Mercoledì, 05 Agosto 2015 18:46

Gran Sasso, nasce il comitato promotore del referendum per chiedere un altro Parco

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Un referendum consultivo per chiedere un altro Parco del Gran Sasso, "più equilibrato", non più "ente volto solo a calare divieti dall'alto", ma che "condivida le scelte con le popolazioni da sempre sui territori", eviti lo spopolamento "inevitabile a queste condizioni" e che "riporti l'uomo al centro del sistema e degli interessi", il tutto "ridefinendo i suoi confini".

E' quanto sostiene, insieme a molto altro, il neonato comitato promotore del referendum che si attiverà sin dai prossimi giorni a trovare le 5mila firme necessarie per indire la consultazione. A presentare il tutto all'Hotel Castello, c'era il maestro di sci Luigi Faccia, portavoce e coordinatore del comitato, l'avvocato Gianluca Museo che curerà gli aspetti legislativi, l'avvocato Lanfranco Massimi, rappresentante degli usi civici di Assergi e Fausto Tatone operatore della montagna che ha studiato la documentazione delle direttive EU, Habitat e Rete 2000.

Al comitato, che ha scelto di chiamarsi #SaveGranSasso strappando lo slogan ad altri contendenti, va riconosciuto di aver fatto bene i compiti ed aver portato in conferenza stampa molti dati ed informazioni interessanti che permettono di andare - finalmente - nel merito della questione Parco.

"Le Fontari non sono niente" ha esordito Faccia, intendendo che le problematiche legate ad un rilancio socio-economico della montagna aquilana vanno ben oltre la questione della costruzione del nuovo impianto di risalita che sostituirebbe quello vecchio.

Certo, il referendum sembra essere più che altro uno strumento. Al di là del fatto che, per base territoriale, non può che essere consultivo, e quindi non vincolante, probabilmente secondo le intenzioni dei promotori gli effetti di una simile campagna potrebbero portare dei risultati anche senza arrivare ad una votazione. Già la raccolta di 5mila firme farebbe infatti aumentare il peso contrattuale di chi vuole cambiare il Parco. La stessa domanda referendaria è ancora tutta da comporre ("ci stiamo ancora pensando") non riducendosi, almeno stando alle intenzioni mostrate oggi dai rappresentanti, a "Parco sì, Parco no".

Questione prioritaria, quanto ragionevole, per il comitato è la ridefinizione dei confini dei cosiddetti Siti d'interesse comunitario (SIC), davvero estesi sul Gran Sasso e comprendenti zone già antropizzate, dove ci sono gli attuali impianti per intenderci.

Per #SaveGranSasso infatti le finalità con cui sono stai istituiti i Parchi sono diverse, se non contrapposte, da quelle della direttiva Habitat. Per il comitato "quello dei Parchi era un modello europeo che individuava delle zone di interesse per proteggere la natura, ma allo stesso tempo rendeva le zone fruibili all'uomo incrementando le attività rurali ed il turismo ecologico". Quello della direttiva habitat invece "è un modello americano volto ad individuare dei santuari che proteggono gli habitat certo, ma non sono fruibili all'uomo e che servono tutt'al più ad incrementare la ricerca". Uno scontro più volte riassunto negli stessi termini anche dal sindaco dell'Aquila, Massimo Cialente.

Ma non manca da parte dei promotori del referendum una critica al Parco, o almeno a ciò che è diventato, e che raccoglie il malcontento delle popolazioni: quello per cui si è in "balia dei cinghiali che distruggono le coltivazioni"; "per andare nella propria terra bisogna chiedere il permesso al Minstero"; "non si può curare nemmeno il proprio orto"; "per avere l'indennizzo bisogna essere per forza imprenditore agricolo". Istanze ben sintetizzate dall'agricoltore e allevatore Dino Rossi presente anche lui all'Hotel Castello.

Tematiche legittime, che gli stessi progressisti che hanno contribuito a fondare i Parchi non possono ignorare. Il problema è trovare soluzioni reali anziché uscirne con ricette demagogiche e populiste.

Il maestro di sci della scuola d'Assergi lo dice apertamente: "Il Parco del Gran Sasso ha fallito. Ha contribuito allo spopolamento di Assergi e delle altre frazioni, è un Ente autoreferenziale non elettivo chiuso in una reggia e con il quale non è facile comunicare, calato dall'alto a gestire il territorio e per questo percepito male dalle popolazioni pedemontane che lo hanno da sempre gestito ".

Un attacco proseguito elencando una serie di progetti naufragati: "Che fine ha fatto il progetto di trasformare le case cantoniere in Ostelli o altrezzare le piazzole di sosta? O la scuola di cucina San Colombo per la quale sono stati buttati 300mila euro che nessuno può toccare? O il camper pubblicitario rimasto fermo ad Isola del Gran Sasso o le biciclette prese? Solo i finanziamenti europei - ha continuato Faccia- vanno a buon fine ma quelli sono rivolti a loro, alla conservazione degli habitat primari, alla ricerca e alle consulenze, senza ricaduta diretta su chi ci abita dato che non credo che i nostri figli faranno tutti i biologi, ma magari vogliono aprire un BnB".

"Il tutto - conclude il comitato- senza condividere minimamente le direttive europee con le popolazioni locali tra cui infatti è diffuso il malcontento contro il Parco".

 

La Rete natura 2000, la direttiva Habitat ed i Siti di interesse comunitario

Si diceva che una delle priorità di #SaveGranSasso è far pressione sulla politica Comunale e Regionale per ridefinire le Aree Sic, "il Veneto l'ha fatto".

Ripercorrendo la loro storia, la proposta di Sic viene avanzata nel 1997, dopodiché i siti di interesse comunitario sono divenuti propriamente tali, ma in attesa di divenire Zone speciali di Conservazione: una volta istituite le zone - sostiene il comitato - non si può più tornare indietro. A fare quest'ultimo passaggio sono state finora Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, PA Trento, Umbria e Valle D'Aosta.

Prima che si arrivi a questa fase, il comitato pone dunque la questione di ridefinire i confini delle Sic nel Parco del Gran Sasso e Monti della Laga dove sono particolarmente estese (il viola nella cartina sotto) ed onnicomprensive.

interesse com

A differenza di quello che accade nel Parco della Majella dove le aree in cui sono presenti gli impianti di Campo di Giove o Passo Lanciano non sono comprese. Stessa cosa accade nel Parco Sirente Velino per gli impianti di Campo Felice ed Ovindoli, stessa cosa per Pescocostanzo e Roccaraso tutte fuori dalla sic. Uguale sulle Alpi. 

Parrebbe proprio che del Gran Sasso si voglia fare un "santuario", anche lì dove oggi si scia. Il comitato dunque si chiede chi tra il '95 ed il '97 ha determinato per il Gran Sasso questi confini, attribuendo in definitiva a questi, il parere tecnico negativo del Parco sulle Fontari. E per lo stesso motivo secondo #SaveGranSasso non si potrà fare nulla neanche per il possibile ripristino degli impianti di Monte Cristo "bloccando di fatto tutto lo sviluppo della stazione".

In più secondo il comitato la relazione negativa del Parco sulle nuove Fontari si è basata anche sull'esistenza in loco di "specie primarie" , cosa che invece non viene riscontrata nella relazione dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.

 

 

Ultima modifica il Venerdì, 07 Agosto 2015 00:38

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