"Una delle ragioni per cui questa riforma va votata è che abbiamo bisogno di un miglior rapporto tra Stato e Regioni. Fino a oggi abbiamo avuto un'amplissima area di sovrapposizione di competenze, tale per cui alcune scelte economiche fondamentali, come quelle sulle infrastrutture o sui trasporti, devono essere negoziate dal governo con 20 regioni diverse. Abbiamo fatto una cattiva esperienza di queste competenze congiunte".
L'impronta neocentralista del ddl costituzionale Boschi/Renzi, secondo il senatore del Partito democratico Pietro Ichino, è uno dei punti di forza della riforma, insieme alla semplificazione della politica ("Con l'eliminazione di corpi inutili come il Cnel" e la restituzione al Senato dell'originaria vocazione federalista) e alla cosiddetta governabilità: "L'Italia ha bisogno di istituzioni che consentano a un governo eletto di governare e di potersi prendere la responsabilità dei risultati dell'azione governativa. In 70 anni di repubblica ci sono stati 63 governi, un avvicendamento che ha fatto sì che nessun governo si sia mai sentito responsabile di niente visto che c'è sempre l'alibi di non poter far nulla perché si hanno le mani legate".
Ichino, tornato, l'anno scorso, nel Partito democratico dopo una breve parentesi in Scelta civica (con la quale fu eletto nel 2013), ha partecipato, ieri sera, a un incontro organizzato dal comitato per il sì dell'Aquila, un dibattito al quale hanno preso parte anche la senatrice Stefania Pezzopane, il segretario comunale del partito, Stefano Albano, e il responsabile dei rapporti con i circoli Gianluca Cervale.
Il giuslavorista è convinto che alla fine i sì vinceranno, benché gli ultimi sondaggi diano in vantaggio i no. Ma si sa che i sondaggi fatti a due mesi dal voto lasciano il tempo che trovano.
Negli ultimi giorni a tenere banco sui giornali è stato soprattutto il mea culpa di Renzi, sollecitato da alcune parole di Giorgio Napolitano, su un eccesso di personalizzazione dato al referendum; come se quest'ultimo non fosse un voto sulla riforma della carta fondamentale ma un giudizio sul governo.
"E' vero che c'è stata una personalizzazione della campagna referendaria" ammette Ichino "ma difficilmente la si poteva evitare, perché il governo Renzi è nato all'indomani di una crisi isituzionale gravissima, con un parlamento incapace di eleggere sia il premier che il capo dello Stato,. In questa situazione Renzi ha chiesto la fiducia per fare questa riforma. Quindi il governo, in qualche misura, si è identificato in questa riforma come uno dei compiti principali da portare a termine. In quetso senso era difficile scindere il ruolo del governo dalla riforma costituzionale. Secondo me Renzi dovrebbe dimettersi comunque, a prescinfere dall'esito del voto. Al di là di questo, credo che l'Italia abbia bisogno di dare un'immagine di se stessa come di un paese capace di riformarsi e di portare a compimento un processo di cambiamento impressionante iniziato due anni fa, per il quale tutto il mondo guarda con ammirazione e interesse al nostro Paese. Se questo percorso dovesse essere azzerato, verrebbe meno la credibilità del Paese e si aprirebbe un problema istituzionale di cui è difficile vedere la soluzione".
Una ricaduta positiva, anche se indiretta, un'eventuale vittoria dei sì l'avrà, secondo Ichino, anche sull'economia e quindi, di riflesso, sul mercato del lavoro: "Le scelte di politica economica necessarie per tornare a crescere sono scelte che richedono un governo che non abbia un orizzonte di 12 mesi ma un orizzonte di legislatura stabile, nel quale realizzare il proprio programma. E' meglio che un governo possa compiere le sue scelte, magari anche sbagliando, e poi risponderne, piuttoasto che una situaizone per cui i governi non possono realizzare i loro programmi e hanno sempre l'alibi di non aver potuto far nulla perché avevano le mani legate. Dal punto di vista della politica economica, abbiamo bisogno di questa riforma per dare più efficacia alle politiche economiche dello Stato e del governo".