Il Consigliere comunale del gruppo L’Aquila Coraggiosa, Lorenzo Rotellini, è intervenuto sul tema degli appennini, delle infrastrutture e dell’idea che si ha di montagna. La riflessione Rotellini fornisce un punto di vista opposto a quello più in voga, secondo il quale l’unico rapporto possibile fra uomo e montagna è quello per il quale il primo domina la seconda. Lo stimolo fronito dal Consigliere dimostra che esiste un altro modo di pensare, un altro approccio, un'altra prospettiva.
“Gli esperti ipotizzano che tra pochi decenni (forse già dal 2036) sciare sarà difficile, se non impossibile, anche sulle Dolomiti. Dire ciò non significa essere dei “gufi” o non credere nel proprio territorio, ma i cambiamenti climatici sono ora più che mai tangibili.” Queste le parole di Rotellini, il quale prosegue “Oltre al dibattito su colpevoli, soluzioni e mitigazione, il riscaldamento climatico comincia a far sentire effetti prima di quanto ci si aspettasse anche su aree che si pensavano lontane dall’esserne intaccate. Più caldo, va da sé, vuol dire meno neve. Meno neve, va ancor più da sé, vuol dire meno – in molti casi zero – turismo correlato alle strutture sciistiche.
In Italia, ma non solo, ci ostiniamo a investire in un settore sempre più ridimensionato e insostenibile a causa della crisi climatica. Al posto di continuare a sfruttare il nostro territorio, dobbiamo pensare a una riconversione turistica. Gli inverni sono sempre più miti, le precipitazioni scarseggiano e a rendere possibile l’apertura delle piste da sci sono sempre più spesso i cannoni sparaneve. Quando è possibile usarli, almeno: su vari impianti sciistici degli Appennini fa troppo caldo persino per la neve artificiale.
Quindi quale futuro possono avere lo sci e gli altri sport invernali? Il ricorso alla neve artificiale non può essere la soluzione definitiva. La produzione di neve artificiale comporta il ricorso a grandi quantità di acqua e può avvenire solo a determinate condizioni metereologiche o, nel caso dei macchinari più innovativi, con un maggiore dispendio di energia. Inoltre, significherebbe costruire impianti di approvvigionamento di acqua, ma quale acqua, poi, date le scarse precipitazioni?
Occorre investire con criterio e senso della realtà, senza paraocchi. Bisogna che le istituzioni riflettano su quello che è oggi la montagna alla luce dei cambiamenti climatici.
Più che sulla riconversione, però, spesso si continua a investire su nuovi impianti. In Italia “fioccano” gli impianti ma senza neve. Sono 150 i nuovi i progetti che minacciano i siti protetti da Rete Natura 2000, 234 gli impianti dismessi (54 in più rispetto all’edizione 2021), 135 le strutture dal futuro incerto e 149 i casi di “accanimento terapeutico” cioè che sopravvivono con forti iniezioni di denaro pubblico, come riportato nel Report Nevediversa 2022 di Legambiente. Per il riuso, lo smantellamento e la costruzione di nuovi impianti, avranno un ruolo fondamentale i fondi del PNRR.
Sono molte le difficoltà economiche in aree che già si stavano riprendendo faticosamente dopo due intensi anni di Pandemia e relative conseguenze finanziarie. È il caso delle stazioni sciistiche appenniniche che garantiscono la vitalità delle comunità che gli vivono attorno. Assenza di neve significa necessariamente assenza di indotto nel turismo, con enormi danni al sistema economico delle aree montano-appenniniche. Il turismo legato allo sci ora ha bisogno di cambiare pelle. Sarebbe un errore imperdonabile se non lo si riconoscesse, in primo luogo per le comunità locali. Ci troviamo di fronte a una montagna che cambia a vista d’occhio, dove sarà sempre più difficile identificare la stagione invernale con lo sci e per questo avrà bisogno di riconfigurarsi in un’idea di sostenibilità più ampia. Se fino a ieri l’uomo pensava di poter consumare spazi illimitati e costruire senza dover “rendere conto” alla natura, questo ora non è più possibile. I guai causati dai cambiamenti climatici e dal Covid 19 ci insegnano che proteggere la natura è l’unico modo per sottrarsi alla roulette russa dei disastri. L’offerta turistica che dal dopoguerra ha caratterizzato molte delle nostre montagne rappresenta una delle maggiori cause del deterioramento del paesaggio naturale. Ad un uso inadeguato del territorio si aggiunge poi l’impatto estetico negativo delle strutture abbandonate.
Le montagne, da meri luoghi di consumo, devono trasformarsi in sedi di elaborazioni innovative e sostenibili cogliendo l’occasione che si presenta con i fondi del PNRR. Un’opportunità da non perdere e da valutare con attenzione, perché con scelte errate il futuro che si prospetta sarà ancor più cupo e conflittuale. Lo sviluppo dovrà essere orientato a una maggior qualità ecologica. Sarebbe strategico guardare al passato per riscoprire le vie del turismo lento, fatto di scoperta dei territori e di offerta turistica il più possibile variegata, allontanandosi dalla monocoltura dello sci da discesa. Un’impostazione del genere darebbe la possibilità di investire su comunità che altrimenti verrebbero sempre più tagliate fuori dai discorsi economici.”