Mercoledì, 10 Maggio 2023 13:22

C'era una volta il covid. A uscirne sembra che ne siamo usciti ma siamo migliori?

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Ok, sembra ufficiale, ne siamo usciti, ma dove sono i migliori? Qualcosa è cambiato? È andato tutto bene? Le urla dai balconi, la voglia di ballare, tutti quei “nessuno si salva da solo”, le scene di camion nefasti e responsabili rinunce, sono servite a qualcosa oppure tutto è scomparso in un colpo di spugna?

Queste sono ben altro che domande retoriche, vogliono piuttosto essere una spinta ad una riflessione seria e profonda che ogni singolo dovrebbe fare dentro sé per capire effettivamente cosa è cambiato in sé stesso, se è stata una parentesi rimossa o un “tempo forte” promotore di mutazioni e stravolgimenti. Ognuno deciderà se affrontare o meno questo processo di scoperta di sé ma nel frattempo con un’analisi che non sarà mai esaustiva possiamo provare a guardarci attorno e vedere come si è comportato il mondo collettivo. D'altronde chi ben comincia è a metà dell’opera.

La prima cosa da sottolineare come precondizione per tornare al centro del momento storico che abbiamo vissuto e stiamo vivendo è che dall’inizio della pandemia nel complesso sono stati registrati circa 700milioni di casi di covid 19 e quasi 7milioni di morti anche se secondo l’Organizzazione Mondiale della sanità il tutto andrebbe moltiplicato per tre calcolando i casi non tracciati, dunque secondo questi calcoli le morti arriverebbero a superare i 20milioni.

Solo pochi giorni fa, il 5 maggio, il Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Tedros Ghebreyesus ha dichiarato che il covid 19 non rappresenta più un’emergenza mondiale, una notizia storica anche se per le vite quotidiane dei più sembra essere arrivata in ritardo. Infatti in Italia il rallentamento delle disposizioni volte a ridurre le possibilità di contagio è partito già dal marzo dello scorso anno con la cessazione dello stato di emergenza.

Tutto ciò ha portato a quella sorta di rinascita e riconquista di spazi che è apparsa davvero come un ritorno alla libertà. Accanto però alla profonda emozione dovuta al ritorno alla normalità dopo un periodo duro e destabilizzante fatto di restrizioni, morti e sofferenze c’è da considerare anche l’incredibile capacità di dimenticare che è intrinseca nella società odierna, dove a solo un anno di distanza dall’abbassamento dei contagi la memoria collettiva non sembra ricordare o prendere in considerazione quanto accaduto in un passato ben più prossimo di quanto viene percepito.

Quel desiderio di un mondo migliore che aleggiava sulle case delle italiane e degli italiani che si guardavano dai balconi sembra essersi messo un po’ in standby dinanzi alle guerre in atto e alla ripresa galoppante di un mondo in cui l’economia la fa da padrona, in cui attivisti e sindacati vengono dipinti sempre più come fastidiosi ostacoli, in cui la lotta al cambiamento climatico la si fa oggi no, domani forse ma dopodomani sicuramente.

La disillusione sembra essere tornata al primo posto ed è certo che a chiunque venissero poste le domande con cui abbiamo aperto il nostro articolo la risposta sarebbe negativa e impregnata di un’ingente dose di pessimismo. Però non è detto che tutto sia andato male. Non è detto che nulla sia cambiato, teniamoci stretto il beneficio del dubbio.

Infatti proprio oggi intervistato dalla redazione di “InternazionaleGabriele Crescente, autore del libro “Storia mondiale del lock down” edito da Laterza, ha messo in luce elementi interessanti che troppo spesso l’infodemia in cui siamo immersi e la superficialità a cui ci costringe il mondo ad alta velocità ci occultano in una narrazione fin troppo approssimativa di quanto accaduto.

Crescente nella sua analisi sociale di quanto accaduto parla di un enorme stress test di massa che ha portato a mettere in evidenza le disuguaglianze che coesistono nel mondo, tra paesi ricchi che sono stati in grado di sostenere le restrizioni richieste dal momento storico e quelli che invece hanno dovuto smettere anche solo di tentare di sostenerle per fare i conti con la realtà, basti pensare alle parole pronunciate dal presidente del Pakistan Imran Khan:

“Inutile salvare le persone dal covid se poi muoiono di fame”.

Lo scrittore ha poi citato tutte quelle disuguaglianze che sono emerse nelle stesse società in cui non tutti i lock down sono stati uguali, tra ville, attici e case popolari; così come la diversità di condizione dovuta ai mestieri più esposti al rischio e quelli più riadattabili.

A tutto ciò si aggiungono elementi di portata storica che hanno visto un cambio di rotta proprio dovuta al covid e ciò che esso ha comportato, tra questi Crescente cita la sconfitta di Donald Trump alle elezioni presidenziali statunitensi che probabilmente non ci sarebbe stata senza la crisi economica dovuta alla pandemia, la sospensione del patto di stabilità europeo con l’indebitamento comune tra i paesi dell’Unione Europea che prima sarebbe stato impensabile. Inoltre un effetto economico che si farà sempre più concreto negli anni avvenire riguarda il ripensamento della globalizzazione come la conoscevamo prima e il fatto che gli stati stanno già cercando di ricostruire condizioni che facciano sì che non ci si ritrovi nella condizione del 2020 per quanto riguarda gli approvvigionamenti.

Nella vita quotidiana dei cittadini altre grandi novità sono quelle legate al telelavoro, l’espansione dei servizi digitali così come il fatto che molte persone hanno trovato nel lock down una pausa di riflessione che si fa tangibile nell’ondata di dimissioni in alcuni settori lavorativi.

Seppur non possiamo dire che il mondo è drasticamente cambiato, che viaggiamo su altri binari, qualcosa è cambiato e non si può gettare il bambino con l'acqua sporca, ma ciò che deve far più a riflettere è il fatto che il mondo non era pronto al covid 19.

Nessuno era pronto a quanto stava accadendo, nessuno si sentiva vulnerabile e per questo tutti hanno improvvisato tentando di adattarsi a quanto stava accadendo. 

Tutto ciò non può accadere di nuovo. Secondo alcuni tecnici della Casa Bianca, come riporta il Washington post, c’è una possibilità del 20% che nei prossimi due anni ci possa essere una nuova ondata pandemica paragonabile a quanto accaduto con la variante omicron, alcuni studiosi arrivano anche al 40%, una cosa è certa: un’altra pandemia ci sarà.

Questi dati destabilizzano e ci fanno sentire vulnerabili ma forse è proprio ciò di cui abbiamo bisogno. Vorremmo che il prossimo “andrà tutto bene” sia gridato con cognizione di causa.

Ultima modifica il Mercoledì, 10 Maggio 2023 13:38
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