"Afroamericani ancora discriminati, Obama non ha cambiato niente"

di 

“I neri non sono liberi negli Stati Uniti. Siamo ancora considerati cittadini di serie b, non abbiamo gli stessi diritti dei bianchi. Non è cambiato niente con Obama, lui è solo una figura rappresentativa”.

Corey Harris è uno degli artisti afroamericani contemporanei più interessanti in circolazione.

Musicista a tutto tondo, intellettuale (è laureato in antropologia), animatore di vari progetti culturali che ruotano intorno alla ricerca delle origini africane presenti nel blues, Harris - cresciuto a Denver ma passato presto a una vita errabonda che lo ha portato a suonare per tutti gli Stati Uniti e a vivere prima a New Orleans e poi, per qualche tempo, anche in Africa – ha le idee chiare su quale siano le reali condizioni degli afroamericani nel 2015.

Il suo è un giudizio tagliente, la sua un'analisi che si inserisce a pieno titolo nel solco di quel pensiero afrodiasporico che vede, nel nero americano, una figura perennemente sdradicata ed eternamente straniera nel proprio Paese.

Per questo filone di riflessione, il nero americano non si è mai veramente emancipato dalla sua atavica sottomissione, risalente ai tempi della schiavitù e poi proseguita con il regime segregazionista, durato, di fatto, fino agli anni Sessanta del Novecento.

“I neri, in America” - ha detto Harris a margine del concerto tenuto a L'Aquila martedì 4 agosto nell'ambito del festival Blues sotto le stelle - “continuano a non godere dei diritti fondamentali di cui godono invece i bianchi. Basti pensare al diritto di voto. I neri americani sono l'unico popolo al mondo per il quale il voto non è un diritto acquisito una volta per tutte ma una concessione. Il Congresso americano, infatti, ogni vent'anni deve rivotare per riconfermare il diritto di voto ai neri”.

Harris sembra porsi la stessa domanda che, ai primi del Novecento, si faceva W.E.B. Du Bois, uno dei più importanti, se non il più importante, intellettuale afroamericano di tutti i tempi.

“Un nero, un americano: posso essere entrambe le cose?” si chiedeva l'autore della raccolta di saggi Le anime del popolo nero, uno dei grandi capolavori, secondo Alessandro Portelli, di tutta la letteratura e di tutto il pensiero sociale americano.

L’elezione di Barack Obama sembrava voler dire che, finalmente, sì, questa unità era possibile.

Ma forse, ci ricorda Corey Harris – e i fatti di sangue degli ultimi mesi, dall'uccisione di Michael Brown alla strage di Charleston sembrano dargli ragione – le cose stanno diversamente: “Non siamo americani, siamo africani deportati in America” - dice Harris - “ll sistema degli Stati Uniti non è stato costruito per i neri ma perché i bianchi potessero sfruttarci”.

La visione di Harris è radicalmente pessimista circa la possibilità degli Stati Uniti di arrivare a garantire una vera eguaglianza, non solo formale ma anche sostanziale, tra bianchi e neri.

La soluzione proposta dal cantante non è tanto dissimile da quella propugnata dal Rastafarinesimo e da tutti quei movimenti che, in un modo o nell'altro, hanno predicato un ritorno di tutti popoli neri sparsi nei vari continenti nella grande madre Africa: “Se continueremo a pensarci come americani rimarremo sempre delusi. Dobbiamo aprire le nostre menti per arrivare a mettere in connessione tutti i popoli neri del mondo e ritornare in Africa alla ricerca della nostra vera identità. Quella che abbiamo ora ci è stata inculcata a forza nel corso degli anni, attraverso la propaganda. Abbiamo ancora molto lavoro da fare. Ma tutto inizia con l'amare noi stessi e con il capire chi siamo veramente: un unico popolo e non una minoranza costretta a vivere in questa piccola scatola chiamata Stati Uniti d'America”.


In basso, la fotogallery di Ilaria Rosa del concerto di Corey Harris a Blues sotto le stelle

Corey Harris
Corey Harris
Corey Harris
Corey Harris
Corey Harris
Corey Harris
Corey Harris
Corey Harris
Corey Harris


 

Ultima modifica il Giovedì, 06 Agosto 2015 22:05

Articoli correlati (da tag)

Chiudi