Venerdì, 03 Giugno 2016 19:55

Salvo Vitale, 'compagno' di Impastato: "Compiuta legalità è illusoria"

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Il compagno, così lo conoscono in molti.

Salvo Vitale è l'amico e compagno di Peppino Impastato, il giovane attivista di Cinisi fatto saltare in aria dalla mafia a trent'anni, la notte del 9 maggio 1978. Un incidente, si disse allora: Peppino stava preparando un attentato terroristico, sostennero alcuni; aveva deciso di farla finita, si suicidò, dichiararono altri. L'orrore per la morte di Aldo Moro, il corpo ritrovato in una Renault parcheggiata su via Caetani, qualche ora dopo, fece il resto, lasciando nell'ombra la morte atroce di quel ragazzo che dai microfoni di Radio Aut irrideva la mafia.

A combattere per fare luce sulla morte di Peppino rimasero in pochi: la mamma Felicia, il fratello Giovanni, gli amici dell'epoca, e tra loro Salvo, professore di liceo, poeta, che ha sempre tenuto vivo il ricordo di Impastato e del suo coraggio. La luce si è accesa ventitré anni dopo, l'11 aprile del 2002, con la condanna in via definitiva di Gaetano Badalamenti, il Tano Seduto di Onda Pazza, capo della cosca mafiosa di Cinisi, il mandante dell'uccisione del giovane attivista siciliano, candidato alle elezioni del maggio '78 nelle liste di 'Democrazia proletaria'.

E' stato instancabile, Salvo, in questi anni: attivatore di iniziative e di fondazioni, autore di libri, giornalista, memoria vivente di Radio Aut, collaboratore di Telejato, la televisione diretta da Pino Maniaci, finito al centro di una brutta vicenda di cronaca, giusto qualche settimana fa.

Vitale è stato ospite di un'interessante iniziativa organizzata dai Giovani Democratici dell'Aquila, al Palazzetto dei Nobili: "La bellezza della libertà: la mafia uccide, il silenzio pure".

Aveva visitato la città alcuni mesi prima del terremoto, ci è tornato sette anni dopo: "Sono rimasto allibito nel ritrovarla così", racconta a NewsTown. Poi, la sua mente 'corre' dietro le impalcature che coprono la vista sui palazzi: "Chissà cosa si nasconde dietro i lavori di ricostruzione, chissà cosa è liscio e cosa è pulito, cosa è fatto a norma, se ci sono stati altri interessi. Non c'è dubbio che infiltrazioni mafiose ce ne saranno state".

Sarà la storia a raccontare la verità, probabilmente. "I Greci immaginavano la giustizia come la Dea dalle bilance perfettamente uguali", ricorda Vitale. A dire che la legge è uguale per tutti, "ma non è mai stato così. La legge è fatta dalla gente che ha il potere di farla, e che finisce spesso per usarla per curare i propri interessi. La giustizia la fanno gli uomini, che sono soggetti ad errori e a volte non riescono proprio a tirarsi fuori dall'idea di pensare un poco anche a se stessi. Immaginare che possa esserci una compiuta legalità è un'illusione: dobbiamo crederci, però, perché altrimenti finiremmo per scannarci tra di noi".

Salvo ha lo sguardo disincantato di chi ha praticato per quarant'anni l'antimafia, di chi ha visto cambiare tante cose perché nulla, in fondo, cambiasse per davvero. "All'epoca chiamavo Badalamenti l'eroe dei due mondi: sapevamo sin dagli anni sessanta, anzi da molto prima, che i traffici di eroina interessavano gli Stati Uniti. E' storia vecchia quella della mafia come fenomeno mondiale: il mercato con cui si fanno i soldi è da sempre nelle loro mani. Cosa è cambiato? Tecnicamente, non è cambiato molto. La mafia continua a fare i suoi traffici sotterranei, cucendo pazientemente alleanze con il mondo della politica, stringendo alleanze, trattative di tutti i tipi. Se è vero che là dove c'è il miele le mosche vanno, è vero anche che i mafiosi vanno dove stanno i soldi: ecco cosa è cambiato, la Sicilia è stata completamente spogliata, depredata, non c'è più nulla da spolpare se non il pizzo ai pochi esercizi commerciali, e i mafiosi si sono spostati altrove".

Qualche ora fa - ci confida Salvo - "mi ha raggiunto la notizia della morte di don Procopio Di Maggio, il boss che ha sostituito Gaetano Badalamenti alla guida della famiglia di Cinisi, arrivato a cent'anni - li ha festeggiati quattro mesi fa - morto tranquillamente nel suo letto dopo aver scontato giusto qualche mese di galera, ai tempi di Giovanni Falcone, e assolto da qualsiasi accusa. Per dire che molti mafiosi circolano ancora liberamente, impuniti, e altri sono infiltrati nelle Istituzioni: non è cambiato nulla".

Torniamo a Telejato, a Pino Maniaci e alla cronaca delle ultime settimane: "E' chiaro che non si toccano dei fili scoperti senza il pericolo di bruciarsi", spiega. "I metodi sono sempre gli stessi: la macchina del fango si mette in moto e non c'è bisogno di distruggere una persona, basta screditarne l'immagine pubblicamente". Salvo Vitale, sia chiaro, è disincantato anche sulla così detta 'antimafia': "C'è chi ha fatto professione di antimafia solo in una certa misura, certo: non vuol dire, però, che bisogna gettare fango su tutti. Bisogna andarci cauti. E non significa neppure che la mia, o quella di Pino Maniaci, sia l'antimafia in assoluto: piuttosto, sono frammenti di un processo che attraversa persone come Pio La Torre, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino. E' quella, l'antimafia. Su altre forme di antimafia, invece, c'è da discutere: è un atto di purezza, chi la esercita non deve pensare a far soldi, o può manifestare un tipo di economia diversa da quella mafiosa? Prendiamo la gestione dei beni confiscati affidata a Libera: si tratta di un'antimafia produttiva, si possono fare dei soldi. Al contrario, se si immagina l'antimafia come un atto di purezza, ci si pone in un'altra dimensione. Sono questioni che vanno valutate attentamente. Come per la giustizia, il problema sono gli uomini: nel paniere, possono sempre esserci delle mele marce".

Ultima modifica il Domenica, 05 Giugno 2016 00:44

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