Giovedì, 28 Dicembre 2017 10:51

Il suo concetto di teatro e il “suo” TSA: intervista a Simone Cristicchi

di 
Vota questo articolo
(0 Voti)

Ufficialmente presentato alla cittadinanza Simone Cristicchi, il nuovo direttore artistico del Teatro Stabile d’Abruzzo, giovedì 21 ha raccontato la sua idea di cosa sarà il TSA nei prossimi tre anni e il suo concetto di teatro.

Lui, poeta chansonnier, autore di monologhi civili, direttore artistico di un festival basato sulla narrazione ad Arcidosso e giovane di successo in un’Italia che cerca la via d’uscita da un’impasse confusa si è presentato portando una novità che in realtà parla del passato genuino, quello della tradizione degli attori padroni del palco, consapevoli della bellezza e lentezza della loro ragion d’essere.

“Bellezza” e “lentezza”, due parole fortemente sottolineate da Cristicchi che è partito dalla citazione di Carlo Levi “Il futuro ha un sapore antico” per personalizzare lo slogan in “Dal viva-voce alla voce viva” e concludere che ”l’emozione, lo stupore, la meraviglia, la commozione e tutto questo è il teatro che io voglio portare qui” perché, dice, “è dell’anima del pubblico che io mi voglio prendere cura.”

Un “teatro a km zero, come il prodotto tipico”, spendibile dappertutto e ramificandosi anche nelle scenografie naturali realizzato in maniera essenziale è il suo, basato perlopiù sulla narrazione, che vuole usare sia talenti locali che nazionali.

Ricchissimo è il programma, in linea con la sua storia, che ha in mente di realizzare per il Teatro Stabile d’Abruzzo nei tre anni del suo mandato. In cartellone spazia da giovani compagnie al dialetto, da musica cantautoriale trasformata in recital a teatro civile, musica popolare e fiabe, passando per l’insegnamento della bellezza del teatro di più piccini, ricostruendo la fiducia dei ragazzi nei confronti del teatro, il coinvolgimento degli anziani e persino lo svelamento del savoir-faire scenico agli insegnanti, prima di giungere a menzionare i “thé letterari” con la collaborazione di Marcello Teodonio, collaborazioni col CTB di Brescia per il suo nuovo spettacolo che dovrebbe debuttare nel 2019 e, spera, un progetto con Marco Paolini sulla Prima Guerra Mondiale, “Senza vincitori né vinti”, su testo di Francesco Niccolini.

L’occasione è stata propizia per intervistarlo.

Visto tutto il programma che hai presentato, secondo te, il teatro che ruolo ha oggi, nell’Italia della crisi?

S.C.: E’ l’unico luogo che è rimasto dove la comunità si può ritrovare. È un luogo reale, non virtuale, dove potersi interrogare, commuovere, emozionare, anche divertirsi perché un teatro d’intrattenimento, le commedie vanno benissimo, c’è spazio anche per quelle, però è rimasto un luogo dove le persone si possono toccare, in qualche modo, si possono guardare davvero in faccia. La battaglia sarà, piuttosto, eliminare l’uso dei telefonini a teatro, che è diventato una peste, ormai diffusa, purtroppo… questa brutta malattia di vedere la faccia illuminata dallo smartphone. Forse bisognerebbe mettere una multa, una diffida…

Quindi ti ispiri ad un teatro più antico rispetto ad un teatro più contemporaneo?

S.C.: A un teatro spoglio, meno tecnologico. Più spoglio e più all’essenziale. Perché è ovvio che è bello vedere lo spettacolo con 60 persone sul palco, con scenografie imponenti, ma lasciamolo fare magari a chi se lo può permettere. Io credo moltissimo nella forza, nel carisma dell’attore. M’innamorai del teatro proprio perché andai a vedere Gigi Proietti a 14 anni. E da solo Gigi Proietti ci mantenne in pugno, l’attenzione del pubblico, per tre ore di seguito. E io da allora, da quando ho visto lui – che tra l’altro è nato artisticamente qui a L’Aquila - ho sempre avuto il pallino: “Un giorno mi piacerebbe fare anch’io uno sforzo umano del genere.”

Quindi secondo te, è possibile vivere d’arte senza scendere a compromessi col mercato?

S.C.: Ma io sono la prova vivente di questo, nel senso che da 12 anni vivo delle mie idee e della mia creatività. E non solo vivo io, ma do da vivere anche a diverse famiglie con quello che faccio. E non sono mai sceso a compromessi né politici, né artistici con nessuno. Mi è sempre andata bene. Forse sono un miracolato. Perché fare questo lavoro e rendere la propria passione un lavoro è una delle cose più belle che ti possa capitare nella vita!

Letto 17031 volte
Chiudi