Dopo le convulse giornate dello scorso fine settimana e il re-insediamento del vecchio-nuovo presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano vuole accelerare la formazione del nuovo Governo. Il primo nome ad uscir fuori è stato quello di Matteo Renzi che però ha frenato: Io premier? Improbabile". si fa avanti allora l'ipotesi di un Governo affidato a Giuliano Amato. In tutto questo arrivano come annunciato, le dimissioni di Pierluigi Bersani eroe negativo del week end passato.
E proprio questa storia - cominciata giovedì notte con la scelta da parte del Partito Democratico del nome di Franco Marini per il Quirinale, e terminata con il discorso di insediamento di Napolitano - che voglio raccontare dal mio punto di vista, i giorni caldi che il Paese ha vissuto. Giorni che a me non hanno lasciato indifferente suscitandomi delusione e frustrazione.
La delusione viene dall'opportunità mancata di rispondere in qualche modo al vento di cambiamento che il Paese mi sembra esprimere in questo momento storico e di cui, un segnale, è stato anche il voto di massa ottenuto alle recenti politiche dal Movimento cinque Stelle. Ritengo infatti che la rielezione di un vecchio uomo politico di 88 anni per costituire un Governo di larghe intese, vada nella direzione esattamente opposta a questo vento di cambiamento che sfiorava la pelle dell'Italia e che, negli ultimi giorni, aveva preso la forma in una proposta: il nome di Stefano Rodotà al Quirinale.
Fino a qualche giorno fa Pierluigi Bersani e i suoi dichiaravano che mai e poi mai si sarebbero fatti stringere nell'abbraccio mortale che il Pdl gli proponeva, salvo poi concederglielo letteralmente e apertamente, alla luce del sole. Sembrava chiaro che Bersani cercasse una forma di intesa con quel nuovo soggetto politico parlamentare che è di fatto il movimento di Grillo. Quando poi questo ha finalmente fatto una proposta - con un nome di sinistra amato dal popolo della sinistra, per il Quirinale - è arrivato dal partito il nome sconcertante di Franco Marini. Un suicidio si è detto, da cui ci saremmo aspettati - per dirla con Romano Prodi - che i responsabili si assumessero le proprie responsabilità. Invece no.
L'operazione "Napolitano bis" nasconde piuttosto sotto pelle l'inammissibile vittoria di Silvio Berlusconi mentre buona parte della stampa nazionale mainstream, con la grande narrazione legata alla sua rielezione, ha contribuito a mettere il silenziatore al dibattito politico, anche forte, che era finalmente esploso nel Paese negli ultimi giorni.
Lo ha fatto in un modo non molto diverso da come Angela Finocchiaro e l'establishment del Pd venerdì scorso, dopo aver fatto il nome di Marini, dichiaravano candidamente di non esser più interessati alle indicazioni che la base gli forniva tramite social network e per strada. A parte alcune voci fuori dal coro, l'operazione larghe intese cominciava con la negazione da parte del Partito della base dissidente.
A siglare intellettualmente poi, l' "operazione Napolitano bis" verso una nuova pacificazione a sinistra, è stato Eugenio Scalfari editorialista e fondatore del giornale -partito "La Repubblica". Dopo aver guidato per anni e buttato acqua sul fuoco su un'antiberlusconismo spesso ai limiti del ridicolo - base a sua volta del grillismo - il giornale, tramite uno dei suoi fondatori, ha sposato la larga intesa in nome dell'economia e la competitività nei mercati, e bocciato Stefano Rodotà reo di non aver ritirato la sua candidatura.
C'è da attendersi un nuovo "parricidio" politico come quello che toccò negli anni 70' a Luciano Lama allora segretario della Cgil, che fu oggetto di una grande contestazione all'università La Sapienza di Roma da parte di studenti di sinistra. Come allora è arrivato forse il momento in cui i figli "uccidono" pacificamente i padri che hanno creato l'antiberlusconismo, liberandosi di loro e della cornice che hanno dato a questa narrazione.
Intanto la narrazione di Napolitano rieletto che salva l'Italia, ha invece l'effetto immediato di mettere all'angolo i parlamentari di Grillo e la dialettica politica che le loro posizioni avevano prodotto all'interno e fuori dal parlamento. Mors tua vita mea. E' contro il moVimento che alla fine (quasi) tutti si sono ricompattati nel Palazzo e questa è l'operazione che di conseguenza il Partito Democratico si accinge a far funzionare anche fuori.
Rivendico invece che in Italia ci si possa indignare per l'operazione sottostante il bis di Napolitano e stimare i parlamentari 5 stelle che ieri, democraticamente, non l'hanno applaudito. A ben vedere mi è sembrato l'unico gesto politico all'interno di una storia che trova la sua morale intorno un discorso di insediamento forte, ma inutile.
Se fino a venerdì in Italia si è potuto discutere in modo acceso, in un esercizio di democrazia che ha coinvolto tutto il Paese, è frustrante ora vedersi sottrarre questo spazio di discussione. L'inusuale rielezione di "Re Giorgio" sembra voler chiudere unilateralmente i giochi e le passioni cercando di far dimenticare la breve stagione che, a sinistra, abbiamo vissuto dopo le elezioni di Febbraio.
Forse l'errore all'origine - a cuì ci ha indotto Grillo - è pensare che un cambiamento reale possa passare prima attraverso le elezioni e le aule di un parlamento che per le strade.
Di certo la mia generazione ha assistito alla peggiore vicenda politica di cui si è resa protagonista la classe politica della sinistra di questo paese negli ultimi 20 anni. Qualcosa da non dimenticare.
La restaurazione non deve passare del tutto inosservata.