Avevamo promesso a Fabrizio Barca che non avremmo parlato di elezioni, del Partito Democratico e di un centrosinistra che si presenta frammentato alle urne. E’ per questo, forse, che la chiacchierata con l’economista, già ministro della Coesione territoriale del governo Monti con delega alla ricostruzione del cratere, è stata profondamente politica.
Giunto al Gran Sasso Science Institute per la presentazione del libro di Claudia Pajewski, ‘Le mani della città’, un ritratto degli operai che stanno ricostruendo la città [qui], Fabrizio Barca ha sottolineato come il progetto dell’artista aquilana abbia avuto il merito di “rimettere al centro il lavoro”, e non a chiacchiere “ma con i volti, le rughe, i camici imbiancati, i gesti, gli atti, dei lavoratori che, ogni mattina, si riversano in massa dentro le mura della vecchia L’Aquila, il cantiere più grande d’Europa e, certe volte, era sembrato che i cantieri spuntassero quasi per magia. E’ particolarmente importante per un paese, il nostro, che dimentica continuamente il lavoro, per un paese che rimane la seconda grande potenza europea nella meccanica e nel manifatturiero e dimentica, però, che questo avviene perché abbiamo ancora gli operai manifatturieri”.
Barca è convinto che questa disattenzione abbia conseguenze profonde: “non è affatto un caso che una gran parte dei lavoratori, delle fabbriche e dei cantieri edili e, così, gli altri, spappolati in giro per il territorio a fare lavori sempre subordinati anche se apparentemente autonomi, non trovino un senso di riconoscimento; ciò determina rabbia, la sensazione che le classi dirigenti abbiano in testa altro, il rifiuto della tecnologia, della diversità, una dinamica autoritaria che trova la sua matrice, appunto, nel mancato riconoscimento del ruolo”.
Il libro di Claudia Pajewski restituisce un ruolo agli operai della ricostruzione, alle loro mani, alle facce immortalate nelle fotografie dell’artista aquilana: “la cosa straordinaria è che, sfogliandole, viene la curiosità di conoscerli, i lavoratori, e le pagine finali restituiscono storie interessanti di italiani e di immigrati che ci ricordano il senso della ripetitività”; Barca ricorda una storia, in particolare, “di un operaio che racconta come realizzasse opere artistiche con l’obiettivo di farne sempre di diverse ed ora, invece, si ritrova a ripetere sempre lo stesso atto. Ci rammenta come il lavoro sia ancora ripetitivo, come possa ancora mortificare: sta a noi rimetterlo al centro, e il libro ha questo straordinario pregio”.
Con Fabrizio Barca abbiamo toccato un tema che sta caratterizzando la campagna elettorale nelle aree interne d’Abruzzo, e cioè la sovrapposizione due crateri – quello del 2009 e l’altro, definito dalle scosse che si sono susseguite a cavallo tra il 2016 e il 2017 – che affrontano la ricostruzione con norme diverse. Dovesse indicare una buona pratica sperimentata a L’Aquila che potrebbe finire in una legge quadro, di cui il paese ha tremendamente bisogno, quale indicherebbe? “Che lo indichi io sarebbe sciocco e non utile”, la risposta dell’ex ministro alla Coesione territoriale: “lo indica la legge approvata dal Parlamento sul terremoto aquilano, quella che restituì ai sindaci la centralità delle responsabilità. Quella legge stabiliva che 100 dei 300 giovani assunti con il concorsone dovessero costituire il nucleo di un nuovo ufficio per la ricostruzione: sarebbe bastato che i governi della repubblica avessero seguito ciò che la legge prescriveva. Non è stato fatto ed è una responsabilità seria del Ministero delle Infrastrutture”.
In questi mesi Fabrizio Barca è impegnato col Forum sulle Disuguaglianze e le Diversità [qui], nato su iniziativa della Fondazione Basso, di un gruppo di organizzazioni da anni attive in Italia sul terreno dell’inclusione sociale, di ricercatori e accademici impegnati nello studio della disuguaglianza e delle sue negative conseguenze sullo sviluppo. Un progetto che parte dal riconoscimento che “si sono aperte faglie molto forti che attengono, innanzitutto, alle disuguaglianze economiche, con divaricazioni forti nei redditi che sarebbero state inammissibili alla nostra coscienza 40 o 50 anni fa; purtroppo, è cambiato anche il nostro senso d’accettazione: all’epoca, non avremmo accettato che il manager di un’azienda potesse firmare un contratto che prevede gli vengano riconosciuti tre anni di stipendio anche decidesse di andare via, ai nostri occhi sono diventati normali delle vere e proprie aberrazioni. Sono aumentate le disuguaglianze di ricchezza e, così, d’accesso ai servizi fondamentali; prendiamo un servizio che in Italia è molto buono, la salute pubblica: stando ai giudizi internazionali, il nostro è uno dei sistemi sanitari migliori al mondo. Peccato che alcuni abbiano una super tutela della salute e altri una cattivissima tutela della salute: a volte, basta passare il confine regionale per accorgersene”.
Torniamo così alle disuguaglianze di riconoscimento, ne discutevamo in apertura d’intervista; “per non parlare degli operai, basta pensare alle persone che vivono le aree interne, su cui sto lavorando da cinque anni: il tema non è la chiusura dell’ospedale, magari è anche giusto, il problema è che alla chiusura non corrisponde un rafforzamento del presidio territoriale della salute, col risultato che troviamo ambulatori deficitari, tempi inammissibili d’arrivo delle ambulanze, troviamo bambini ospedalizzati per l’asma, e un bimbo con l’asma non dovrebbe mai essere ospedalizzato, evidentemente la famiglia che sta in area rurale alle 11 di sera non ha trovato una persona a cui rivolgersi”. L’insieme di queste disuguaglianze crea lacerazione del paese, “è responsabile della dinamica autoritaria – Fabrizio Barca lo ribadisce - e noi pensiamo che non basti la redistribuzione del reddito. Bisogna intervenire nella formazione del reddito, sul mercato: evidentemente, si sono consolidati determinati meccanismi di mercato, d’assegnazione del credito, che rendono difficilissimo per un giovane con un’idea brillante avere le risorse per realizzarla, a meno che non abbia un genitore con un patrimonio o altro da offrire in garanzia. Per non parlare del trasferimento generazionale della ricchezza, che riproduce delle differenze, e magari il papà o la mamma erano persone straordinarie che si erano meritati la ricchezza, che trasferiscono ai figli una impresa che può andare in fumo in pochi anni. Insomma, è necessario intervenire in questo senso”.
Obiettivo del Forum delle disuguaglianze è “ritrovare l’intelligenza per farlo”, all’interno delle organizzazioni di cittadinanza attiva che da Caritas ad Actionaid, da Cittadinanzattiva a Legambiente, da Uisp alla Cooperativa Dedalus di Napoli e fino alla Fondazione comunità di Messina, “sono fondazioni dove sono andati a lavorare ragazzi dai 25 ai 40 anni che forse, trent’anni fa, sarebbero stati nei partiti. C’è una bellissima generazione che sta dentro queste organizzazioni, che ha maturato esperienze, che ha competenze: intendiamo ripartire da loro”.