Lunedì, 28 Ottobre 2013 08:38

Leopolda, le cambiali di Renzi che rischiano di inficiare tutto

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Di Marco Signori - Una convention senza bandiere di partito. Ed è un bene: per la prima volta dopo almeno un decennio il centrosinistra prova a rivolgersi all’intero Paese e non solo al proprio elettorato. Tenta di allargare la base del consenso, avendo “più croci sulle schede, che bandiere sul palco”. Forse, questa, sarà la volta buona. Matteo Renzi, che per il terzo anno consecutivo ha calamitato migliaia di persone da tutta Italia nella sua Firenze per la consueta convention all’ex stazione Leopolda, ci aveva provato anche un anno fa, ma oggi sembra avere la strada spianata. E te ne accorgi, in modo tangibile, quando dietro le quinte – in senso, si spera, solo figurato – incroci uno come Nicola La Torre. Ma si aggirano anche Paola Concia, Dario Franceschini, David Sassoli, Riccardo Nencini.

Quando arrivi in questa stazione dismessa dal fascino dell’archeologia industriale, ti sembra di percepire un partito nel partito. Fatto a sua volta di correnti, gruppi più o meno organizzati. Una macchina organizzativa quasi più efficiente di quella dello stesso Pd. Un evento estraneo. Dove le provenienze non contano più e dove i ragazzi che all’ingresso provano  distribuire “L’Unità” a fine giornata rimangono con quasi tutte le copie in mano.

Matteo Renzi lo dice esplicitamente: le porte, in questa fase, sono aperte a tutti. “Una testa, un voto”, sembra sentir dire. I conti, è forse la parte celata del discorso, si fanno alla fine. Dopo le primarie. Ora si lavora al risultato con chiunque vuole esserci. Immediata - e comprensibile - l’irritazione dei renziani “della prima ora”, la cui etichetta da oggi sembra costituire una nuova, ennesima, corrente nella corrente.

Le crescenti adesioni a tutti i livelli dei veterobersaniani che un annetto fa svisceravano tutta la loro acredine contro il sindaco di Firenze non sembrano essere un problema per il leader, ma presenze ingombranti per tutti quelli che non hanno sempre avuto le idee chiare. Anche quando si era in minoranza.

Così, la scommessa è su chi riesce ad accreditarsi alla corte del sindaco. E non è affatto scontato che ad avere la meglio siano quelli della prima ora. Dentro e fuori la Leopolda è tutta una trepidazione. Renzi è inavvicinabile, restano i suoi collaboratori che il più delle volte ignorano le richieste dei capobastone locali.

Tra i nuovi aderenti, in Abruzzo, la senatrice Stefania Pezzopane, che non è alla Leopolda ma si muove su “canali romani” mettendo in fibrillazione i corregionali che nel sindaco di Firenze hanno sempre creduto. E che temono che la scelta dell’ex presidente della Provincia dell’Aquila - “vendoliana di spirito e amica storica di Gianni Cuperlo” come vanno ripetendo increduli - sia dettata dalle sue solite ambizioni, che stavolta guardano alla presidenza della Regione.

Alla Leopolda i ravveduti entrano tuttavia in punta di piedi. Il popolo renziano è una folla di giovani e giovanissimi. Molti neanche (ancora) iscritti al Pd. Poco, pochissimo “personale politico“. Anche sul palco, solo esperienze, parole chiave, sogni di ragazzi. Della “vecchia generazione” ci sono solo quelli che hanno avuto l’umiltà di farsi da parte e sono qui ad ascoltare o a raccontare la loro uscita di scena.

“Ai nostri tempi, è grazie alla generosità dei dirigenti di allora che a noi giovani fu permesso di fare gli assessori comunali, i sindaci, qualcuno il ministro” racconta Claudio Burlando, “oggi, dobbiamo restituire un po’ di quella generosità”.

Attraversando la platea, ascoltando gli interventi, osservando i volti dei ragazzi e delle ragazze si percepisce una enorme aspettativa di cambiamento.
Speranza che rischia di essere tradita se cambieranno nomi e volti ma non metodi. “Non serve un Renzi al posto di Bersani” dice Americo Di Benedetto, presidente Pd della provincia dell’Aquila, “sono i metodi che devono cambiare”. Il timore, insomma, è che le recentissime adesioni di pezzi da novanta del partito, possano rappresentare una cambiale che il sindaco di Firenze sarà costretto a pagare nei prossimi mesi. Senza, insomma, riuscire a guidare quella rivoluzione che da lui il popolo della Leopolda si aspetta.

Ed è dalla riunione ristretta convocata nel pomeriggio che si riesce a misurare quanto il rischio di pericolosi dejà vu sia reale. Assiepati nella sala di un hotel di fronte alla Leopolda ci sono i referenti di un po’ tutte le province italiane, con una prevalenza di rappresentanti - che ripropone i rapporti presenti anche alla plenaria - del Centro Nord.

La circolare del Pd che mette in guardia in caso di eventuali tessere finte trasforma il plenum in una sorta di confessionale. A Napoli, racconta un giovane che prende la parola, oggi si contano trentamila iscritti. Un anno fa erano la metà.  Altri sono più espliciti: “non facciamo l’errore di cui accusiamo gli altri, il problema delle tessere finte riguarda anche noi!”.

Di altro tenore l’intervento del redento Camillo D’Alessandro, arrivato a Firenze con Peppe Di Pangrazio. “Attenzione a quella circolare, in piccoli centri puo’ accadere che si faccia più del 25% di nuove tessere. Questo non può rappresentare un problema”. “Se sono regolari non c’è da temere alcun controllo da parte di Roma”, liquidano dallo staff di Renzi.

La battaglia delle tessere, insomma - che nonostante possa essere ininfluente sul risultato finale, visto che le primarie sono aperte a tutti, è importante per gli equilibri interni al Pd - si ripropone prepotentemente. E siamo solo all’inizio.

Marco Signori

Ultima modifica il Lunedì, 28 Ottobre 2013 08:50
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