Domenica, 25 Ottobre 2015 07:33

Il tuo nome è gender? Educare alle differenze è ancora un grande tabù

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di Veronica Valerio* - Da molto tempo il nostro Paese è dominato dal muoversi di uno spirito pericoloso che turba le menti, terrorizza i genitori, promuove la masturbazione infantile, sviluppa l'omosessualità, distrugge la famiglia naturale e minaccia l'intera umanità. Il suo nome è Gender e tutti noi, soprattutto i bambini, dovremmo starne lontani.

Se si chiedesse ad un gruppo di persone il significato di questa parola e i presupposti dell'ideologia gender, sono sicura che molti non saprebbero rispondere; questo perché spesso ci lasciamo intrappolare da dogmatismi, stereotipi e disinformazione tali da non riuscire a creare una nostra visione completa delle cose, non riusciamo a cogliere le sfumature, perdiamo di vista l'importanza dello studio e della conoscenza vera e soprattutto i vantaggi che essa può apportare.

Risulta chiaro come sia fondamentale il ruolo svolto dall'informazione e dalla ricerca continua e costante per arricchire il nostro bagaglio culturale e personale e al contempo per poter essere trasmesso anche agli altri, come fonte di stimolo, confronto e lavoro. E la questione gender, sentita un po' da tutti, dovrebbe suscitare numerosi spunti di riflessione.

Gender è la parola inglese che significa genere, inteso come genere sessuale; da più di trenta anni il termine è associato ai gender studies, ovvero agli studi di genere che mirano ad individuare e a spiegare i motivi per cui ad un dato genere maschile o femminile vengono attribuiti dei ruoli specifici non strettamente legati alle caratteristiche sessuali (ad es. il bambino gioca con le macchine, la bambina con le bambole o con le pentole, oppure l'uomo che deve svolgere delle mansioni diverse dalla donna).

Alcuni ne hanno fatto una teoria unitaria, altri un'ideologia vera e propria, altri ancora - in tal caso i ricercatori che se ne occupano - seguono il loro iter e i loro studi in maniera del tutto "scientifica" e sistematica. Ancora più spaventoso è la mescolanza di questo termine con quelli di ruolo di genere, identità di genere, orientamento sessuale, utilizzati in modo spesso non appropriato. Voglio soffermarmi un attimo su questo: l'identità di genere è il genere in cui una persona si identifica, cioè uomo o donna; il ruolo di genere ne è l’espressione esteriore, influenzato da cultura e contesto e infine l'orientamento sessuale è l'oggetto della nostra attrazione erotica e affettiva. Di tutti questi termini e soprattutto del gender, cos'è che spaventa?

Attualmente in Parlamento è all'esame una legge che consentirebbe le unioni civili di coppie di persone dello stesso sesso e parallelamente gruppi di educatori, psicologi, pedagogisti, sessuologi, formatori, cercano di irrompere le barriere della scuola per introdurre progetti di educazione sessuale e affettiva, contro chi ritiene che questi ultimi sviliscono il ruolo stesso della scuola, della famiglia e della società. La stessa Organizzazione mondiale della sanità (Oms) spiega la necessità di fare educazione sessuale nelle scuole e riconosce la sessualità come un'area determinante lo sviluppo della persona, nonché sostiene l'importanza di spiegarne gli effetti negativi, quali gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili.

Detto ciò, la risposta è semplice, spaventa quello che per cultura definiamo "diverso". In un paese cattolico in cui la famiglia si identifica con la figura della madre e del padre è impensabile pensare di trasmettere l'idea di una famiglia composta da due donne o da due uomini; nella nostra idea comune e tradizionale risulta invadente quanto offensivo parlare di sessualità nelle scuole, promuovere la consapevolezza di sé stessi e dei propri affetti, valorizzare le differenze e farle proprie come crescita personale, accettare l'altro diverso da sé e promuoverne l’integrazione; è difficile quindi abbassare le nostre difese e rompere dei tabù ai quali siamo ancorati e che in qualche modo ci proteggono.

La scuola oggi, in quanto istituzione e punto di riferimento imprescindibile per la crescita e lo sviluppo di ognuno, dovrebbe svolgere una funzione educativa in toto, cioè integrare la classica e rigida metodologia con programmi specifici inerenti la sessualità, l'affettività, la conoscenza e l'accettazione delle differenze; aprire le sue porte per risvegliare ed educare sia le menti dei genitori, sia quelle dei ragazzi. In questo modo si potrebbero iniziare a contrastare una serie di fenomeni attuali quali l'emarginazione, il bullismo, la violenza, l'omofobia, che oggi coinvolgono la stragrande maggioranza dei giovani.

Quanti i fatti di cronaca di adolescenti che ricorrono al suicidio perché etichettati come gay o lesbiche? Non troppi giorni fa, un ragazzino vittima di bullismo a scuola è stato colpito da pugni, dispetti continui e da frasi come "gay, femminuccia, frocio", semplicemente per le linee del volto più delicate e per gli atteggiamenti meno irruenti e forti, così come vengono etichettati quelli maschili. Eppure di fronte a violenze come queste, dalle conseguenze psicologiche devastanti, c'è ancora chi scende in piazza per contrastare l'omosessualità considerata malattia, in momenti come il Family Day, attraversato da genitori che il 4 dicembre non manderanno i propri figli a scuola come forma di protesta contro le unioni civili e il totalitarismo dell'ideologia gender.

Detto ciò, alla luce del fatto che sia stato dimostrato scientificamente come la vera malattia sia l'omofobia, credo che l'unica forma di protesta debba essere mossa per il grido della libertà, per l'amore indiscusso e incondizionato, per il rispetto dell'uomo nella sua unicità e per l'integrazione.

La saggezza è saper stare con la differenza senza voler eliminare la differenza (Gregory Bateson)

*dottoressa in psicologia, psicosessuologa in formazione

Ultima modifica il Venerdì, 23 Ottobre 2015 19:49

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