E' un giorno che segna la storia politica del nostro paese. Alle 17:43, il Senato della Repubblica ha votato la decadenza da parlamentare di Silvio Berlusconi, a seguito della condanna definitiva per frode fiscale. Si chiude, così, il 'ventennio del Cavaliere'.
La giornata a Palazzo Madama. In aula, i lavori sono iniziati con la lettura della relazione di Dario Stefàno, presidente della giunta delle elezioni e delle immunità. I senatori di Forza Italia hanno chiesto il voto segreto, con il richiamo al regolamento avanzato da Maria Elisabetta Alberti Casellati in merito ad un voto che riguarda la persona, come fece nel 2009 il capogruppo attuale del Pd Luigi Zanda. Per Casellati "non era possibile ci fossero due situazioni uguali trattate in maniera differente". Inoltre, nel caso in questione "la giunta aveva espresso soltanto un parere". Stessa richiesta è arrivata dal senatore Francesco Nitto Palma. Istanze respinte dal presidente del Senato, Pietro Grasso, che ha richiamato alle decisioni della giunta del regolamento dello scorso 30 ottobre: la votazione sulla decadenza non è configurabile come voto sulla persona ma sullo status di parlamentare e, dunque, va effettuata a scrutinio palese. Così è stato. Intanto, poco prima delle 13, sono state respinte per alzata di mano la sospensiva proposta da Pier Ferdinando Casini e tutte le altre sei questioni pregiudiziali sulla decadenza poste dal centrodestra.
Poi, è iniziato il dibattito. Maurizio Gasparri prima e Sandro Bondi dopo hanno attaccato duramente i senatori a vita: "Siete presenti solo oggi. Vergognatevi". Bondi ha sottolineato anche la "mancanza di sensilibità del premier Enrico Letta" che, in contemporanea con i lavori dell'Aula, ha convocato una conferenza stampa per parlare della nuova maggioranza a sostegno del suo governo. Tra Bondi e Roberto Formigoni è scoppiata una lite che ha richiesto l'intervento dei commessi. Alessandra Mussolini ha attaccato a testa bassa Angelino Alfano e i "cugini" di Ncd, mentre Augusto Minzolini (Fi) ha accusato Napolitano di "doppiopesismo".
Come da programma, alle 15.30 sono iniziate le dichiarazioni di voto. La senatrice di Sel Loredana De Petris ha ricordato puntigliosamente tutte le leggi ad personam volute da Berlusconi e ha confermato il sì. Mentre Erika Stefani, in rappresentanza della Lega Nord, ha ribadito il voto contrario del Carroccio visti i dubbi sull'applicazione della legge Severino. Lucio Romano di Scelta civica: "Non dobbiamo sottrarci al giudizio della storia. Voteremo sì alla decadenza". Renato Schifani, capogruppo di Ndc, ha ribadito il no del suo partito: "Ci accingiamo a dire no a una scelta anomala e ingiusta". Paola Taverna dei Cinque Stelle ha accompagnato il sì del Movimento con parole veementi, che hanno provocato le urla e gli insulti dai banchi del centrodestra. Annamaria Bernini di Fi, vestita a lutto, ha enunciato la sua arringa difensiva nei confronti del Cavaliere proprio mentre Silvio Berlusconi teneva il suo comizio davanti a palazzo Grazioli. E dopo il sì del Pd confermato dal capogruppo Luigi Zanda, l'Aula ha bocciato tutti e nove gli ordini del giorno presentati dal centrodestra contro la decadenza.
Fuori dall'aula. Fuori dall'aula, intanto, a qualche metro dal Palazzo, è stata organizzata una manifestazione in difesa di Berlusconi. Sono arrivati oltre 5mila fedelissimi, su 300 pullman. L'ex premier ha parlato davanti a palazzo Grazioli. E non ha accennato ad alcun passo indietro: "Guardate che le parole di Mameli sono impegnative - ha esordito tra gli applausi dei fan - ...siam pronti alla morte. Prima di qualsiasi altra cosa grazie, grazie, grazie. In questi 20 anni se c'è una cosa di cui non mi posso lamentare è la vostra vicinanza, è il vostro affetto. Al di là della commozione che credo non sia soltanto mia, ma anche vostra, noi siamo qui in un giorno amaro, un giorno di lutto per la democrazia. Abbiamo già passato nella storia del nostro Paese un periodo difficile come questo, ma oggi la nostra manifestazione, benché osteggiata, è legittima e pacifica perché noi non viviamo nell'odio e nell'invidia come loro".
Poi, la promessa: "Oggi, è una giornata di lutto per la democrazia. Non ci ritireremo. Anche altri leader non sono parlamentari. Come Grillo, o Renzi. In vista delle prossime elezioni politiche, sarò in mezzo alla gente". Libertà, la parola chiave. Prima della inevitabile arringa difensiva: "La condanna sui diritti tv è basata soltanto su teoremi e congetture".
Al momento del voto che sanciva la decadenza da senatore, Berlusconi era già in volo in direzione Arcore.
Cosa perde l'ex premier oltre allo scranno da senatore? Innanzitutto il titolo di 'Cavaliere', conferito da Giovanni Leone nel 1977, non appena la Cassazione confermerà l'interdizione per due anni dai pubblici uffici. E poi la libertà personale, quella politica, la candidabilità, la possibilità di tornare a essere premier.
Berlusconi potrebbe essere immediatamente arrestato se qualche procura si fosse già premunita del si del giudice ad una misura cautelare. Per ora, una eventualità assolutamente da escludere. Anche se tutto può succedere. Al contrario, è sicuro che l'ex premier rischia gli arresti domiciliari. In realtà, non sta facendo nulla per evitarli. "Non vado a pulire i cessi..." ha sottolineato, riferendosi alla possibilità di scontare i 9 mesi di pena con un affidamento ai servizi sociali. Tutto dipende, dunque, da cosa deciderà il magistrato, dai margini di libertà che vorrà concedere. Ma è fuori di dubbio che, per 9 mesi, Berlusconi sarà fortemente limitato nei suoi spostamenti e nei suoi contatti. E non sarà affato facile gestire una campagna elettorale già formalmente iniziata. Anche perché per ogni appuntamento dovrà chiedere un permesso.
Inoltre, non potrà in alcun modo candidarsi né in Parlamento né a Palazzo Chigi per i prossimi sei anni. Dovrà lavorare alla Grillo senza, però, grande libertà di movimento. Un bel problema. E che cosa potrebbe succedere se per Berlusconi dovesse arrivare una seconda sentenza definitiva di condanna? Sarebbe un vero guaio perché la legge sull'indulto del 2006 stabilisce che, in caso di nuova condanna, chi ha fruito dello sconto deve "restituirlo". I nove mesi di pena tornerebbero 4 anni. Non certo uno scherzo.
Pensieri che, senza dubbio, preoccupano anche il premier Enrico Letta. Ed è certo che il voto sulla decadenza di questa sera avrà pesanti ripercussioni sulla tenuta dell'esecutivo. Anzi, ne ha già avute. Con la scissione del Popolo delle Libertà e la decisione di Forza Italia di uscire dalla maggioranza, si è ridotto drasticamente il margine di sicurezza per il Governo. Al Senato, in particolare, Letta potrà contare su 167 voti a fronte dei 161 necessari: solo sei senatori, insomma, tengono in piedi le larghe intese. Alla Camera, invece, la situazione è più tranquilla grazie al premio di maggioranza ottenuto dal Pd: il premier può contare su 368 deputati che bastano abbondantemente a superare il quorum di 316 voti necessari per la maggioranza assoluta.