Lunedì, 30 Agosto 2021 12:48

Paralimpiadi: l'aquilano Giuseppe Cerqua dietro i successi di Bebe Vio

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In queste ore, l'Italia sta festeggiando le medaglie di Bebe Vio che a Tokyo, nel fioretto individuale, ha conquistato l'oro bissando il trionfo di Rio 2016 e nel fioretto a squadre ha strappato l'argento con le sue compagne.

Un successo straordinario, colto, tra l'altro, in un momento delicatissimo per la nostra portabandiera. 

Bebe, infatti, ha rischiato di non esserci proprio alle Paralimpiadi: "Lo scorso 4 aprile mi sono dovuta operare - ha raccontato - ho avuto un'infezione da stafilococco che è andata molto peggio del dovuto". La prima diagnosi è stata atroce: "Amputazione entro due settimane dell’arto sinistro, e morte entro poco".

Tuttavia, grazie alla volontà incrollabile della magnifica atleta e ai medici che l'hanno avuta in cura, si è compiuto un vero e proprio miracolo; non solo Bebe Vio ha superato l'infenzione ma, in due mesi, ha preparato le paralimpiadi strappando un oro individuale e un argento di squadra.

E dietro a questi trionfi c'è, anche, un aquilano. "Abbiamo preparato tutto in due mesi, io a Tokyo non dovevo esserci. Non so come abbiano fatto il mio fisioterapista Mauro Pierobon e il preparatore atletico delle Fiamme Oro Giuseppe Cerqua a fare questa magia".

Giuseppe Cerqua, appunto: aquilano, rugbista, prima alla Capitolina Roma, poi all'Aquila rugby e, per anni, protagonista con le Fiamme Oro; lì è rimasto, finita l'attività agonistica, diventando preparatore atletico. Cerqua lavora con Bebe Vio da anni, è una sorta di 'angelo custode', e sta dietro i successi dell'atleta.

In una intervista al Messaggero, ha raccontato la tensione vissuta prima della finale: "ho pianto tanto", le sue parole; "invece Bebe scherzava mentre le mettevo le protesi. Se prima era determinata, ora è matura. Molti potrebbero credere che vista la fama si è montata; al contrario, è una persona umile e sincera, che ti dice qualsiasi cosa in faccia".

"E' difficile anche solo recuperare la funzionalità del braccio, figuriamoci partecipare alle Paralimpiadi", ha aggiunto; "un'infezione interna è probante per tutto il corpo: Bebe era spossata, aveva un gomito grosso quanto la testa di una mazza da golf. Pensare di andare ai Giochi, a poco più di quattro mesi dal ricovero, era un'utopia". Ma man mano che recuperava, "ci siamo messi a stabilire a tavolino quale percorso fare per arrivare alle Paralimpiadi. La avvertii subito: se ce la facciamo bene, altrimenti non metto a rischio la tua salute". Tuttavia, Bebe Vio "ha una soglia del dolore molto alta: essendo quadri-amputata convive perennemente con piaghe di ogni tipo che la gente normale nemmeno s'immagina. E visto che se rimane ferma muscoli e articolazioni vanno in sofferenza, è condannata a fare sport per tutta la vita. Perciò la costringo ad allenarsi sempre".

Anche per questo, l'atleta ha detto che l'oro di Tokyo è anche di Cerqua: "Me lo ha detto mentre ci abbracciavamo e piangevamo. Ma non è così: io le ho solo indicato la strada da percorrere, il cammino lo ha fatto lei. Quello che Bebe ha messo per vincere questa medaglia non l'ho mai visto in nessun'altra disciplina e in nessun altro sportivo. Vederla in azione tutti i giorni è impressionante".

Ultima modifica il Lunedì, 30 Agosto 2021 17:59

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