Venerdì, 29 Novembre 2019 12:37

Crocifissi, residenzialità e 'fattore famiglia': l'Abruzzo ai tempi del sovranismo

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"Esporre stabilmente il Crocefisso all’ingresso di ogni edificio di proprietà regionale" e "sensibilizzare tutte le istituzioni pubbliche, in particolare quelle scolastiche, al rispetto e alla difesa dei simboli che rappresentano le radici cristiane, compreso il Presepe".

Sono i propositi della mozione proposta dal centrodestra in Regione e varata a maggioranza dalla V Commissione, non senza tensioni.

Il provvedimento porta la firma di Guerino Testa e Mario Quaglieri (FdI), Roberto Santangelo, Vincenzo D’Incecco, Pietro Quaresimale e Luca De Renzis (Lega), Lorenzo Sospiri e Daniele D’Amario (Forza Italia).

Veemente la reazione del Movimento Cinque Stelle, in particolare di Pietro Smargiassi, che dietro A quel "sensibilizzare" ha letto una sorta di obbligo per le scuole ad adeguarsi. Critica anche la segretaria generale della Flc Cgil, Miriam Anna Del Biondo, che ha denunciato l’insopportabile ingerenza della politica sul mondo della scuola: "Mai parlato di sacri valori cattolici, bensì di storia, cultura ed identità del nostro Paese", ha tenuto a precisare Testa; "e non è affatto vero che la politica e la massima Istituzione di una regione non possano interloquire con le scuole ed avere il diritto-dovere di consigliare su determinate tematiche".

Come non bastasse, è stato avviato in V Commissione l’iter per l’approvazione del progetto di legge 68/2019 d’iniziativa consiliare - firmatari il capogruppo della Lega Pietro Quaresimale ed i consiglieri del Carroccio Sabrina Bocchino e Fabrizio Montepara - che intende introdurre il principio della residenzialità nell’erogazione dei servizi pubblici; si sono aperti i termini per la presentazione degli emendamenti e, c’è da scommetterci, il provvedimento farà discutere.

Il capogruppo del Pd, Silvio Paolucci, ha presentato migliaia di proposte di modifica, alcune provocatorie, come l’esame della cottura degli arrosticini per certificare l’abruzzesità del candidato alla presidenza della Regione o l’istituzione di un tribunale speciale per la verifica dei requisiti attestanti la perfetta conoscenza dell’Abruzzo.

Oltre le provocazioni, però, il progetto di legge è stato fortemente voluto dalla Lega che, giusto un mese fa, alla presenza del segretario regionale Luigi D’Eramo e del capogruppo Pietro Quaresimale, aveva lanciato la proposta di “individuare nella residenzialità in Abruzzo il criterio premiale cui informare l’azione di governo”, stante le “ristrettezze delle risorse erogabili per i diversi servizi a carico del bilancio regionale”. Prima gli abruzzesi, insomma, “non soltanto uno slogan da campagna elettorale – aveva tenuto a chiarire D’Eramo – ma una regola aurea che la Regione deve applicare ogni qualvolta se ne presenti la possibilità; quello che conta, per noi, è soddisfare prioritariamente gli interessi dei nostri concittadini, il resto conta meno” aveva ribadito il segretario regionale della Lega. “Il principio di residenzialità è solo uno dei modi concreti per dimostrare il nostro attaccamento all’Abruzzo”.

In sostanza, se il progetto di legge dovesse passare così come presentato, le prestazioni sociali e sanitarie, socio-assistenziali, per il trasporto pubblico, la casa e persino i servizi scolastici verrebbero erogati tenendo conto, nella stesura delle relative graduatorie, di premialità per coloro che risiedano in Abruzzo da più anni.

Tra l’altro, il progetto di legge si accompagna ad un altro provvedimento, il numero 72/2019 - primi firmatari Lorenzo Sospiri (Forza Italia), Sabrina Bocchino (Lega) e Guerino Testa (FdI) - anche questo portato ieri all’attenzione della V Commissione, che intende introdurre il così detto ‘fattore famiglia’ che, tra le altre cose, darebbe ulteriori vantaggi a chi ha un lavoro stabile nella nostra Regione.

Messe da parte le questioni di merito, su cui ci sarà e tanto da scrivere, leggi siffatte sono state già impugnate per incostituzionalità in altre Regioni che, pure, avevano tentato di favorire i residenti di lunga data, dalla provincia autonoma di Trento che nel 2012 aveva stabilito il requisito di almeno 3 anni di residenza continuativa per riconoscere assegni di cura alle persone non autosufficienti fino alla Regione Liguria a guida Giovanni Toti che aveva tentato di legare l’assegnazione delle case popolari al principio della residenzialità. Tuttavia, la maggioranza di centrodestra è convinta che i progetti di leggi non corrano il rischio di essere impugnati poiché non “vengono introdotte forme discriminatorie – così si è detto – bensì principi premiali nell’istruzione delle graduatorie”.

Un modo per tentare di mettere al riparo provvedimenti che, così come scritti, sono invece assolutamente discriminatori, rendendo di fatto impossibile l’accesso ai servizi a coloro che risiedono in Regione da poco e che, magari, non hanno la fortuna di avere un lavoro fisso. In spregio alla Costituzione.

Ultima modifica il Venerdì, 29 Novembre 2019 13:02

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