Trainata dalle esportazioni della grande industria manifatturiera - automotive, elettromeccanica e farmaceutico – e dalla domanda interna, l'Abruzzo aggancia a fatica la lieve ripresa dell'economia italiana – favorita dalla debolezza dell'euro, dalla crescita della domanda interna e dal prezzo del petrolio ai minimi storici – ed esce ufficialmente dalla recessione, ma mantiene alcuni elementi di fragilità, in primis una disoccupazione giovanile da allarme rosso.
E' questa, in sintesi, la fotografia scattata dal Cresa sull'economia regionale nel dossier "Economia e società in Abruzzo. Rapporto 2015".
Lo studio del centro di ricerca delle Camere di commercio abruzzesi è stato presentato ieri all'Aquila nell'aula magna del Gran Sasso Science Institute dal direttore Francesco Prosperococco, dal presidente Roberto Di Vincenzo e dal ricercatore Alberto Bazzucchi.
Presenti, tra gli altri, anche il sindaco dell'Aquila Massimo Cialente e il presidente della Regione Abruzzo Luciano D'Alfonso.
Lo scorso anno l'Abruzzo è cresciuto dello 0,2%, risultato molto modesto, anche se rapportato allo 0,8% dell'Italia (dato a sua volta molto inferiore alle stime elaborate dal governo). Ma in tempi di vacche magre anche un piccolo aumento percentuale è da apprezzare, specie dopo otto lunghi anni di recessione.
La “ripresina” abruzzese è molto lontana da quella delle regioni più virtuose e produttive, quelle del Centro Nord – Emilia Romagna, Lazio, Veneto e Lombardia, tutte con tassi di crescita uguali o superiori all'1% - ed è in linea, invece, con quella del Mezzoggiorno (0,3%).
Né c'è da farsi troppe illusioni per il futuro: le previsioni disponibili per il biennio 2016-2017, scrive il Cresa, collocano l'Abruzzo su una traiettoria di ripresa molto moderata (0,4%), in linea con le tendenze del Meridione e a fronte dell'1,2-1,3% del Centro Nord.
Dati sostanzialmente in linea con quelli forniti anche da sindacati e da altri istituti di ricerca, alla luce dei quali vanno forse riviste le anticipazioni un po' troppo ottimistiche fornite dallo Svimez qualche giorno fa, che parlavano di una crescita dell'economia regionale del 2,5% nel 2016.
A cosa si deve il modesto recupero del Pil abruzzese?
Principalmente, si legge sempre nel dossier Cresa, al “contributo positivo della spesa delle famiglie, probabilmente aiutate dal parziale miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro”.
La domanda interna, sostenuta dalle misure moderatamente espansive della politica fiscale e dalle aspettative di bassa inflazione, continuerà, secondo il Cresa, ad avere un ruolo importante anche nel 2016, visto che, per quest'anno, ci sarà un andamento meno favorevole delle esportazioni (dovuto al calo della domanda da parte dei mercati emergenti).
Il commercio estero, con una crescita del 7,3% rispetto al 2014 (più del doppio del dato nazionale, fermo al 3,7%) è stato l'altro fattore principale che ha favorito l'uscita dell'Abruzzo dalla recessione, visto che sia gli investimenti fissi che la spesa pubblica sono rimasti immutati o sono addirittura diminuiti.
I settori che hanno contribuito a questa dinamica dell'export regionale sono stati soprattutto i mezzi di trasporto (16%) e i prodotti elettronici (79%): sono i settori in cui operano le grandi aziende e le multinazionali presenti in Abruzzo.
Importanti, ma con una dinamica inferiore, sono stati l'alimentare, il farmaceutico e il tessile.
Sono dati che certificano una ripresa non uniforme, concentrata solo in alcuni comparti settoriali. Un “Abruzzo a due velocità”, per dirla con la Cisl, dove a viaggiare spedite sono le grandi aziende manifatturiere ad alta specializzazione mentre le altre – piccole e medie imprese, attività artigiane, costruzioni, servizi – arrancano.
Altri dati interessanti riguardanti la composizione del tessuto produttivo sono quelli che raccontano di un aumento delle cosiddette imprese a forma giuridica complessa, cioè le società di capitali, e la diminuzione di quelle più semplici, come le società di persone e le ditte individuali. Segno che la struttura imprenditoriale regionale sta cambiando e sta andando verso un rafforzamento più adatto ad affrontare le sfide legate alla competizione nazionale e internazionale.
Un'ultima nota, infine, sul mercato del lavoro. Per quanto il 2015 abbia fatto segnare una stabilizzazione della disoccupazione e un ritorno di tassi crescenti nell'occupazione, le conseguenze della lunga recessione si fanno ancora sentire: lo stock di occupati dell'Abruzzo nel 2015 è di 32 mila unità inferiore a quello pre-crisi (2008).
E' una crisi, tra l'altro, che ha una forte caratterizzazione generazionale: negli ultimi otto anni gli occupati compresi nella fascia di età tra i 15 e i 34 anni sono diminuiti di 51 mila unità.
“Alla luce di queste dinamiche” scrive il Cresa “per tornare al rapporto occupati/popolazione del 2008 avremmo bisogno di quasi 48 mila giovani occupati in più”. Inoltre i pochi giovani che trovano lavoro nella nostra regione devono accontentarsi di posti a bassa qualificazione o di mansioni non corrispondenti ai propri livelli di istruzione.