Venerdì, 24 Aprile 2015 23:17

25 aprile 1945-2015. La Liberazione raccontata da Raffaele Colapietra

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Nel 70° anniversario della Liberazione, è il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a ricordarci cosa furono la Resistenza e la guerra partigiana: “Prima che fatto politico” scrive il Capo dello Stato in un messaggio inviato alla rivista MicroMega in occasione della pubblicazione di un numero monografico dedicato al 25 aprile “la Resistenza fu soprattutto rivolta morale. Questo sentimento, tramandato di padre in figlio, costituisce un patrimonio che deve permanere nella memoria collettiva del Paese”.

Nella sua rievocazione, Mattarella parla anche della Costituzione “nata dalla Resistenza”.

La nostra carta, scrive il Capo dello Stato, “ha rappresentato il capovolgimento della concezione autoritaria, illiberale, esaltatrice della guerra, imperialista e razzista che il fascismo aveva affermato”.

“Negli scorsi decenni” conclude poi Mattarella “si è aperto un grande dibattito storico-politico sulla Resistenza, sulla sua reale portata, sugli episodi delittuosi di cui si sono macchiati talvolta anche coloro che si opponevano al nazifascismo […] La ricerca storica deve continuamente svilupparsi, senza fermarsi davanti a miti e stereotipi. Il senso di umanità può consentire di provare pietà per i morti della parte avversa, senza pericolose equiparazioni”.

Per celebrare questo 70° anniversario e articolare - proprio prendendo spunto dalle parole di Mattarella - una riflessione sul significato attuale, presente, della Liberazione, NewsTown ha intervistato lo storico aquilano Raffaele Colapietra.

Professor Colapietra, il Capo dello Stato ha voluto ricordarci che la Liberazione dal nazifascismo e il sentimento della Resistenza partigiana devono essere un elemento irrinunciabile e basilare dell'identità italiana. Secondo lei questo sentimento si è affermato o no?

"Il presidente della Repubblica ha fatto il suo dovere di rappresentante dell'unità nazionale celebrando una ricorrenza che già da molti decenni, tuttavia, viene ricordata e messa in atto con un'esteriorità e un'indifferenza assolutamente eloquenti. La Resistenza e la Liberazione uscirono dalla consapevolezza popolare già pochi decenni dopo il 25 aprile 1945. C'è stato un ottundimento da parte delle istituzioni e dell'opinione pubblica che un nostro conterraneo, Ennio Flaiano, con il suo gusto epigrammatico, aveva sintetizzato già negli anni Sessanta: “Sale sul palco sua Eccellenza, si inchina a sua Eminenza e celebra i valori della Resistenza”. Oggi non si può avere nemmeno una remotissima idea del valore e dell'altissimo significato morale e civile che ebbe la Resistenza. Non possono averla coloro che partecipano solo esteriormente alle celebrazioni. Io stesso la vivo come qualcosa di assolutamente distante, che continua a vivere in me perché sono vecchio e certi avvenimenti li ho vissuti a suo tempo".

Questo cosa vuol dire, che la Resistenza non fu quel movimento collettivo di rivolta anzitutto morale, prima ancora che politica o militare, di cui parla Mattarella?

"Pietro Calamandrei, scomparso nel 1956, passò dieci anni, dopo la fine della guerra, esaltando un movimento che egli interpretava come movimento di popolo, come movimento collettivo dell'Italia che insorgeva contro la tirannide nazifascista. La verità è che fu una minoranza, nell'assenza o nell'attendismo manifestati dalla stragrande maggioranza della popolazione, a combattere l'invasore tedesco e il suo servo sciocco fascista. Da questa lotta di minoranza venne fuori il grande risultato della Liberazione. Che, sia ben chiaro, resta comunque un risultato di straordinaria importanza dal punto di vista politico e morale, come giustamente ricorda Mattarella".

E' concepibile una Liberazione senza Resistenza?

"La Liberazione è strettamente legata alla Resistenza, questi due eventi non sono separabili. Va detto che una Resistenza morale e civile ci fu anche durante il fascismo. Vorrei ricordare un tipico esempio di resistente civile e morale, il nostro concittadino Tancredi Nanni. Nanni era nato nel 1906, il che significa che si ritrovò nel fascismo nel pieno della maturità. Ciò nonostante, rinunziò alla carriera, agli onori, ai successi, a una posizione sociale, e continuò a fare, molto modestamente, l'impiegato, perché non volle indossare la camicia nera. E bisogna dire che gli antifascisti che andarono in esilio, come ad esempio Gaetano Salvemini, una volta tornati in Italia si resero conto di cosa avesse significato questa volontà di rimanere e non piegarsi e resero onore a persone come Nanni. Dopo aver resistito moralmente, umanamente e civilmente, ecco che c'è la Liberazione. E la Liberazione è essenzialmente armata, è quella dei partigiani, successiva all'8 settembre, allo sfasciamento dello Stato e al venir meno della monarchia. Naturalmente, oltre al motivo politico, in questo passaggio ci fu anche la semplice volontà di molti uomini di sottrarsi al bando Graziani. Anche questo, tuttavia, può essere considerato un atto di distacco dal fascismo, un rifiuto del tentativo della Repubblica di Salò di galvanizzare le forze giovanili, un atto politicamente definito ancorché in termini negativi – non collaborare – più che positivi, attraverso cioè il perseguimento di scopi politici chiari".

Secondo lei c'è stato, in questi anni, un tentativo di rovesciamento della realtà a proposito della Resistenza e della Liberazione da parte di una presunta vulgata revisionista?

"I fascisti hanno riguadagnato terreno nell'Italia negli ultimi anni, hanno portato un ex membro della Repubblica di Salò, Mirko Tremaglia, a diventare ministro. Si sono viste le mura delle città, anche della nostra, tappezzate con manifesti con il volto di Giorgio Almirante, nell'anniversario della morte. Il fascismo è stato accettato a pienissimo titolo ed è diventato una delle componenti della vita dell'Italia contemporanea. Bisogna prenderne atto, è una delle tristezze della nostra epoca. Detto questo, tutta la storiografia sulla Repubblica Sociale non ha potuto mai dimostrare la partecipazione della popolazione alla repubblica stessa. I fascisti repubblicani vennero isolati e guardati di malocchio, con antipatia, anche perché - e qui subentra un ragionamento di puro calcolo che fu fatto dagli attendisti - si sapeva che avrebbero perso. Che le istituzioni della Rsi non godettero mai di un consenso popolare è un dato di fatto".

Anche il presidente della Repubblica ha inteso ribadire questo concetto: anche se ci fu una guerra civile, sulla quale è giusto che la ricerca storica continui a indagare, non ci può essere nessuna equiparazione.

"La definizione di guerra civile, data da Claudio Pavone, è quella esatta, perché quella di Liberazione fu una guerra combattuta in nome di ideali e di programmi contrapposti. Dall'altra parte c'era la Repubblica Sociale, che voleva uno stato repubblicano che avrebbe dovuto rifarsi alle origini del fascismo. Non si possono equiparare Resistenza e Rsi perché i fascisti combattevano per un principio errato e delittuoso, la fedeltà scellerata a un alleato, il nazismo, che avrebbe oppresso e tiranneggiato l'Italia ancor di più di quanto avrebbero potuto fare, o hanno fatto, gli altri".

L'Abruzzo, dopo la caduta del fascismo, fu teatro e crocevia di avvenimenti importanti: l'imprigionamento di Mussolini sul Gran Sasso, la fuga dei reali dal porto di Ortona, la nascita della Brigata Maiella. Che tipo di Liberazione fu quella abruzzese?

"Anzitutto va detto che il fenomeno abruzzese terminò nel giugno del 1944, pochi mesi dopo l'8 settembre, con l'occupazione della regione da parte dell'VIII armata. Il confinamento di Mussolini sul Gran Sasso e la fuga del re furono episodi che non segnarono la vita delle persone. Quella che ebbe di una certa importanza, invece, fu la nascita della Brigata Maiella, dalla forte caratterizzazione repubblicana, non solo antifascista. La Brigata Maiella è passata alla storia per questa caratteristica: essere rimasta tale, cioè militarmente organizzata, per parecchi mesi anche dopo la liberazione dell'Abruzzo. Centinaia di giovani, dopo aver liberato il loro paesello, continuarono a combattere anche nelle Marche e sull'Appennino, fino a Bologna. Perché lo fecero? Questo è difficilissimo dirlo: c'è il motivo politico, quello morale, quello avventuroso e quello esistenziale. Probabilmente il fenomeno non venne indagato sufficientemente a fondo negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra, quando i protagonisti di quell'avventura erano ancora tutti vivi e avrebbero potuto essere interrogati sui motivi della loro partecipazione alle imprese della brigata".

A proposito della Brigata Maiella, viene ricordata, giustamente, la figura del suo principale animatore e comandante, Ettore Troilo, originario di Torricella Peligna. Ma ci fu anche un aquilano che combattè nelle sue fila....

"Il nostro concittadino Mario Tradardi, un esempio luminosissimo di valore civile. Tradardi era un magistrato, cattolico, il quale, dopo la liberazione dell'Aquila, nel giugno del 1944, pur avendo una famiglia e una moglie con un figlio in arrivo, si arruolò nella Brigata Maiella e andò a combattere sull'appenino tosco-emiliano, dove morì. A lui fu intitolata la sezione aquilana della Democrazia cristiana. Ecco, Tradardi è un esempio tipico di carattere civile e morale, anche perché, essendo cattolico, non combatteva a pieno titolo, vale a dire impugnando armi vere. Stette in prima linea e morì portando solo un frustino e un bastone. Il suo è un esempio di un uomo maturo, dunque non di un giovinetto che cerca l'avventura, che lascia la famiglia perché sente suo dovere andare a testimoniare, a stare insieme a coloro che combattono, pur facendolo da inerme".

Ci racconta un suo personale ricordo legato a quei giorni?

"Una mia personale testimonianza è legata alla sera del 25 luglio 1943 (il giorno in cui cadde il fascismo, ndr). Essendo gravemente malato, ero al letto, però avevo sentito alla radio la notizia della caduta di Mussolini. Io all'epoca abitavo a via Fortebraccio e quella sera sentii, da un vicino che abitava in via Arco Ricci, una traversa di via Fortebraccio, il canto di “Bandiera rossa”. Lo sentii intonare da Giuseppe Mannucci e dai suoi parenti, tutti antifascisti, che quella sera avevano ritrovato la libertà. All'improvviso capii che qualcosa di profondo e importante era successo, perché si poteva, a notte fonda, cantare a voce spiegata questa canzone, che all'epoca non sapevo assolutamente cosa fosse ma che certamente capii non essere una canzone fascista".

 
Intervista e riprese: Roberto Ciuffini; montaggio: Francesco Paolucci. 

Ultima modifica il Sabato, 25 Aprile 2015 23:52

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