Questa mattina sono stato a tagliarmi i capelli dal barbiere o meglio dal parrucchiere, visto che si trattava di uno studio molto complesso e moderno, misto uomo-donna.
Ho rotto gli indugi e ho chiesto il taglio. Erano anni che non lo facevo. Un po' per pigrizia, ma sopratutto per paura, mi taglio i capelli sempre da solo.
Paura di che? Ci sono molte cose di cui aver paura nell'andare dal parrucchiere. I capelli sono qualcosa di fondamentale nella definizione della propria identità, almeno per me, e farseli fare da qualcun altro, implica una certa dose di fiducia.
Il ragazzo barbiere, alto e pelato, è gentile e sicuro e mi porta al lavaggio, io non faccio resistenza. Posto sulla sedia a testa all'indietro mi abbandono all'acqua e alle sue mani. Improvvisamente ritrovo un respiro profondo che mi mancava da giorni. Dopo settimane di stress, chiudere gli occhi mentre questo sconosciuto fruga sulla mia testa, mi restituisce un relax dimenticato.
Piombo dentro un mondo passato fatto di odori di prodotti, voci in seconda e tranquillità. Mi affiorano alla mente lontani ricordi fanciulleschi, quando andavo al barbiere all'angolo tra viale Duca degli Abruzzi e via Roma vicino la scuola. Mi ci portava mio padre.
Ma non dura poi molto. Vengo posto su un palco, come quando da piccolo - accompagnato dal genitore - il barbiere mi metteva su un cavalluccio che aveva per i suoi clienti più piccoli.
Inizia il taglio vero e proprio. E' qui che si consumerà la strage di batuffoli da raccogliere miseramente con scopa e paletta. Ricordo allora improvvisamente il perché della mia angoscia, la stessa che per me accompagna ogni piccolo o grosso cambiamento.
Come trasformerà la mia immagine quest'uomo, a cui sta mattina ho delegato totalmente la cura del mio look?
Ma questa volta voglio combattere, sono adulto ormai, e non posso perdere del tutto il controllo sul processo. "Sono un cliente è mio diritto" mi faccio forza facendomi un discorso da federconsumatori che in realtà non mi è mai appartenuto.
Inizio a parlargli. Ho pensieri filosofici in mente perché sono gli unici davvero adeguati per affrontare quello che sta accadendo e glieli faccio.
"Mi piace l'imprecisione - affermo con un filo di voce falsamente deciso - cerco l'ordine nel disordine, così voglio i miei capelli". Lui sembra capire e addirittura apprezzare le mie parole mentre seguita a tagliare scoprendo angoli della mia testa anch'essi dimenticati.
Si perché gli ho premesso che il taglio deve essere radicale. Sono entrato con un bel malloppo nero di capigliatura ma voglio uscire con un taglio "fresh" estivo, corto, così gli ho detto utilizzando categorie estetiche commutuate da un linguaggio "fashion" moderno che mi attrae molto.
Decido di andare oltre. Dal telefonino sfodero la micro-fotografia di una mia amica e gli dico:"guarda in pratica è così che li voglio". E lui continua a tagliare, veloce.
Un po' in affanno, ora faccio leggermente fatica a capire che sta succedendo davvero. Quando arriva sul fondo della parte sinistra del mio osceno testone ho un altro ricordo vivido di quando da piccolo mi facevo i capelli "a spazzola", la frontiera dello stile per un bambino di otto anni.
Solo ora riscopro le mie orecchie a sventola e il mio volto lungo a pera, non senza un certo disagio, mi sento nudo.
Vorrei tornare indietro. Mi faccio coraggio. Lui è dolce e continua a sussurrarmi parole all'orecchio: "adesso chiudi gli occhi", "piega un po' la testa", "così... bravo". Mi lascio andare, gli do fiducia. Il taglio procede, non mi dispiace. La comunicazione tra me e lui è riuscita più di altre esperienze dal barbiere. Vorrei abbracciarlo, gli stringo la mano.
Dopo anni ed anni sono tornato dal nemico ed il nemico mi è piaciuto. Anche se credo che domani quella ciocca che ha lasciato di troppo la taglierò da solo, come al solito, con la mia forbice da cucina. Come ho sempre fatto, resto, dopotutto, il punk che ero.
La testa è un'opera d'arte.