E' passata una settimana dalla clamorosa protesta di Massimo Cialente, che ha deciso di rimuovere il tricolore dalle scuole e dagli uffici pubblici. Il gesto ha scatenato la durissima reazione del prefetto, Francesco Alecci, che ha firmato un decreto di diffida del primo cittadino giudicando la sua condotta potenzialmente turbativa dell’ordine e della sicurezza pubblica. Il prestigio dello Stato, ha scritto il rappresentante del Governo sul territorio, potrebbe essere leso da tali manifestazioni di dissenso. E poi la minaccia: l’eventuale persistenza della condotta posta in essere potrebbe costituire oggetto di valutazione per l’adozione del provvedimento di sospensione dalle sue funzioni.
Ad oggi, le bandiere non sono state ancora rimesse al loro posto. Il prefetto, però, non è intervenuto. Non lo farà, probabilmente. Almeno per ora. In attesa di capire cosa accadrà a Roma: il sindaco Cialente, mercoledi, vedrà rappresentanti del Governo per capire se si riuscirà a inserire il miliardo per la ricostruzione all’interno della legge di conversione dell’ultimo decreto legge dell'esecutivo Monti, sulle emergenze ambientali. Sarebbe saltata, infatti, la possibilità di inserire l’emergenza aquilana in un decreto che il governo Letta avrebbe dovuto approvare ieri per risolvere la questione Imu e che, invece, è stato posticipato a venerdi.
Staremo a vedere: la questione è un’altra. Chi ha ispirato il decreto di diffida del Prefetto? L’iniziativa è politica, nient’affatto normativa. Si sussurra che l’invito ad Alecci sia arrivato da molto in alto: qualcuno ha fatto il nome di Angelino Alfano, su presunta pressione di Gianni Chiodi, altri invece pensano che l’ispirazione sia arrivata addirittura da Giorgio Napolitano. Azzardato? Chissà. Il Presidente della Repubblica, nei giorni scorsi, non ha mancato di sottolineare la necessità di tenere comportamenti istituzionali sobri, per evitare tensioni sociali. Una scelta come quella di Cialente, dunque, potrebbe averlo infastidito.
Non lo sapremo mai, probabilmente. E’ certo, però, che l’atto del Prefetto è espressione istituzionale, sul territorio, di una volontà del Governo. La prefettura, infatti, è organo periferico del Ministero dell’Interno. Fa davvero sorridere, nell’italietta delle manifestazioni di piazza in difesa di un Senatore, ex presidente del Consiglio, condannato dalla Corte di Appello a quattro anni di reclusione e a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. A Brescia, sotto il palco, c’era anche il Governo. C’era proprio il Ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Una scelta di una gravità assoluta, in un paese civile: una interferenza pericolosa del potere esecutivo nelle decisioni del potere giudiziario. La nostra Costituzione trova fondamento nel principio della separazione dei poteri: il Presidente della Repubblica, che ne è il custode, perché ha deciso di non intervenire?
Non è forse un’offesa al decoro dello Stato che il Governo Italiano trovi la sua stabilità su di una coalizione a capo della quale c’è un condannato in secondo grado? Non è forse un’offesa al decoro dello Stato che la coalizione di Berlusconi abbia imposto il nome di Alfano come Ministro dell’Interno e quello di Nitto Palma a Presidente della Commissione Giustizia? Non è preoccupante, forse, che uomini indicati da un condannato in attesa di altro pronunciamento siedano in posti di così alta responsabilità e partecipino a manifestazioni di piazza contro la Magistratura?
Evidentemente no. Tanto che il Presidente non è intervenuto, accettando anche che il processo che si sta svolgendo in questi minuti a Milano, sul banco degli imputati c’è ancora il senatore Berlusconi accusato di concussione e prostituzione minorile, fosse discusso qualche ora prima in prime time televisivo. Su di un canale di proprietà dell’imputato. Che ha commesso, così, un nuovo reato: lo sfruttamento della Costituzione, l’abuso della libertà di espressione sancita dall’articolo 21. Ha occupato un canale Tv per difendersi da un processo, senza alcun contraddittorio. Evitando accuratamente, tra l’altro, di raccontare i risultati delle indagini che hanno portato al processo.
Non è intervenuto neanche il Presidente del Consiglio, Enrico Letta, vicesegretario del Pd. D’altra parte è lui che ha scelto Alfano, con cui ha iniziato a discutere del futuro del Paese in senso all’associazione Vedrò già prima dell’emergenza degli ultimi mesi. Si è limitato ad una dichiarazione pubblica: "il rispetto dell'autonomia della magistratura deve esserci sempre e comunque, qualsiasi cosa accada". Poi, sembra abbiano discusso in Abbazia durante il ritiro per fare spogliatoio. Tutto qui.
E, intanto, un Sindaco che toglie il tricolore da alcuni uffici pubblici della sua città, terremotata e senza fondi per la ricostruzione, rischia di essere sospeso. Contraddizioni dell’italietta delle larghe intese, nell’anno 2013.
Lo ripetiamo: il Sindaco e la sua Giunta hanno enormi responsabilità per lo stato di impasse che vive la città. Detto questo, la reazione del Prefetto pare davvero fuori luogo. Fastidiosa e irritante, per chi da quattro anni aspetta delle risposte. Per chi ha visto politici di ogni colore fare passerella tra le macerie per poi dimenticare l’emergenza. Per i cittadini, e sono tanti, che per manifestare il loro dissenso stanno pagando con dei processi assurdi. E non hanno una televisione per difendersi. Né amici in commissione Giustizia.
Il primo ministro di allora, il senatore Silvio Berlusconi, è stato a L’Aquila una trentina di volte promettendo la presenza forte dello Stato che, in questi giorni, offende nelle sue Istituzioni più importanti. Pur essendo al Governo, insieme al partito di cui il Sindaco Cialente è espressione sul territorio.
Strani intrecci, nell’italietta delle larghe intese.