Dall’Abruzzo agli studios di Los Angeles. Dalla provincia italiana alle grandi produzioni musicali e cinematografiche americane.
La vita di Fabrizio Mancinelli sembra davvero la trama di uno dei film di quella Hollywood nella quale si è affermato, negli ultimi anni, come uno dei compositori e direttori d’orchestra più stimati e richiesti.
Fabrizio nasce a Cles, in Trentino, ma ad appena tre mesi si trasferisce con la famiglia all’Aquila, dove cresce e studia fino a diplomarsi in composizione e direzione d’orchestra al conservatorio Casella.
Allievo di Gian Carlo Menotti (compositore, fondatore del Festival dei due mondi di Spoleto) e di Luis Bacalov, nel 2008, grazie a una borsa di studio Fulbright, vola negli Stati Uniti per perfezionarsi alla University of Southern California.
A Los Angeles riesce a trovare la sua strada. Inizia a scrivere musiche per cinema, film d’animazione, documentari e programmi televisivi, non solo americani (è autore, tra le altre cose, di sigle per trasmissioni Rai).
Nel 2018 la svolta: dirige l’orchestra che registra la colonna sonora, composta da Kris Bowers, di Green Book, il film di Peter Farrelly premiato dall'Accademy con tre Oscar (miglior film, miglior attore non protagonista e migliore sceneggiatura originale).
Con Bowers, sempre nelle vesti di direttore d’orchestra, torna a lavorare per il biopic United States vs Billie Holiday, diretto da Lee Daniels, e, da ultimo, per la colonna sonora di Space Jam 2, il sequel del celebre film d’animazione con Michael Jordan. Questa volta a unirsi alla squadra dei Looney Tunes sarà Lebron James.
Ed è proprio al termine delle registrazioni per Space Jam 2 che lo raggiungiamo in videochiamata a Los Angeles per questa intervista.
Fabrizio vive in California ormai dal 2011 e tra qualche settimana otterrà anche la cittadinanza americana. Ma non ha mai dimenticato la sua città: “All’Aquila sono ancora legatissimo. E’ passeggiando per le vie del suo centro storico, tra i suoi palazzi, che ho imparato a amare l’arte e la bellezza. Mi manca molto”.
Fabrizio, che esperienza è stata e quando uscirà film?
E’ stata un’esperienza bellissima. Il film, che è molto divertente, uscirà qui in America il 16 luglio. Oltre che nei cinema, dovrebbe essere trasmesso contemporaneamente anche su piattaforma streaming.
Come sei finito a lavorare nel film?
Tramite Kris Bowers, con il quale avevo già lavorato per Green Book. Kris, oltre che uncollega, è un amico fraterno. Lui ha un legame particolare con la pallacanestro perché era molto amico di Kobe Bryant, con il quale aveva collaborato e avrebbe collaborato ancora.
Hai conosciuto Lebron James?
No, anche se una volta si è connesso mentre stavamo registrando. Lo ha incontrato Kris ma a questo punto non credo che lo conoscerò. E’ una grande produzione, se fosse stata più ridotta forse una possibilità ci sarebbe stata. Poi qui le misure e le restrizioni anti covid sono severissime.
A proposito di regole anti Covid, come avete registrato?
A sezioni. Prima gli archi, poi i legni e infine gli ottoni. Tutto separato, con mascherine e schermi di plastica. Dovevamo fare un tampone tutte le mattine, e abbiamo continuato con questa procedura anche quando abbiamo iniziato a vaccinarci. Naturalmente dirigere un’orchestra in queste condizioni non è facile, viene meno quell’armonia che nasce solo quando si suona tutti insieme, ascoltandosi a vicenda.
Che impatto ha avuto la pandemia sul mondo dello spettacolo e quali effetti a lungo termine produrrà, secondo te?
Ci sono state perdite e flessioni del lavoro molto pesanti, gli aiuti del governo ci sono stati ma non sono bastati. L’industria cinematografica, con la chiusura delle sale in tutto il mondo, ha perso tantissimo, perché poi le piattaforme streaming, che in questi mesi l’hanno fatta da padrone, pagano royalties molto più basse. Adesso le cose stanno migliorando, la campagna vaccinale sta andando bene. Il 15 giugno qui in California dovrebbero riaprire anche cinema, teatri e sale da concerto, anche se non con un pubblico ridotto. Credo che, a lungo termine, il difficile sarà far riabituare le persone alla visione di un film in sala o alla fruizione di un concerto dal vivo.
Immaginavi che saresti arrivato fin qui? Da bambino ti vedevi già a fare questo lavoro?
Sì, ho sempre voluto fare questo. I miei genitori avrebbero preferito che mi dirigessi verso porti più sicuri, infatti sono laureato anche in giurisprudenza e ho preso l’abilitazione da avvocato. Ma sono stato perseverante e ho avuto la fortuna di incontrare due grandi maestri, come Giancarlo Menotti e Luis Bacalov, che mi hanno spinto ad andare a studiare negli Stati Uniti quando ero ancora molto giovane.
Malgrado tu sia diventato americano a tutti gli effetti, il tuo legame con L’Aquila è ancora molto forte.
Assolutamente. Anche se i miei genitori, dopo il terremoto, si sono dovuti trasferire in Veneto, all’Aquila ho ancora tanti amici, con i quali mi sento spessissimo, e c’è una buona parte della mia famiglia. E’ la mia città, la città dove sono cresciuto e ho vissuto fino a 28 anni. Ne parlo tanto anche qui a Los Angeles, mi tengo informato su quello che accade, sono stato anche testimonial della candidatura a Capitale italiana della cultura 2022. L’ultima volta che sono venuto è stato nel dicembre del 2019 ma non appena mi sarà possibile tornerò ancora. Mi mancano il cibo, gli odori, le passeggiate in centro. E’ stato proprio camminando per i vicoli del centro dell’Aquila, al gelo mattutino prima di andare a scuola, che ho imparato ad apprezzare l’arte e la bellezza.
A quali altri progetti stai lavorando in questo momento?
Sto finendo di realizzare un mediometraggio di animazione con il grande Andres Deja (uno dei più importanti animatori americani, supervisore all'animazione di personaggi come Roger Rabbit, Gaston ne “La bella e la bestia”, Scar ne “Il re leone” ed Ercole in “Hercules”, ndc) per le musiche di Richard Sherman, uno dei due famosi fratelli Sherman, autori, tra le altre cose, delle musiche di Mary Poppins. A breve dovrebbe uscire inoltre un musical, di cui ho scritto le musiche originali, diretto da un giovane ma bravissimo regista italiano, Nicola Abbatangelo, molisano ma molto legato all’Abruzzo. Il musical si chiama The Land of Dreams, è ambientato a New York negli anni Venti del Novecento e ha un cast internazionale.
C’è qualche regista o compositore con cui sogni di collaborare in futuro?
Il mio sogno è che il sogno continui. Ogni volta che ho programmato la mia vita le cose poi non sono andate nella direzione sperata. Mi sento già molto fortunato così. Sembrava impossibile per un ragazzo dell’Aquila arrivare fin qui, quasi irreale. Eppure sono riuscito prima a conoscere e poi a lavorare insieme ad alcuni attori, registi e artisti che hanno segnato la mia vita.
L’anno scorso l’Italia ha perso Ennio Morricone. Ci sarà mai, secondo te, un suo erede?
Sarebbe bellissimo. Ci sono bravissimi compositori italiani apprezzati e stimati all’estero, penso per esempio a Dario Marianelli, vincitore di anche di un premio Oscar. Negli Stati Uniti il cinema italiano piace perché è più artigianale, in Italia abbiamo le più grandi maestranze del mondo, che anche con risorse e fondi molto più limitati rispetto alle grandi produzioni americane, sono capaci di inventare cose straordinarie.