Giovedì, 18 Luglio 2013 18:10

"Pensare la scena": L'Aquila, il teatro e la vita. Intervista a César Brie

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César Brie è un drammaturgo e regista argentino di fama mondiale. Nato a Buenos Aires cinquantanove anni fa, è arrivato in Italia a 18 anni con la Comuna Baires. Di qui ha sviluppato un'arte “apolide”, a stretto contatto con le molte realtà incontrate sul suo cammino. Dopo l’esperienza nel gruppo Farfa e nell’Odin Teatret, ha fondato in Bolivia ilTeatro de Los Andes. Con questo gruppo ha creato spettacoli che partono dalla storia o dai classici, ma calati profondamente nell’attualità: una serie di lavori esemplari destinati a girare il mondo. Tra questi spicca l'Iliade, riguardo il quale il critico Fernando Marchiori scrive: “Ci sono spettacoli – pochi, imprevedibili – che incantano e s’imprimono nella memoria come un’esperienza irripetibile. Gli spettatori se li raccontano a distanza di anni alimentandone il mito. L’Iliade del Teatro de Los Andes è uno di questi. Presentato in mezzo mondo, ha ovunque trascinato pubblico e critica in un consenso unanime, facendo gridare al capolavoro. Quasi duecento repliche in due anni. Tutti i temi del teatro di Brie sembrano fondersi qui in una profonda riflessione sulla violenza e sul tempo, nel tentativo di rivedere la tragedia antica alla luce della propria storia”. Nel 2010 César Brie è costretto a lasciare il Teatro de los Andes e la Bolivia a causa delle minacce di morte ricevute dopo aver diffuso il suo documentario “Tahuamanu" nel quale svela cosa è realmente accaduto l’11 settembre 2008, data in cui i campesinos che difendevano il diritto alla terra, sono stati massacrati e uccisi da squadristi legati all’opposizione fascista. Attualmente vive e lavora in Italia.

Abbiamo incontrato César Brie a margine del workshop “Pensare la scena”, evento organizzato da “I Cantieri dell'Immaginario” lo scorso 17 luglio a L'Aquila.

Il lavoro e la vita sono spesso coincidenti, nella vita delle persone. Nel tuo caso, attraverso i tuoi spettacoli o produzioni, si può ricostruire la tua vita perché raccontano molto di te o delle vicende che hai attraversato o meglio, come dici tu stesso, che hai 'evitato di ignorare'. E’ così?
Il lavoro è la mia vita. Lo è stato perché, forse inconsciamente, credo solo nel mio lavoro. Perché nel lavoro io devo fare i conti con me stesso e cerco di non tradirmi. Sul piano degli affetti, mio padre è morto quando avevo quindici anni e mia madre ha poi avuto una crisi ed è stata in coma per molti mesi, l’unica cosa di cui mi son fidato è stato il mio lavoro per il quale ho lasciato tutto, fatto tutto, e anche perso tutto. Quindi non riesco a fare altro che questo. Forse ora che ho imparato potrei ma è tardi. Mi accorgo che tendo a coinvolgere nel mio lavoro tutto e tutti. L’unica cosa che dico a me stesso e che devo onorare, al di fuori del mio mestiere, è che devo essere presente nella vita delle mie figlie. Il resto non esiste, oltre al mio lavoro.

In César Brie e il Teatro de los Andes (testo pubblicato in italia dalla UBU libri) si parla di te e del teatro che hai fondato in Bolivia. Nelle prime pagine racconti che, all’inizio della tua carriera, intuisti che non è lecito usare il teatro per parlare del mondo, se il teatro riflette i rapporti sociali del mondo che vogliamo cambiare. Quindi affermi: ‘è necessario cambiare il teatro per cambiare il mondo’. Tu l’hai fatto, ci sei riuscito?
Sì, credo di sì. Credo di essermi comportato nel teatro come nella vita, il lavoro dell’artista deve essere un lavoro legato all’etica nei rapporti con l’arte e con gli altri. Ho commesso errori, sicuramente, non sono una persona perfetta, a volte disattenta, volgare.. e di questo sì, mi rammarico, di non essere migliore di quel che sono. Però ho tentato sempre di essere coerente.

L’Aquila tu l’hai conosciuta anni fa. L’hai vista come una città viva. Qual è il tuo rapporto con questa città, ora che è cambiata così tanto?
Sì, ho conosciuto L'Aquila tanti anni fa. Se penso a L'Aquila penso soprattutto al rapporto con due persone: Giancarlo Gentilucci e Tiziana Irti. Per me loro sono L'Aquila. Poi ho conosciuto Paolo Porto e Giorgio Pitone, persone meravigliose, però l’essenza del mio rapporto con questa città sono i rapporti con chi mi hanno portato qui e mi hanno protetto, aiutato, trovando sempre un posto per me.

Dunque, avendo ritrovato queste stesse persone anche dopo il terremoto, L’Aquila per te non è cambiata?
No, è cambiata. E’ cambiata perché Giancarlo Gentilucci ha creato un teatro in un luogo di terremotati, è cambiata perché il lavoro è cambiato e quindi il mio modo di collaborare con loro ha trovato forme diverse. Ed è cambiata anche perché, attraverso gli aquilani che conosco, ho partecipato ai drammi che questa città ha vissuto e vive.

Quindi ti sei affidato ai tuoi rapporti umani per capire e vivere il terremoto aquilano?
Io mi fidavo di loro prima, quando le cose andavano bene, e mi fido di loro anche ora che le cose vanno male e si lotta per migliorarle. Non posso dire altro che questo. Quando ci sono crisi grandi o catastrofi le persone sviluppano una forza che non conoscevano e credo che qui sia accaduto questo. Quando i problemi sono evidenti, le soluzioni sono più chiare.

E in questi giorni, proprio tramite l’associazione Arti e Spettacolo, stai tenendo un laboratorio teatrale, all’interno de “I Cantieri dell’immaginario”. Come è andata questa prima giornata di lavoro con i ragazzi e le ragazze dell’Aquila?
Sta andando bene. Son contento. E’ un laboratorio impegnativo ma sono convinto che lavoreremo bene.

Martedì 23 luglio ci sarà anche un incontro aperto, a chiusura del laboratorio, sull'esperienza svolta nei sette giorni di lavoro e un approfondimento “I sonetti a Orfeo” di Reiner Maria Rilke. E' importante per te parlare di quel che fai?
Accetto sempre di parlare di quel che faccio e tento di confrontarmi sempre con ‘etica’, cercando di dire cose che interessino alle persone. Mi piace parlare di quel che scopro, dei punti di lavoro. E’ utile farlo. Mi prendo anche in giro, non mi considero un oracolo, ci mancherebbe. Quando ti consideri un oracolo, quando pensi che sia ‘importante’ quel che dici, diventi un 'pretaccio'. Io penso che i preti debbano rimanere nelle chiese e gli uomini di teatro confrontarsi e dialogare.

Ultima modifica il Venerdì, 19 Luglio 2013 10:38

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